Taormina's Greek theater and Mount Etna (Photo: Ig0rzh/Dreamstime)

We often consider it something external to us, but we’re wrong. “Landscape” doesn’t simply mean what we see outside our window, nor the horizon above the sea in a holiday photo. It isn’t only the outline of our mountains against the sky, the park where we jog on Sunday mornings, the little potted plants we grow on our windowsill. A landscape can be part of us because we are part of it. 

Our identity is rooted in the habitat where we live because we absorb its moods, flavors, and characteristics. We may not notice it, but we can sense its warmth, we connect with its light and its sunsets. We keep in our memory the place where we spent our childhood, where we gave our first kiss, or where we used to sing, carefree and happy, on long-gone summer nights. We remember what was around us: the atmosphere, the feeling left behind by humidity or excessive heat, the cold of snow, and frozen hands at the skating rink. Or the rustle of autumnal leaves that painted with a thousand colors fields and woods. 

Places that become part of our identity through memories and senses: the chirping that wakes us up in the morning; squirrels running fast across a field; the gurgling of fountains or the rhythmical beating of the rain against a window. But also the roaring of cars speeding in the street and that of trains on the metro’s rails. Sounds that stay with us, to the point we miss them when they are not there and we can’t fall asleep without them. It is incredible, but a scent can bring us back in time to a hug, to a cake just out of the oven, to a passing glance on a rowdy school bus. 

We don’t need much. We’re on the train and we see trees and buildings quickly passing by, like threads hanging from messy colors, and lost feelings and emotions return, making us part of the whole again, bringing us back to “a lifetime ago,” all within cities that never stop. This is to say that we are deeply and intimately connected to the “outside,” even when we aren’t aware of it: very often, the outside world is an element that helps us connect with our inner self, our thoughts, our memories, our most personal and hidden feelings. 

Throughout its history, Italy has been often described as a garden, a gorgeous succession of uniquely beautiful landscapes, so it’s not surprising that UNESCO pays so much attention to our natural, artistic, architectural, historical, and social heritage. Italy’s multi-faceted and varied landscape is a priceless patrimony, the epitome of a deeper meaning that even touch-and-go visitors can grasp and experience, if traveling is more than mere snaps on a smartphone. Because Italy is a series of invaluable memories: that corner of sea surrounded by colorful homes in Le Cinque Terre; the scent of lemons on the Costiera Amalfitana; the shiny and smooth paving of the Via Appia running silent and mysterious under the luscious heads of maritime pines. But also the watery sparkle of Venice’s canals and the milky grey of Langhe’s morning fog. Or the brown, ochre, and yellow of the Crete Senesi and the intense green of olive trees and oak woods below Assisi and Perugia, without forgetting Positano’s breathtaking cliffs, Vieste’s sea stacks, bright against a blue sea, the black sands of Maratea, and the thin line of smoke rising from Mount Etna. Images that’ll create memories of our tricolored tour. They’ll become part of us and be with us like indelible postcards, one hundred times more meaningful than a photo on our phone.

We truly can’t avoid thinking about how deeply a place can mark us. We can’t imagine Sardinians living without the winds typical of their island, and people from Trentino without snow on their mountains in the winter. We can’t think about Neapolitans being happy without their Mount Vesuvius guarding the bay, or Milanese people without their winter rain. Even Romans wouldn’t feel comfortable without their chaotic traffic on the raccordo anulare. 

For the same reasons, San Franciscans love the fog embracing their Golden Gate Bridge and their Bay even during the summer, and Angelenos will always consider the grey ribbons of their streets running along the blue of the ocean as their own. 

They are places for the soul, and they do exist. They are part of us more than we are aware of. But we only need to get away for a while and change our horizon, to immediately understand we carry them inside and they are part of us.  

Lo consideriamo qualcosa di esterno a noi, ma abbiamo torto. Il paesaggio non è semplicemente quello che c’è fuori dalla finestra, l’orizzonte da catturare in una foto al mare, il contorno delle montagne che si stagliano sul cielo azzurro, il parco in cui correre la domenica mattina o le piantine da coltivare sul davanzale della finestra. Fa parte di noi nel senso che noi siamo parte di esso. 

Una parte della nostra identità è radicata nell’habitat in cui viviamo, ne assorbiamo gli umori, i sapori e le caratteristiche. Anche senza rendercene conto assorbiamo le temperature dei luoghi che frequentiamo, la sensibilità alla luce e ai tramonti, e nella nostra memoria conserviamo i posti in cui abbiamo trascorso l’infanzia o in cui abbiamo dato il primo bacio o abbiamo cantato spensierati e felici in una notte d’estate. Ci ricordiamo quel che ci circondava, l’atmosfera, la sensazione lasciata dall’umidità o dal caldo eccessivo, il freddo di una nevicata e le mani ghiacciate sui pattini o il fruscio delle foglie d’autunno che nel foliage hanno dipinto prati e boschi di mille colori. 

