“Guardo il mondo intorno a me, ricordi sparsi e poi, Italia Patria mia. Pensieri in fondo al cuor, lasciati dietro a noi, Paese mio ritornerò”. Debutto mondiale per l’Inno degli italiani nel mondo “Italia Patria mia”, scritto con la giornalista e studiosa di emigrazione Tiziana Grassi, e cantata da Giuseppe Gambi. L’Italo-Americano ha intervistato il giovane tenore napoletano.
Da Buenos Aires al Canada, a New York. Dal debutto mondiale di “Italia Patria mia” al progetto di cantare questo Inno al Columbus Day. Un tour che sta diventando mondiale visto che gli italiani all’estero sono dappertutto.
Sì, è un tour di respiro internazionale perché il mio desiderio è di cantare per e tra i nostri connazionali nel mondo.
Attraverso la mia voce, attraverso questo Inno a loro dedicato e il mio repertorio della lirica italiana più celebre ed amata, rendo omaggio allo straordinario contributo che in ogni campo hanno dato alla crescita e allo sviluppo dei Paesi in cui sono andati e si sono distinti. E’ un modo empatico di partecipare al vissuto migratorio anche perchè mi appartiene, in quanto la mia famiglia, come moltissime famiglie italiane, ha avuto una storia di emigrazione. Sin da piccolo sentivo il dolore di mia nonna per la lontananza di un suo figlio emigrato negli Stati Uniti: si sentiva ‘orfana’ di un figlio che giustamente inseguiva il ‘sogno americano’ alla ricerca di una vita migliore. La mia città di origine, Napoli, ha dato un grande contributo all’emigrazione.
Ma tutta l’Italia, ogni città o paese, tra Ottocento e Novecento, ha vissuto il dolore del distacco dai propri cari. Ecco perché, insieme alla giornalista e studiosa di emigrazione Tiziana Grassi, su musica del compositore Luigi Polge e arrangiamenti di Armando De Simone, tutti grandi professionisti che ringrazio sempre, ho voluto scrivere questo Inno “Italia Patria mia” che celebra quest’epopea, il coraggio, l’orgoglio, i sogni, le conquiste e la dignità di milioni di italiani emigrati oltreconfine.
Quindi mi ha particolarmente commosso, per il suo profondo significato, andarlo a cantare a giugno, accompagnato dal mio manager Angelo Giovanni Capoccia, al Senado de la Nacion, a Buenos Aires, in occasione del “Dia dell’Inmigrante Italiano”, una festività nazionale sancita da una legge che il Parlamento argentino ha approvato per celebrare il grande contributo offerto alla crescita del Paese dall’emigrazione italiana, l’unica comunità ad avere ricevuto un simile riconoscimento.
Ed è stato toccante vedere che, al suono della mia voce, sulle note di questo Inno, i nostri connazionali all’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires, in occasione delle celebrazioni per la Festa della Repubblica Italiana, si emozionavano e cantavano con me. Le mie prossime tappe all’estero sono il Canada, dove andrò grazie al sostegno di Luigi Auletta, presidente del noto brand dell’Alta Moda italiana ‘Impero Couture’, e Lino Grasso, titolare del brand canadese That’s Italy, due imprenditori italiani mecenati, che credono nella mia voce e nelle emozioni che regala a chi l’ascolta, e subito dopo sono felice e onorato di poter cantare tra le nostre comunità di italo-americani a New York, per il Columbus Day, celebrazioni che sento molto in quanto sono l’evento simbolo dell’orgoglio italiano, della nostra identità, dei nostri valori umani e culturali.
Da talento della Fondazione Pavarotti, un po’ sulle orme di Caruso, torna nelle terre degli emigranti italiani. Che emozione c’è nella voce di chi porta tra gli italiani all’estero la Canzone italiana, che resta un nostro (molto apprezzato) segno distintivo, una delle nostre eccellenze riconosciute in ogni angolo del pianeta?
Un’emozione grande, profonda, perché vedo che gli italiani, sia quelli dentro che fuori i confini, apprezzano il timbro generoso, come l’hanno definito alcuni critici e musicofili, della mia voce, ed è una gioia, ma anche una responsabilità, un invito a dare il massimo di me.
