Gorizia, comune del Friuli Venezia Giulia di 35.803 abitanti.
La città è punto di congiunzione fra il mondo latino, slavo e germanico. La componente italiana si articola in due realtà linguistiche e culturali, quella friulana, originaria della città, e quella giuliana, dovuta al passato asburgico e ad un’antica immigrazione alimentata in gran parte dagli esuli provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia. Più o meno nell’area dove si trova la città sorgevano, fin dal I secolo a.C., due centri abitati romani: Castrum Silicanum da cui trasse origine il villaggio di Salcano, oggi Solkan, un sobborgo di Nova Gorica; e Pons Aesontii, attuale località Mainizza, dove sorgeva una mansio nel punto in cui attraversava il fiume Isonzo e che collegava l’Italia alla provincia norica.
Il nome deriva dallo slavo gorica (leggi gorìza), diminutivo di gora (monte), e significa collina. Si tratta di un toponimo comune in Friuli che sta ad indicare il ripopolamento della zona da genti slave dopo le devastanti incursioni degli Ungari (IX secolo). Il nome di Gorizia compare per la prima volta nell’anno 1001. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, subito dopo la resa italiana dell’8 settembre 1943, il Goriziano fu teatro di un’eroica resistenza all’invasione nazista. Con l’arrivo dei partigiani jugoslavi a Gorizia nel maggio del 1945 iniziarono le repressioni che toccarono l’apice fra il 2 e il 20 maggio nei confronti degli oppositori al regime. Si contarono un numero imprecisato di civili scomparsi e fra i militari.
Al termine del conflitto, con il trattato di pace, il comune dovette cedere i tre quinti del territorio alla Jugoslavia e il 15% della popolazione residente. Il centro storico e l’area urbana restarono però in territorio italiano. Paragonata a Berlino, tagliata in due dal confine protetto da torri armate di mitragliatrici, Gorizia ha rappresentato, nella seconda metà degli anni ‘40 e ‘50, un valico clandestino per i cittadini jugoslavi e dei Paesi del patto di Varsavia ed un rifugio per tanti esuli giuliani e istriani, integratisi nel tessuto economico e sociale.
Isola del Liri è un comune laziale di 12.191 abitanti della provincia di Frosinone.
Il centro cittadino si sviluppa su un’isola formata dal fiume Liri, dove questo si biforca in due bracci che in prossimità del centro cittadino, all’altezza del castello Boncompagni – Viscogliosi, formano ciascuno un salto, la Cascata Grande e la cascata del Valcatoio (o come era chiamata anticamente, del Gualcatojo). La Cascata Grande è formata dal braccio di sinistra del fiume, ed è alta circa 27 metri: una delle poche cascate a trovarsi nel centro storico di una città. La cascata del Valcatoio, formata dal braccio di destra del fiume, è meno spettacolare della prima anche perché le sue acque sono irregimentate e captate per alimentare un impianto di produzione elettrica. Il suo salto non è verticale, ma segue un piano inclinato di circa 160 metri lungo un dislivello di circa 27 metri con una pendenza del 17% circa.
Il primo nome registrato della città fu Insula Filiorum Petri, cioè Isola dei figli di Pietro, gastaldo di Sora. In realtà già in un documento del 1004 si registra una località nel contado denominata Colle dell’Isola. Nell’uso comune e nella cartografia fu sempre Isola, talvolta con la specificazione di Sora, perché legata alla vicina Sora, di cui seguì le sorti fino all’età napoleonica. A seguito dell’unificazione nazionale, nel 1863 Isola divenne Isola presso Sora per ottenere nel 1869 il nome attuale. La città nel Medioevo cadde, alternativamente, sotto il dominio bizantino e longobardo, finché divenne parte della contea di Sora nel Principato di Capua. Alla fine del XIV secolo, Isola del Liri fu ceduta alla famiglia Cantelmo. Durante l’Ancien Régime la città conobbe un’economia florida e un migliore assetto urbanistico.
Per molti anni Isola del Liri fu sede dei duchi di Sora e il suo castello fu il principale centro amministrativo del ducato. Nell’ultimo periodo del triennio giacobino, e in particolare nel maggio 1799, a Isola ebbe luogo l’eccidio nella chiesa di San Lorenzo Martire: oltre cinquecento persone che si erano riparate nel luogo di culto furono trucidate dall’esercito rivoluzionario.