C’è un’infinità di luoghi che costruiscono la nostra identità e i nostri ricordi con le loro sensazioni olfattive, visive, uditive: il cinguettio che ci sveglia al mattino, gli scoiattoli che corrono veloci sul prato, il gorgoglio delle fontane o la pioggia battente sui vetri di casa ma anche il rombo delle auto che sfrecciano o lo sferragliare dei treni sulle rotaie della metropolitana. Suoni che ci restano dentro al punto che quasi ne sentiamo la mancanza non appena siamo circondati da suoni ovattati, tanto da non riuscire a prendere sonno se manca quel ticchettio fastidioso che è diventata la nenia notturna. Incredibilmente un profumo ci fa tornare indietro nel tempo, a un abbraccio, alla torta appena sfornata, a uno sguardo veloce tra gli spintoni dell’autobus della scuola. 

Basta poco. Siamo sul treno e vediamo scorrere veloci alberi e palazzi, fili appesi e colori disordinati e in un attimo la nostra mente recupera sensazioni perdute che ci fanno sentire parte del contesto, ci riportano indietro a una vita fa e a ritrovare luoghi “nostri” dentro gli spazi condivisi da metropoli che corrono all’impazzata. Questo per dire che siamo profondamente, intimamente, allacciati al “fuori” da noi e anche se ne siamo inconsapevoli, tante volte proprio quel mondo esterno è un elemento che ci fa entrare in contatto con il nostro dentro, i nostri pensieri, i ricordi, le sensazioni più intime e recondite. 

Nella storia, l’Italia è spesso stata descritta come un giardino, un meraviglioso susseguirsi di paesaggi dalla bellezza unica e non è un caso che l’Unesco abbia una particolare attenzione per il “Belpaese” e le sue gioie ambientali, artistiche, architettoniche, storiche e sociali. Quel composito e variegato paesaggio italiano è un patrimonio inestimabile, un condensato di suggestioni profonde che arricchiscono anche il viaggiatore che dedica viaggi fugaci ai luoghi italiani. Da mete su un taccuino spesso si trasformano in esperienze, se il viaggio è stato vissuto consapevolmente e non solo come un susseguirsi di scatti sullo smartphone. Perché è impagabile il ricordo che lascia l’angolo di mare e case colorate delle Cinque Terre, il profumo dei limoni sulla Costiera amalfitana, il basolato lucido e levigato della Via Appia che scorre silenzioso e misterioso sotto le chiome dei pini marittimi, il luccichio dell’acqua nei canali di Venezia e il grigio uggioso delle nebbie mattutine tra le Langhe piemontesi, i marroni, gli ocra e i gialli del paesaggio lunare delle Crete senesi, il verde intenso dei boschi di quercia e ulivo sotto Assisi e Perugia, le scogliere a strapiombo di Positano o i faraglioni bianchi sul mare blu di Vieste, le sabbie nere dei litorali tirrenici di Maratea e il sottile filo di fumo che esce dall’Etna. Costruiscono pezzi di memoria a cui assoceremo il nostro tour tricolore. Ci rimarranno dentro come cartoline indelebili, cento volte più di uno scatto sul telefono. 

A questo punto è inevitabile pensare a quanto forte sia l’impronta che i luoghi lasciano nella testa e nel cuore di chi vive in un luogo. Quanto un sardo non possa fare a meno del vento che lambisce l’isola da ogni lato, un trentino non riesca a immaginare l’inverno senza mesi di coltre bianca sulle montagne, un napoletano non possa immaginare il golfo senza la sagoma del Vesuvio che distrusse Pompei o quanto un milanese non possa essere in qualche modo “affezionato” alla pioggia invernale o persino un romano al traffico caotico sul raccordo. Un sanfrancescano, allo stesso modo, amerà la nebbia, si sentirà parte della sua terra avvolto con il Golden Bridge nella nuvola di umidità che copre la Bay Area anche d’estate, o un Losangelino non riuscirà mai a fare a meno di considerare “sue” quelle tracce ondulate di asfalto che corrono verso il blu a due passi dall’oceano.

Ci suono luoghi dell’anima e posti che ci entrano dentro molto più di quanto non ne siamo consapevoli. Ma basta allontanarsi un po’, cambiare orizzonte, per capire immediatamente che il paesaggio che pensiamo fuori è in realtà un pezzo dentro di noi.  


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