È stato uno dei temi più caldi che l’esecutivo italiano in carica ha portato sul tavolo delle trattative fin dai primi giorni della sua discesa in campo. Non senza problemi. A farsi portavoce della battaglia per l’introduzione dello “Ius soli” è stata il Ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge che, fin dal primo giorno della sua nomina, ha dichiarato l’im-portanza di aprire un dialogo sull’argomento.
 
Ius soli” contro “Ius sanguinis”. Due vie diverse per l’ottenimento della cittadinanza. 
 
Lo Ius soli, dal latino “diritto del suolo”, indica il diritto di acquisire la cittadinanza come conseguenza del fatto di essere nati nel territorio di quello Stato, qualunque sia la cittadinanza dei genitori. In Italia, al momento si applica in due casi: ai bambini nati sul territorio italiano ma da genitori ignoti, apolidi o impossibilitati a trasmettere al soggetto la propria cittadinanza oppure se il soggetto è figlio di ignoti ed è stato trovato nel territorio italiano. 
 
La legge 91 del 1992 indica il principio dello Ius sanguinis (“diritto di sangue”) come unico mezzo per l’acquisizione della cittadinanza. 
 
Nel mondo sono 30 i Paesi che applicano lo Ius soli incondizionatamente, la maggior parte dei quali americani. Stati Uniti, Canada, Messico, America del Sud, Pakistan e Cambogia ritengono lo Ius soli un diritto sacrosanto. Altri Paesi, come la Francia, la Gran Bretagna o l’Australia, hanno inserito nelle proprie legislazioni il diritto di suolo, ma con alcune condizioni. 
 
In Italia la questione è vissuta molto seriamente, in particolare da quando il Ministro Kyenge ha riportato alla ribalta la tematica. Dal giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi, il Ministro ha dovuto combattere contro l’opposizione di molte parti politiche, in particolare quella dell’area Leghista, dichiaratamente ostile allo Ius soli.
 
Sorvolando sui tristi casi di offese riservate al Ministro (per ricordarne una, quella dell’ex ministro leghista Calderoli che, durante un comizio, paragonò la Kyenge ad un orango), bisogna prendere atto che qualcosa sta cambiando nel-la percezione degli italiani nei confronti dello Ius soli. 
 
Il 12 novembre è stata presentata a Palazzo Giureconsulti di Milano una relazione dal titolo “L’immigrazione straniera: opportunità, risorse, problemi”, condotta da Ipsos Italia. 
 
Inserito all’interno del seminario di riflessione sul tema del lavoro dal titolo “Il Lavoro è cittadinanza”, il rapporto su lavoro/immigrazione, i cui risultati sono stati presentati dall’amministratore deleato di Ipsos Nando Pagnoncelli, ha fatto emergere alcuni dati interessanti. 
 
Gli italiani tenderebbero innanzitutto a sopravvalutare la dimensione quantitativa degli immigrati nel nostro Paese, in particolare a causa delle continue notizie sugli sbarchi. 
 
Ciononostante, netta è la differenza che si fa tra i clandestini e i regolari: i primi sono considerati, oltre che un pericolo, un costo notevole; i secondi sono percepiti invece come risorsa e ricchezza. Per quanto riguarda la concorrenza sul mercato del lavoro, non molti sono coloro che si dichiarano preoccupati, anche se con la crisi il problema comincia a farsi sentire. 
 
Buona parte degli intervistati ritiene piuttosto che la competizione italiani/immigrati si giochi sul terreno dell’accesso al welfare locale, che tenderebbe a privilegiare i secondi. Larghissima sarebbe poi la percentuale di chi si dichiara a favore dello Ius soli, ma con il mantenimento del reato di clandestinità, percepito come precauzione importante. 
 
L’immigrazione, in Italia, è una realtà con la quale è necessario fare i conti. Secondo un rapporto dell’Istat, alla data del 1 gennaio 2013, la popolazione straniera presente sul suolo italiano era pari a 4.387.000 di persone. In percentuale gli stranieri in Italia sono il 7,4% di tutta la popolazione. 

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