Quando canto, spesso accompagnato dalla pianista e soprano Lauren, sento quanto la Musica italiana sia veicolo di vibrazioni dell’anima e durante i miei concerti è meraviglioso creare legami, empatie, fili rossi del cuore.
Non potrò mai dimenticare l’atmosfera che tra me e il pubblico si creò quando, nel 2014, in occasione del settimo anniversario della scomparsa del grande e compianto tenore Luciano Pavarotti, cantai a Modena per il suo Tributo. Una serata indimenticabile, come lo è lui.
All’estero mi colpisce vedere l’emozione profonda dei nostri connazionali nell’ascoltare la musica italiana, le canzoni e le melodie italiane, perché oltreconfine succede che già solo ascoltare il suono delle parole italiane, della lingua italiana, la propria lingua-madre, tocchi le corde più profonde del cuore.
Perché all’estero trovo particolarmente sentito e vibrante il senso dell’italianità, delle radici, dei legami. Sentimenti che fanno riflettere su quanto, in Italia, dobbiamo impegnarci per avere cura e vivificare tutto questo patrimonio. L’emigrazione italiana è una pagina fondativa della nostra Storia, e spero che venga maggiormente trasmessa alle giovani generazioni, nelle scuole, nelle università, perché la Memoria, l’Identità sono una bussola nel guardare al futuro.
Dalla sua famiglia sono salpati per gli Usa. Che emozioni vive quando di fronte ha un pubblico di persone che, come è successo in casa sua, sono partite dall’Italia e poi hanno deciso di restare nei nuovi Paesi di accoglienza?
Indescrivibili, e indimenticabili. Ho visto tante persone, anche giovani oriundi (e questo vuol dire che l’italianità e i sentimenti di appartenenza si riverberano a livello intergenerazionale) commuoversi a Buenos Aires quando ho cantato l’Inno o alcune romanze di Giacomo Puccini, come “E lucevan le stelle” o “Nessun dorma”. Avevano gli occhi lucidi. E io mi sentivo “a casa”. Si può immaginare perché questi concerti all’estero siano tappe fondamentali, soprattutto sul piano umano ed emozionale, oltre che professionale.
E’ l’arricchimento che viene da una sorta di corrispondenza profonda, sono onde sonore ed emotive che palpitano. Come se, tra noi che abbiamo più o meno conosciuto l’Emigrazione, ci riconoscessimo.
Mio zio emigrato negli Stati Uniti mi diceva sempre che emigrare vuol dire lasciare tre madri: la propria madre naturale, la madre-terra e la madre-lingua. Era un messaggio serio, molto forte per un bambino. Ecco, quanto oggi canto tra le nostre comunità di italiani all’estero, ho sempre presenti quelle sue parole. E con la mia voce cerco di esprimere tutto questo, di riavvicinare, almeno per il tempo di una serata, quelle tre Madri.
Cantare nei Paesi degli emigranti italiani ma anche incontrarli, parlare con loro, sapere che per loro anche solo ascoltare il suono della lingua italiana è un po’ come tornare ‘a casa’. Questo Inno non è solo una canzone d’amore per l’Italia lontana ma un ponte virtuale per “avvicinare” l’Italia agli Usa, al Sud America, all’Australia…
E’ vero, sicuramente non è solo una canzone, ma un ponte. Per tanti motivi. Non solo perchè la musica è il linguaggio universale per eccellenza, ma perché, ho avuto la fortuna di conoscere Tiziana Grassi, giornalista e autrice per molti anni del programma di servizio per gli italiani all’estero “Sportello Italia” a Rai International, una delle più grandi e appassionate studiose di emigrazione italiana, e con questo penso al suo monumentale “Dizionario Enciclopedico delle Migrazioni Italiane nel Mondo” che ha da poco pubblicato. Grazie a lei ho potuto approfondire alcuni importanti aspetti sociali, culturali e storici della nostra diaspora.
Confrontandomi a lungo con lei, sono entrato dentro il significato profondo che per i nostri connazionali rappresentavano, per esempio, le interminabili e faticosissime traversate, l’Oceano, quasi un liquido amniotico verso la ri-nascita, verso il ‘Nuovo Mondo’, o il significato del passaggio all’Equatore, per cui sulle malconce navi, venivano organizzate delle feste.
