Italian talent is on show, between cinema (Liotta) and theater (Massini)
Being Italian goes beyond image, DNA, and origins. Ray Liotta, adopted when he was 6 months old by Mary and Alfred, both children of Italian immigrants, was born and raised feeling Italian-American and nurturing a strong bond with the Belpaese. In 2000, when he found his biological parents, he found out his heritage was Scottish. But his identity was formed already: his past, what he – an American actor born in Newark, New Jersey – had lived up to then, defined who he was. The Italian sonority of his surname had already marked part of his career, just like his undiscussable acting skills and artistic talent had. The same had happened with Robert De Niro or Joe Pesci. It was his acting charm, his magnetic, never banal interpretations, that always kept him far from the risk to be typecast. In Hollywood, he stood out and, little by little, he reached fame through work, always keeping away from cinematographic stereotypes, and revealing his multi-faceted skills. He enjoyed many a success and, more than anything, he managed to stay away from the Italian-American prototype of the silver screen, which is a simple construct, not reality. Being and feeling Italian-American made him authentic, and kept away the risk of becoming a caricature.
With him, on this page, we’d like also to write about an Italian playwright who, contrarily to his masterpiece, The Lehman Trilogy, is mostly unknown to the great public: Stefano Massini. Massini is a Florentine who lives and works in Italy but his script – a script that has very little of Italy, even if it was conceived, created, and staged for the first time in Italy – triumphed abroad, especially in the USA. Every show was a success, with some 100,000 spectators in three months in New York. Incredibly, he won the 75th edition of the Tony Award, the Oscars of American theater, the most coveted prize for those working on Broadway. The Trilogy won five prizes, which shows it wasn’t only considered the best play by Broadway experts, but also that it made it into collective imagination. Confirmation came when Wall Street executives, after having been at the play’s debut, asked the three actors interpreting its main characters to open a trading session and ring the famous bell in their stage costumes.
Besides the international flair of the story, the biggest surprise is perhaps that the Italian DNA can emerge and triumph even on the American stage. It’s Massini himself to say it while holding his prize: “The idea that a foreigner, an immigrant playwright won and stood on the podium that once was of Arthur Miller and Tennessee Williams was almost inconceivable. But I was there, one step away from stars like Samuel Jackson, Hugh Jackman, and Billy Crystal, legends I usually only see at the cinema or on TV. Winning the Tony Award went beyond anything imaginable: it isn’t false humility, it’s a simple truth.”
There is something more about this play, which brought the Tony Award to Italy while telling an all-American story. Massini explained to ANSA that a circle has been finally completed: “The Lehman Trilogy was in New York in March 2020. Only the first five shows went on, then shelter-in-place orders came. When Broadway finally opened again, in September 2021, it was the first work to be back on stage, almost a symbol of the world’s ability to start again after Covid-19.” During an interview with Italy’s main newscast, TG1, the 46 years old playwright, whose work has been translated and represented in more than thirty countries, declared: “At the end of Covid, when theaters started filling up again, we felt the heart of our art beating strong. Theater is alive, it’s a living art made for human beings. When you are in a theater, you breathe flesh and sweat, you breathe being with other people without fear. And that is the most powerful of all medicines against fear itself. The real vaccine for those who are still in doubt, because theater is the very life of humanity.”
A declaration of love for the stage, and not only in name of his successful – and winning – play which, Massini says, “is a bit novel, a bit play, a bit ballad. It’s a peculiar type of dramaturgy.” “I think artistic genres are finished. A New York Times critic told me that The Lehman Trilogy shows us how writing for theater can be different. I became a playwright because I need people’s reaction to my work immediately,” he explained to the Italian daily La Repubblica, adding also a thought about theater, a lesson that Italy taught him and us all: “In the darkest months of the pandemic, theater no longer existed and the world was uglier. Because theater is beauty, it is people’s critical conscience.”
Sentirsi italiano al di là delle apparenze, del Dna, delle origini. Ray Liotta adottato a 6 mesi da Mary e Alfred, figli di immigrati italiani, è nato e cresciuto sentendosi italoamericano e nutrendo in sé un forte legame con il Bel Paese. Nel duemila, rintracciando i veri genitori, ha scoperto di avere origini scozzesi. Ma ormai la sua identità era formata, il passato raccontava chi era e cosa sentiva di essere questo attore statunitense nato a Newark, nel New Jersey. Il suono italiano del cognome aveva già segnato un pezzo della sua carriera così come ha fatto, al di là di incontestabile bravura e talento artistico, con Robert De Niro o Joe Pesci. Ma proprio il fascino attoriale, le interpretazioni magnetiche che nulla avevano di scontato, lo hanno sempre allontanato dal rischio di diventare un caratterista di genere. Ha spiccato e a Hollywood ha costruito poco alla volta una fama che ne ha rivelato le capacità poliedriche.
