The news arrived just a handful of days ago, but it was barely noticed in Italy. Perhaps it’s because we are busy trying to understand who is going to become our Prime Minister, or just distracted by the early signs of summer approaching, but no one has been paying too much attention to the fact that, lo and behold, Starbucks will finally come to the Home of the Perfect Coffee, Italy.
In September, it has been announced, the American coffee giant will open its first store – a high end roastery – in Milan’s Piazza Cordusio, just a few steps away from il Duomo. That it is going to be one of Starbucks artisan coffee shops shouldn’t surprise: if they want to have a chance here, they have to give it the best they can. The point is, will they have that chance at all?
Starbucks’ love affair with Italy started as far back as 1983, when his executive chairman, Howard Schultz, experienced Italian coffee for the first time during a visit to Milan. Apparently, it was the epiphany he needed to conceive and create what was to become the most iconic and popular coffee shops chain on earth, with 29 thousand stores worldwide and profits of over 4 billion dollars as of 2017. That Starbucks is a successful business is out of the question: it is ubiquitous, it has a huge coffee menu and people like it not only to grab their morning brew on the go. Thanks to its friendly and relaxed atmosphere, as well as the habit to give free wi-fi access to its customers, Starbucks has become a place to chat, work, study and relax, all under the same roof: whether you are in the US or Britain, Ireland or France, Starbucks is a common fixture on the high street, a familiar haven when away from home, a comfy sitting room outside of your own. Yet, Italians may not be so willing to embrace the trend.
As an Italian who lived abroad for over a decade, I must admit I like Starbucks: there was one in my university in Ireland and I spent countless hours working on my laptop sitting at one of its tables when the library felt too claustrophobic; it was the perfect place to take a break or to a have a quick lunch between classes. The coffee was good, too, even though it was so different from what I used to have back in Italy, or would prepare at home.
At the same time, there are a series of considerations to make about how successful the chain could be in a country like Italy and they do not all depend on the quality of its coffee, nor on the fact Italians will be hardly pressed to drink americanos and Frappuccinos once the novelty wears off.
When it comes to coffee, Italy is a very traditional country: we sort of mastered the art of making it, even if we haven’t been the first to embrace the bitter deliciousness of kava. Tradition and classical flavors are all we want, proof of it being the relatively small variety of coffees usually available in our cafés: espresso can be lungo, or regular or ristretto, macchiato caldo or freddo and sometimes corretto. Cappuccino can be normal or chiaro and we do have marocchino and a variety of decaf options (ginseng and barley drinks have become quite popular in recent years), but don’t expect much more than that. However, there’s little doubt that Italian coffee remains the best in the world: it’s a typical case of “why should you change or improve something that’s already perfect?” Italian coffee is not a matter of variety, but of extremely high quality: from the selection of the coffee, to the way it’s toasted and brewed, every drop of caffé has to be absolutely perfect. And whoever had coffee in Italy knows it pretty much always is.
There is more: we Italians love our coffee ritual the way it is. We love to get our caffé in the same place every morning, while having a chat with the barista and the other customers, whom we end up knowing and befriending because we meet them every day. We like the way we don’t need to say what we want, because the barista already knows it ; we love to read the paper standing at the counter, while having a chit chat with the man or woman beside us, a speck of a friendship that lasts the time to sip our lungo. Il bar, the café, is a moment of “home” while we are out shopping or on our coffee break at work. It’s the place we choose to rest just about the time to have a macchiato and a glass of water, where we can forget for a couple of minutes about what goes on outside, in the street: a little corner of tranquillity.
This is not to say Starbucks won’t be successful in Italy: younger generations will certainly enjoy the possibility to study there and the free internet access, just as much as youth all over the world do. And many an expat will gladly have a venti caramel macchiato with an extra shot on the go, just for the sake of feeling closer to home. I’ll tell you more: some Italians may even like to make it a habit of “prendere un caffé da Starbucks” once in while, just for a change. But the point is: it will never become what il bar is for us.
One last thing: Schultz declared, when speaking about finally opening in Italy, “we’re not coming here to teach Italians how to make coffee, we’re coming here with humility and respect, to show what we have learned.” Well, Italy’s happy to have been the inspiration, all those years ago, for the creation of such an amazing business, which ultimately helped spreading the popularity of coffee around the world. Italy welcomes Starbucks with open arms, with that typical warm and friendly attitude it’s known for. And Italy will gladly and amicably take a look at what Starbucks “has learned” about coffee in more than 30 years of business: yet, it will very likely keep on sticking to its bar dietro l’angolo per un cappuccio e brioche.
La notizia è arrivata solo pochi giorni fa, ma è stata notata a malapena in Italia. Forse perché siamo impegnati a cercare di capire chi diventerà il nostro primo ministro, o semplicemente siamo distratti dai primi accenni dell’estate che si avvicina, ma nessuno ha prestato troppa attenzione al fatto che, beh, Starbucks arrivi finalmente in Italia, nella patria del caffè perfetto.
Era stato annunciato a settembre che il colosso del caffè americano avrebbe aperto il suo primo negozio – una torrefazione di fascia alta – a Milano, in Piazza Cordusio, a pochi passi dal Duomo. Il fatto che non sarà uno dei caffè artigianali Starbucks non dovrebbe sorprendere: se vogliono avere una possibilità qui, devono offrire il meglio. Il punto è: avranno questa possibilità?
