Expo Milano 2015 è giunto al termine. I commenti riguardo al tema, alle architteture, all’organizzazione, alle dichiarazioni istituzionali sono stati fertili fonti di ispirazione per i media di tutto il mondo. Post, tweet e articoli hanno sviscerato chirurgicamente ogni aspetto dell’evento. Ma qual è il fuoco vivo che per sei mesi ha animato l’Expo?
Per L’Italo-Americano ho incontrato otto ragazzi. Testimoni di esperienze uniche, ambasciatori per la propria nazione, divisi da storie e culture distanti ma uniti da un’unica cosa: l’amore incondizionato per la pizza. Sono coloro che hanno reso tutto possibile. Sono gli “Humans of Expo”.
RONIQUEE fa parte del progetto Student Ambassador. Lei e i suoi centoventi colleghi rappresentano l’eccellenza americana e in qualità di ambasciatori del Padiglione Usa guidano i visitatori nella scoperta dei contenuti esposti. Roniquee è arrivata da New York alla fine di luglio, ma l’Italia per lei è una vecchia conoscenza. Ha vissuto a Bologna per quattro mesi. “Credo che l’Expo sia un’occasione incredibile. Rappresenta un centro di scambio di idee e punti di vista. Visitando gli altri padiglioni è stato entusiasmante osservare i diversi approcci di ciascun Paese verso le stesse problematiche.
Credo che negli Stati Uniti la forza della diversità potrebbe essere un tema appropriato da affrontare all’interno di una ipotetica esposizione universale. In America ci sono moltissimi stranieri, ogni Stato è diverso dagli altri e all’interno di ogni Stato ci sono tantissime sfumature. Credo che sarebbe davvero interessante.
Stando qui all’Expo ho imparato molto riguardo alla cultura del cibo. Per gli italiani i pasti, il mangiare, non è solo questione di alimentazione, si è legati al pensiero di quello che rappresenta. I pasti sono un appuntamento nella giornata per stare insieme agli altri, per condividere, per passare del tempo in compagnia. A New York non è così, avviene tutto molto velocemente. Ma, se si viene negli Usa, bisogna saper trovare il tempo per assaggiare l’apple pie, la torta di mele. Servita con gelato, però. Senza gelato non è la stessa cosa!
BERBER è arrivata all’Holland Pavilion da due settimane. Non è la sua prima volta in Italia, racconta di esserci già stata. Lei e la sua amica Noa preparano nachos e hot dog in un chioschetto sotto la ruota panoramica. Anche se un po’ indaffarate, tra un’ordinazione e un cliente trovano il tempo per chiacchierare con me. “Le persone qui sono molto eleganti, hanno tutti un aspetto così curato. Sia gli uomini che le donne sono sempre alla moda. In Olanda non è così. Non badiamo molto a queste cose. In più voi italiani usate moltissimo l’automobile: per andare a prendere i bambini scuola o per brevi tragitti. Gli olandesi preferiscono spostarsi in bicicletta. E’ raro che si prenda l’auto. In questi giorni non ho imparato moltissimo sugli italiani, però conosco qualche parola. Ammetto di divertirmi a osservare i visitatori. Sembrano sempre un po’ spaesati. Assomigliano a pecore. Camminano senza sapere dove stanno andando e senza realmente guardare cosa ci sia intorno. Questa cosa mi fa sorride. Se l’Expo fosse in Olanda, non so quale potrebbe essere il tema. Magari la birra, ma probabilmente sarebbero tutti ubriachi, non saprei… Ma se tu dovessi venire in Olanda, un piatto tipico da assaggiare è lo stamppot. E’ una pietanza a base di patate e misto di verdure schiacciate. Lo stamppot c’è sempre sulle nostre tavole, soprattutto ora che sta arrivando l’inverno.
AHMED è parte dello staff del Sultanato dell’Oman. Lavora all’Expo da sei mesi, posa per i visitatori vestito con gli abiti caratteristici del suo Paese. Mentre risponde alle mie domande sembra quasi che non riesca a smettere di sorridere, per lui questa esperienza è entusiasmante. “Quando fai le foto, a volte, le persone si comportano in modo strano. E’ divertente guardarli e stare con loro mentre si inventano posizioni bizzarre o provano ad abbracciarti. Amo gli italiani, sorridono sempre, urlano e gesticolano tanto. Sono pieni di vita. Possono litigare e dopo dieci minuti fare pace e tornare a scherzare come se nulla fosse successo. Sono davvero ospitali. Dell’Italia amo l’arte e il cibo. Qui, però, le persone sono molto stressate, lavorano tanto, sono tutti concentrati sulle loro carriere. In Oman siamo più rilassati. Molto spesso dobbiamo affrontare delle difficoltà per via di un ambiente ostile, ma abbiamo un grande rispetto per la natura.
Se ci dovesse essere l’Expo nel mio Paese il tema ruoterebbe intorno all’uso e alla conservazione delle risorse naturali. L’acqua per noi è un argomento essenziale, è una cosa che abbiamo voluto evidenziare anche all’interno del padiglione. Se dovessi visitare l’Oman non puoi non provare almeno una volta l’halwa. E’ un dolce a base di datteri, un dessert tradizionale davvero buono.
