Mistral made of Gragnano, a town of just under 30.000 not far from beautiful Naples, the historical heart of dry pasta-making in Italy. But we’re not talking about the dry wind born in the South of France that graces the whole Mediterranean with its coolness, but of a peculiar variety of it, the Marino — as it is commonly known — which blows from the sea towards the land and brings humidity and saltiness to the coast.
This is the natural characteristic that made of Gragnano the city of pasta. The reason is well explained to BBC Travel by Giuseppe Di Martino, head of Pastificio Di Martino and member of a family that has been producing pasta for three generations: “ You could produce and dry pasta every day (in Gragnano) because of the predictability of this wind blowing inside the village into the valley.” It is as simple as that.
Indeed, the geographical location of the town has been key to its role in dry pasta production: facing the sea, it is protected on the remaining three sides by mountains, guaranteeing the precious marino wind doesn’t get dispersed. The town itself was, in fact, cleverly built to “channel” the breeze through buildings and maintain ventilation constant in its streets, especially in Via Roma, where most of pastifici are set. Yes, because the wind is a key ingredient here, as it is needed to make of local pasta, dry pasta, the “white gold” Gragnano is known for.
Let’s clarify one important thing before going on: the crucial difference between dry and fresh pasta. These culinary sisters are just as popular around the world, but some may not know the real difference between the two. Fresh pasta, which is typical of the northern regions of the country, is made with water, flour and egg, and consumed “fresh,” that is, when it’s still “soft.” Tagliatelle, all filled pastas and lasagna sheets are just some examples of it. Sure, you can now find dry versions of some varieties of fresh pasta nowadays, but they don’t really compare with the real thing.
Dry pasta, on the other hand, uses only durum wheat semolina and water, and it’s made using bronze dies that gives it a particularly rough texture, perfect to hold better to the sauce. Crucial for this type of pasta is the drying process, which makes it more durable in time.
Since the 18th century, Gragnano made of dry pasta its main export. Before then, the town was known for its silk, but when, towards the end of the 1700s, silkworm fell victim to a devastating illness, locals had to reinvent their trade and maccheroni making became their thing. However, according to historian Giuseppe di Massa of the Centro di Cultura e Storia di Gragnano e Monti Lattari Alfonso Maria Di Nola, the town’s love story with pasta is much older than that and dates to the early years of the Renaissance, in 13th century, when official records speak of the local production of seccata, another way to call dry pasta. Di Massa also mentions what probably is the first health endorsement of pasta consumption in history, found in the knowledgeable words of Giovanni Ferrario, personal physician to King William II of Sicily and teacher at the renowned medical school of Salerno University, who waxed lyrical about the benefits of al-dente vermiculos (vermicelli) for those recovering from typhoid fever.
Thanks to its pasta-making — and drying, of course — tradition, Gragnano was also part of the Grand Tour, as Di Martino explained to BBC Travel: “When European nobles came to Gragnano, in order to prove they had done part of the Grand Tour, they would bring pasta back to say they’ve been to Gragnano,” just like we do today, when we come to Italy and bring back heaps of food to our family and friends.
In the early 20th century, the role of Gragnano as queen of dry pasta was well established, with almost 120 pasta factories at work in town, but crisis was just around the corner. The creation of special ventilation rooms, which made drying quicker, and the mechanization of the pasta-making process reduced the number of factories to about 40 and caused an increase in unemployment.
And so people emigrated to the US, exporting their pasta-making know-how to the other side of the pond, which came quite handy during the First World War when Italy stopped exports.
In spite of the difficulties, Gragnano didn’t let change ruin its century-long tradition, it quite simply tweaked its objectives a little to focus no longer on quantity but quality: this is how its dry pasta became the champagne of dry pasta. Today, the wheat used by Gragnano 14 pasta-making factories all comes from close by Gravina di Puglia, which means there is no time for molds and toxins to develop, granting quality to the final product. Key to pasta production are traditional methods and the idea of “terroir,” borrowed from the world of wines, to the point that, just like it happens for wine producers, Gragnano pasta makers must comply with rigorous regulations if they want their product to be considered bona fide “pasta di Gragnano.”
And it is this pasta that, every year in September, is cooked in stands along the town’s streets during the Festa della Pasta di Gragnano, an occasion for the local community to celebrate the product and the heritage that placed it onto the world’s culinary map and to remember that, sometimes — and especially today — local and old fashioned is, indeed, better.
Il maestrale ha fatto di Gragnano, cittadina con poco meno di 30.000 abitanti non lontano dalla bellissima Napoli, il cuore storico della pasta secca in Italia. Non stiamo parlando del vento secco che nasce nel sud della Francia e che con la sua freschezza rinfranca tutto il Mediterraneo, ma di una sua peculiare varietà, il Marino – come è comunemente noto – che soffia dal mare verso la terraferma e porta umidità e salsedine sulla costa.
Questa è la caratteristica naturale che ha fatto di Gragnano la città della pasta. Il motivo è stato ben spiegato alla BBC Travel da Giuseppe Di Martino, capo del Pastificio Di Martino e membro di una famiglia che produce pasta da tre generazioni: “Si poteva produrre e asciugare la pasta tutti i giorni (a Gragnano) per la prevedibilità di questo vento che soffia a valle nel paese”. È così semplice.