La storia d’amore di Starbucks con l’Italia è iniziata nel 1983, quando il suo presidente esecutivo, Howard Schultz, sperimentò il caffè italiano per la prima volta durante una visita a Milano. Apparentemente, fu l’epifania di cui aveva bisogno per concepire e creare quella che sarebbe diventata la catena di negozi di caffè più iconica e popolare al mondo, con 29 mila negozi in tutto il mondo e profitti per oltre 4 miliardi di dollari nel 2017. Che Starbucks sia un business di successo è fuori questione: è onnipresente, ha un enorme menu di caffè e alla gente piace non solo prendere la loro infusione mattutina in movimento. Grazie alla sua atmosfera amichevole e rilassata, così come all’abitudine di dare accesso wi-fi gratuito ai propri clienti, Starbucks è diventato un luogo in cui chattare, lavorare, studiare e rilassarsi, tutti sotto lo stesso tetto: se siete negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, Irlanda o Francia, Starbucks è un appuntamento fisso sulla strada principale, un rifugio familiare quando si è lontani da casa, un comodo salotto fuori dal proprio. Eppure, gli italiani potrebbero non essere così disposti a seguire la tendenza.
Da italiana che ha vissuto all’estero per oltre un decennio, devo ammettere che mi piace Starbucks: ce n’era uno nella mia università in Irlanda e ho passato innumerevoli ore a lavorare sul mio portatile seduta a uno dei suoi tavoli quando la biblioteca era troppo claustrofobica; era il posto perfetto per fare una pausa o un pranzo veloce tra una lezione e l’altra. Anche il caffè era buono, anche se era molto diverso da quello che prendevo in Italia, o che si preparava a casa.
Allo stesso tempo, ci sono una serie di considerazioni da fare su come la catena potrebbe avere successo in un paese come l’Italia e non dipende tutto dalla qualità del suo caffè, né dal fatto che gli italiani difficilmente saranno ansiosi di bere Caffè americani e Frappuccini una volta che la novità svanirà.
Quando si parla di caffè, l’Italia è un paese molto tradizionale: siamo maestri nell’arte di realizzarlo, anche se non siamo stati i primi ad abbracciare l’amara bontà del kava. La tradizione e i sapori classici sono tutto ciò che vogliamo, a dimostrazione della varietà relativamente ridotta di caffè solitamente disponibili nei nostri caffè: l’espresso può essere lungo, o normale o ristretto, macchiato caldo o freddo e anche corretto. Il cappuccino può essere normale o chiaro e abbiamo il marocchino e una varietà di opzioni di decaffeinato (le bevande al ginseng e all’orzo sono diventate piuttosto popolari negli ultimi anni), ma non aspettatevi molto di più. Tuttavia, non c’è dubbio che il caffè italiano resti il migliore al mondo: è un tipico caso di “perché si dovrebbe cambiare o migliorare qualcosa che è già perfetto?”.
Il caffè italiano non è questione di varietà, ma di altissima qualità: dalla selezione del caffè, al modo in cui viene tostato e preparato, ogni goccia di caffè deve essere assolutamente perfetta. E chi prende un caffè in Italia sa che è sempre così.
C’è di più: noi italiani amiamo il nostro rituale del caffè così com’è. Amiamo prendere il nostro caffè nello stesso posto ogni mattina, mentre facciamo due chiacchiere con il barista e gli altri clienti, che finiamo per conoscere e fare amicizia perché li incontriamo tutti i giorni. Ci piace il modo in cui non abbiamo bisogno di dire ciò che vogliamo, perché il barista lo sa già; amiamo leggere la stampa in piedi al bancone, mentre facciamo due chiacchiere con l’uomo o la donna accanto a noi, un granello di amicizia che dura il tempo di sorseggiare il nostro lungo. Il bar, la caffetteria, sono un momento di “casa” mentre siamo fuori a fare la spesa o durante la pausa caffè al lavoro. È il posto in cui scegliamo di riposare giusto il tempo di avere un macchiato e un bicchiere d’acqua, dove possiamo dimenticare per un paio di minuti cosa succede fuori, per strada: un piccolo angolo di tranquillità.
Questo non vuol dire che Starbucks non avrà successo in Italia: le giovani generazioni apprezzeranno sicuramente la possibilità di studiare lì e l’accesso gratuito a internet, proprio come fanno i giovani di tutto il mondo. E molti stranieri prenderanno volentieri un venti caramel macchiato con un extra shot in movimento, solo per sentirsi più vicini a casa. Dirò di più: alcuni italiani potrebbero anche voler prendere l’abitudine di “prendere un caffé da Starbucks” una volta tanto, solo per cambiare. Ma il punto è: non diventerà mai ciò che il bar è per noi.
Un’ultima cosa: Schultz ha dichiarato, sul fatto di aver finalmente aperto in Italia, “non stiamo venendo qui per insegnare agli italiani come fare il caffè, stiamo venendo qui con umiltà e rispetto, per mostrare ciò che abbiamo imparato.” Bene, L’Italia è felice di essere stata l’ispirazione, tanti anni fa, della creazione di un business così straordinario, che alla fine ha contribuito a diffondere la popolarità del caffè in tutto il mondo. L’Italia accoglie Starbucks a braccia aperte, con quel tipico atteggiamento caloroso e amichevole per cui è nota. E l’Italia osserverà volentieri e amichevolmente quello che Starbucks “ha imparato” sul caffè in più di 30 anni di attività: tuttavia, molto probabilmente, continuerà ad andare nel suo bar dietro l’angolo per un cappuccio e brioche.
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