Tanti successi e soprattutto la capacità di stare lontano dai prototipi cinematografici dell’italoamericano, che sono costrutti non veritieri. Proprio l’essere, il sentirsi italoamericano, lo hanno reso autentico, impedendo la macchietta.
Accanto a lui, in questo spazio, vogliamo concentrare l’attenzione su un drammaturgo italiano, sconosciuto ai più a differenza della sua opera teatrale: The Lehman Trilogy. Stefano Massini è fiorentino, vive e lavora in Italia ma il suo copione, che non ha nulla di italiano pur essendo stato concepito, costruito e messo in scena nel Belpaese, a un certo punto ha trionfato all’estero e soprattutto negli Usa. Ogni replica un successo, 100 mila spettatori in tre mesi a New York. Incredibilmente, ha vinto la 75° edizione del Tony Award, nientemeno che l’Oscar del teatro americano, il premio più ambito per chi fa musical o recita a Broadway. La Trilogia ha portato a casa non uno ma cinque premi che raccontano non solo che questa è la migliore opera teatrale per la mecca del settore ma che è riuscita ad entrare nell’immaginario collettivo. La conferma è arrivata dai dirigenti di Wall Street che, dopo aver visto il debutto a Broadway, hanno voluto che i tre attori protagonisti andassero in abiti di scena ad aprire una sessione di contrattazioni alla Borsa di New York suonando la famosa campanella.
La sorpresa maggiore, al di là del respiro internazionale della storia, sta nel fatto che, persino sul palcoscenico americano, persino dove mai lo si immaginerebbe, il dna italiano può emergere e trionfare. A dirlo è stato lo stesso Massini con il premio in mano: “Era ritenuto impossibile che vincesse un ‘foreigner’, che un ‘immigrant playwright’ salisse sul podio che fu di Arthur Miller o di Tennessee Williams. E’ stato incredibile trovarmi in mezzo alle star, a pochi passi da me c’erano Samuel Jackson, Hugh Jackman, Billy Cristal, nomi leggendari che normalmente vedo al cinema o in tv. E dunque aggiudicarmi il Tony era per me al di là di ogni immaginazione: non è falsa modestia, ma pura verità”.
L’opera, che consegna per la prima volta in assoluto il Tony Award a un italiano pur raccontando una storia americana, che di italiano apparentemente non ha nulla, ha un altro pregio.
Ricorda che finalmente si chiude un cerchio: “Nel marzo 2020 Lehman Trilogy era in cartellone a New York: fece in tempo ad andare in scena per le cinque anteprime, poi scattò il lockdown. Quando Broadway ha riaperto, a settembre 2021, è stata la prima opera ad essere rappresentata, quasi un simbolo – ha raccontato all’Ansa – della capacità di ripresa del teatro dopo il covid”. Intervistato dal TG1, il principale notiziario italiano, il drammaturgo 46enne, tradotto e rappresentato in oltre 30 Paesi, ha detto: “Alla fine del covid con i teatri che hanno cominciato a popolarsi, abbiamo iniziato a sentire il palpito vivo del teatro. E’ un’arte viva, fatta per gli esseri umani. In teatro si respira la carne, il sudore, si respira tutto quello che è lo stare fra esseri umani senza paura di starci ed è il più grande antidoto alle paure, è il vero vaccino per chi ha dubbi e incertezze perché il teatro è la vita stessa degli esseri umani”.
Una dichiarazione d’amore per l’arte scenica che non racconta il testo premiato, “un po’ romanzo, un po’ teatro, un po’ ballata. È una drammaturgia strana” dice Massini. “Io penso che i generi artistici siano defunti. Il critico del New York Times mi ha detto che Lehman è una vittoria che ci dice che la scrittura del teatro può essere diversa. Se sono diventato scrittore per il teatro è perché ho bisogno subito della reazione della gente al mio modo di scrivere” ha spiegato al quotidiano La Repubblica, precisando la più intima lezione sul teatro che arriva dall’Italia: “Nei mesi più duri del Covid, il teatro aveva smesso di esistere e il mondo senza teatri ci ha mostrato che era un mondo più brutto, perché il teatro è bellezza, è la coscienza critica della gente”.
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