DHARI arriva dal Kuwait ed è in Italia da cinque giorni. Conosce Milano, Firenze e Como, ma il suo amore per lo Stivale si declina in pietanze come i ravioli o il pane con mozzarella e pomodoro, che mi rivela essere un recente colpo di fulmine. “Gli italiani sono davvero delle brave persone. Amo il tempo che avete qui, da noi non è mai mite. Mi diverto molto all’Expo, ma da quando sono qui, l’esperienza più bella l’ho avuta in metropolitana. Ho incontrato dei tifosi della Juventus, la squadra di calcio. Erano tutti lì che cantavano e urlavano, mi è piaciuto tantissimo assistere alla loro euforia. Però io sono un tifoso della Roma. No Totti, no party. Scrivilo, eh. Cosa mangiare in Kuwait? Il nostro piatto più gustoso è il Kabsa, un mix di riso e carne.
ATTILA è un artigiano, fabbrica scarpe di pelle davanti al padiglione dell’Ungheria. E’ all’Expo da due settimane, ma l’Italia la conosce molto bene. Compro qui il materiale per le mie creazioni e devo dire che l’Italia e l’Ungheria si assomigliano molto nel commercio. Il turismo e la gastronomia, invece, sono due cose che non hanno in comune. L’Italia ha città molto più grandi, più posti da visitare, più eventi a cui partecipare. In Ungheria è tutto più ridimensionato. Amo molto il cibo italiano, la pasta ai frutti di mare è la mia preferita. Se dovessi, invece, consigliare un piatto tipico del mio Paese sarebbe il gulyás, una zuppa di verdure e carne. Può essere molto piccante. Noi mettiamo la paprika dappertutto! Ecco, l’Expo in Ungheria potrebbe essere sulla paprika.
ROCI vive in Italia da tre anni e dice di averla visitata quasi tutta. Da sei mesi è parte dello staff dell’Israele. “Un piatto tipico? Non esiste una vera e propria tradizione culinaria israeliana, è più una cucina fatta di influenze straniere. La shakshuka fa parte della nostra cultura, è una pietanza a base di legumi e uova. Devo dire che da sociologo per me l’Expo è un’occasione davvero stimolante. Qui ho la possibilità di studiare la materia con un approccio diverso attraverso le persone, i ristoranti, il cibo. Resto sempre sorpreso davanti alla pazienza dei visitatori e soprattutto degli italiani. Qui ho visto persone che hanno avuto la forza di affrontare file d’attesa lunghe più di due ore. Nel mio Paese sarebbe impossibile, in Israele è tutto molto più veloce, più stressante.
Sarebbe bello se potesse esserci Expo da noi, in futuro. Un’esposizione universale della pace. Credo che sarebbe un’occasione straordinaria per ciascun Paese, ciascuno che affronta un tema così complesso attraverso la propria storia. Se dovesse esserci un Expo in Israele, sì, dovrebbe essere sulla pace”.
YANESSA viene dall’Angola. Questa è la sua prima volta in Italia, ma da quando è qui è già stata a Roma, Venezia e Milano. Da agosto lavora come una guida all’interno del padiglione del suo Paese. “Il turismo è molto importante in Angola, le persone conoscono poco di questo Stato e la nostra cultura ha molto da offrire. Se dovesse esserci l’Expo in Angola sarebbe sicuramente riguardo al turismo. Agli italiani piacerebbe.
Nel tempo che ho trascorso qui ho scoperto che gli italiani sono davvero disponibili. Se hai bisogno di aiuto non ti rispondono mai sgarbatamente, ma cercano sempre di dare una mano. Mi piace il loro modo di essere. Sono sempre gentili, ti trattano come se fossi un loro amico anche se li hai appena incontrati. Poi, il cibo italiano è davvero ottimo e molto meno costoso di quanto lo sia in Angola, anche se non è possibile trovare tutti gli ingredienti. Per esempio, c’è un piatto tipico della nostra cultura, il calulu, a base di pesce, cipolla, pomodoro e ocra. Ma L’ocra è un ingrediente che in Italia non si trova”.
SANDESH RAJ è un ragazzo del Nepal. Lavora nel negozio di souvenir di fronte al suggestivo tempio in legno. Non era mai stato in Italia prima d’ora e da quando è arrivato a Milano, questo luglio, sta cercando di visitare tutti i luoghi che circondano la città. Gli chiedo del terremoto e sorridendo mi dice che bisogna saper trovare la forza di reagire anche stando lontani da casa. “Ammiro molto la curiosità degli italiani. Sono davvero interessati a conoscere quanto più è possibile. Chiedono del nostro tempio, del nostro cibo, della nostra cultura. Vogliono sapere di Buddha, della nostra arte. E’ bello vederli così appassionati.
Se ci dovesse essere l’Expo in Nepal mi piacerebbe vedere la stessa passione. La vita selvaggia potrebbe essere un valido tema, è un argomento che ci sta molto a cuore. Credo che sia importante conoscere e tutelare le specie rare e un evento del genere sarebbe un’ottima occasione per sensibilizzare gli altri Paesi. Beh, pensandoci, un altro tema potrebbe essere la musica. In Nepal abbiamo una tradizione musicale molto particolare, sarebbe bello poterla far conoscere. Ma chi viene in Nepal deve essere pronto a mangiare il nostro menù classico a base di carne. Chiedete del newari”.