Infatti, la posizione geografica della città è stata fondamentale per il suo ruolo nella produzione di pasta secca: affacciata sul mare, è protetta sui tre lati rimanenti dalle montagne, garantendo che il prezioso vento marino non si disperda. La città stessa, in realtà, è stata sapientemente costruita per “incanalare” la brezza attraverso gli edifici e mantenere costante la ventilazione nelle strade, soprattutto in via Roma, dove si trova la maggior parte dei pastifici. Sì, perché qui il vento è un ingrediente fondamentale, in quanto serve per fare la pasta locale, la pasta secca, “l’oro bianco” per cui Gragnano è conosciuta.
Chiariamo una cosa importante prima di andare avanti: la differenza cruciale tra pasta secca e pasta fresca. Queste sorelle culinarie sono altrettanto popolari in tutto il mondo, ma alcuni potrebbero non conoscere la vera differenza tra le due.
La pasta fresca, tipica delle regioni settentrionali del Paese, è fatta con acqua, farina e uova, e viene consumata “fresca”, cioè quando è ancora “morbida”. Le tagliatelle, tutte le paste ripiene e le lasagne sono solo alcuni esempi. Certo, oggi si possono trovare versioni asciutte di alcune varietà di pasta fresca, ma non sono paragonabili a quelle originali.
La pasta secca, invece, utilizza solo semola di grano duro e acqua, ed è realizzata con trafile di bronzo che le conferiscono una consistenza particolarmente ruvida, perfetta per trattenere meglio il sugo. Fondamentale per questo tipo di pasta è il processo di essiccazione, che la rende più resistente nel tempo.
Fin dal XVIII secolo, Gragnano ha fatto della pasta secca la sua principale esportazione. Prima di allora, la città era nota per la seta, ma quando, verso la fine del ‘700, i bachi da seta furono vittime di una malattia devastante, gli abitanti del luogo dovettero reinventarsi il mestiere e la fabbricazione dei maccheroni divenne la specialità locale. Tuttavia, secondo lo storico Giuseppe di Massa del Centro di Cultura e Storia di Gragnano e Monti Lattari Alfonso Maria Di Nola, la storia d’amore del paese con la pasta è molto più antica e risale ai primi anni del Rinascimento, al XIII secolo, quando i documenti ufficiali parlano della produzione locale di seccata, un altro modo di chiamare la pasta secca. Di Massa cita anche quello che probabilmente è il primo endorsement al salutare consumo di pasta nella storia, che si ritrova nelle sapienti parole di Giovanni Ferrario, medico personale del re Guglielmo II di Sicilia e docente presso la rinomata scuola di medicina dell’Università di Salerno, che ha scritto liriche sui benefici dei vermiculos (vermicelli) al dente per chi si sta riprendendo dalla febbre tifoidea.
Grazie alla sua tradizione nella produzione della pasta – e naturalmente alla sua essiccazione – Gragnano ha fatto parte del Grand Tour, come ha spiegato Di Martino alla BBC Travel: “Quando i nobili europei venivano a Gragnano, per dimostrare di aver fatto parte del Grand Tour, portavano a casa la pasta per dimostrare di essere stati a Gragnano”, proprio come facciamo noi oggi, quando veniamo in Italia e portiamo un sacco di cibo alla nostra famiglia e ai nostri amici.
All’inizio del XX secolo il ruolo di Gragnano quale regina della pasta secca era ben consolidato, con quasi 120 pastifici all’opera in città, ma la crisi era alle porte. La creazione di speciali locali di ventilazione, che rendevano l’essiccazione più rapida, e la meccanizzazione del processo di produzione della pasta, ridussero il numero di fabbriche a circa 40 e provocarono un aumento della disoccupazione.
E così la gente emigrò negli Stati Uniti, esportando il proprio know-how di pastai dall’altra parte dell’Atlantico, cosa che si rivelò molto utile durante la prima guerra mondiale, quando l’Italia smise di esportare.
Nonostante le difficoltà, Gragnano non ha lasciato che il cambiamento rovinasse la sua tradizione secolare, ha semplicemente modificato un po’ gli obiettivi per puntare non più sulla quantità ma sulla qualità: è così che la sua pasta secca è diventata lo champagne della pasta secca. Oggi il grano utilizzato dai 14 pastifici di Gragnano proviene tutto dalla vicina Gravina di Puglia, il che significa che non c’è tempo per lo sviluppo di muffe e tossine, garantendo qualità al prodotto finale. La chiave per la produzione della pasta sono i metodi tradizionali e l’idea di “terroir”, mutuata dal mondo del vino, al punto che, proprio come accade per i produttori di vino, i pastifici di Gragnano devono rispettare un regolamento rigoroso se vogliono che il loro prodotto sia considerato autentica “pasta di Gragnano”.
Ed è proprio questa pasta che, ogni anno a settembre, viene cucinata negli stand lungo le strade della città in occasione della Festa della Pasta di Gragnano, un’occasione per la comunità locale di celebrare il prodotto e il patrimonio che l’ha posta sulla mappa culinaria mondiale e di ricordare che, a volte – e soprattutto oggi – locale e vecchio stile significano davvero qualcosa di meglio.
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