Perchè tra Ottocento e Novecento, per gli emigranti italiani diretti verso il Sud America, il passaggio all’Equatore rappresentava un evento dalle forti ricadute simboliche: all’attraversamento di un convenzionale confine geografico, invisibile, corrispondeva un significativo e ben più reale attraversamento mentale e psichico. Per molti, varcare quella linea immaginaria significava aver raggiunto realmente “un altro mondo”. Attraversare l’Equatore era insomma l’inequivocabile segno di essere davvero lontani da casa.
Come non pensare allora, alla luce di queste profonde riflessioni che ho condiviso con Tiziana Grassi, che ringrazierò sempre per avermi dischiuso questo straordinario mondo di conoscenza e di complesse sfaccettaure, che questo Inno non dovesse contemplare tutti questi ‘universi’ psicologici delle singole persone e di un’intera collettività, la nostra?
“Italia Patria mia” è idealmente su quelle navi, durante quelle traversate, nel passaggio all’Equatore, vicino agli italiani alla ricerca di una vita migliore. Ma è ancora con loro quando desidera, attraverso la musica, unire, ricongiungere le cosiddette ‘due Italie’, sollecitare l’attenzione su questo passato, che si riverbera nel nostro presente.
I connazionali sentono questo mio desiderio profondo, e continuano a scrivermi per ringraziarci perché, naturalmente dopo l’Inno di Mameli, mi dicono che mancava un Inno che desse voce a tutti loro, al loro vissuto migratorio. E’ una conferma di grande significato, per noi che lo abbiamo scritto e musicato pensando a loro.
Tanti giovani continuano a partire per l’estero dove spesso trovano fortuna. Il Volo, restando al suo settore musicale, ne sono un esempio. L’emigrazione, anche oggi, comporta sacrifici ma può dare grandi risultati di autorealizzazione. Questo Inno ci racconta che la Storia dell’emigrazione italiana continua, magari prendendo aerei e non transatlantici di terza classe.
Questo Inno, senza nessuna retorica o semplificazione, ma con il massimo e dovuto rispetto e attenzione ad ogni singola parola che abbiamo voluto incidere, parla della partenza, dello strappo del distacco, di tutta quella gamma di sentimenti che sono parte della nostra storia migratoria, di un tracciante che, dai luoghi noti e familiari, portava lontano, altrove.
Considerando e partecipando al senso di solitudine, amarezza, speranza, coraggio, spaesamento che ogni persona che migra, ieri come oggi, porta nel suo personale, interiore bagaglio. Se è vero che l’emigrazione è una lacerazione, segnando un ‘prima’ e un ‘dopo’ nell’esistenza di un uomo, al contempo può anche rappresentare un’opportunità, un campo di possibilità e di autorealizzazione. Ma a quale prezzo?
Oggi l’Italia è tornata ad essere un Paese di emigrazione, e quasi ogni anno sono oltre 100mila le persone che sono costrette a partire per realizzare un sogno o semplicemente vivere dignitosamente, lavorando. E’ una conquista il lavoro e la dignità che ne consegue, mentre dovrebbe essere la base esistenziale di tutti. E invece non è così.
Sono dunque cambiate le caratteristiche dei migranti: non più persone poco alfabetizzate ma pur sempre portatrici di valori, mestieri e competenze professionali, come erano i nostri connazionali che emigravano tra Otto e Novecento, ma laureati, ricercatori, medici, informatici. Non più traversate di un mese ma voli aerei. Ma è sempre capitale umano che va via, che è costretto ad emigrare, e sono talenti che spesso non torneranno più, che non potranno riportare ‘a casa’ il portato della loro esperienza formativa all’estero.
E’ una grave perdita per il nostro Paese, che manca di ‘visione’. E poi c’è lo smarrimento, lo strappo personale insieme alla legittima, dolorosa e talvolta straniante ricerca di realizzare il proprio progetto di vita.
Questo Inno, nel parlare di partenza, di emozioni e ricordi, parla anche di loro, e a loro. I nuovi migranti. Al di là del tempo e dello spazio. Come solo la Musica sa fare.