Non è tutto oro quel che luccica, ma l’arte dei gioielli resta un pilastro dell’export made in Italy nel mondo

Il settore orafo-argentiero-gioielliero italiano rappresenta uno dei comparti manifatturieri trainanti nella promozione del Made in Italy nel mondo.

Però la crisi (e la continua incertezza dei prezzi delle materie prime pre-ziose) c’è e ne soffre un comparto che, per saldo attivo, è al primo posto tra quelli del gruppo moda ed accessori. La crisi si sente (le quantità di oro trasformate negli ultimi dieci anni sono passate da 500 tonnellate a poco più di 100), anche se rappresenta comunque uno dei più importanti pilastri dell’export italiano.

Non solo detiene il sesto saldo commerciale attivo con l’estero, preceduto solo da: carburanti e combustibili, parti e accessori per auto, macchine per la lavorazione di plastica e gomma, rubinetti ed elettrodomestici. Ma è uno dei settori che “vivono” più fuori che dentro casa: le esportazioni rappresentano i 2/3 della produzione.

Ovvero, il 70% del finito orafo-gioielliero italiano è destinato ai mercati internazionali, sebbene la domanda interna non sia totalmente crollata, sostenuta da una Borsa favorevole. Un dato a conferma: nel 2010 le quotazioni dell’oro sono aumentate del +32,6% rispetto al 2009, l’argento del +89,4% e il platino del +16,4%.

Il punto è che, nonostante i buoni segnali di tenuta, dall’inizio degli anni 2000 il settore è entrato in una fase di sofferenza e rallentamento che ne ha compromesso la leadership mondiale. Ed è questo che motiva a chiedere di rimettere al centro dell’attenzione l’azienda di produzione orafa-argentiera-gioielliera italiana ed il prodotto italiano.
 
Perchè di prodotto nazionale si deve parlare, se si considerano le tante zone del Paese interessate. Il settore si concentra in alcuni distretti di punta: Vicenza, Arezzo, Valenza Po e Napoli per l’oreficeria e la gioielleria in oro, Padova, Firenze, Palermo e le Marche per l’argenteria. E conta più di 9mila unità produttive in tutta Italia, dando lavoro diretto ad oltre 40.000 addetti senza calcolare il valore della filiera distributiva (24.000 punti di vendita) e dell’indotto (sistemi fieristici, assicurazioni, trasporto valori, ecc.).
 
Numeri che da un lato mostrano una capillare distribuzione ma dall’altro esprimono la fragilità che fa da comune denominatore per la gran parte delle imprese italiane: “nanismo” aziendale e comparto “polverizzato”. In nu-meri: avere quasi 40mila addetti per 9mila imprese vuol dire poco più di 4 dipendenti ad azienda,   stando ai dati di Confindustria Federorafi, che rappresenta oltre 500 aziende industriali e cioè quasi la totalità del settore.
 
Quel che preoccupa di più è che la crisi non ha interessato altri Paesi. India, Cina e Turchia,  nello stesso arco temporale, han-no avuto performance estremamente positive.
L’India e la Cina poi, nell’ultimo quinquennio, hanno raddoppiato la loro quota mondiale di export. Thailandia, Vietnam, Malesia sono cresciuti entrando nei top 15 dell’export di gioielleria. India e Cina inoltre, sono diventati tra i maggiori esportatori in Usa mentre l’Italia, nel suo principale mercato di sbocco (30% all’inizio degli anni 2000), ha perso in 10 anni ben il 60-70% di quota.
 

Licia Mattioli, Federorafi

Questo fa anche sì, come si rileva dall’analisi di Licia Mattioli, presidente di Confindustria Federorafi nella sua relazione dello scorso luglio, che “stanno sempre più diventando rilevanti le quote di gioielleria importata in Italia dai Paesi asiatici”.
Analizzando il mercato estero poi, Mattioli dice: “Oggi non può esistere alcuna attività di internazionalizzazione disgiunta da un’effettiva politica di riduzione e abbattimento delle barriere doganali e non, che ostacolano l’accesso ai mercati”.
 
Un freno pesantissimo per il settore orafo italiano considerata “la sua straordinaria vocazione all’interna-zionalizzazione”. E perché, per l’incidenza della materia prima, anche aliquote daziarie basse, come quelle Usa del 5,5%, pre-giudicano ogni possibilità di commercio perché impattano sul valore aggiunto con una percen-tuale vicina al 70%!”. Ancor più pesante quindi, la barriera del Brasile dove il dazio è del 18%, della Russia del 20%, l’India col 10% o la Cina con il 20-35%.
 
 Se i margini di ripresa ci sono, perchè il settore dei gioielli e dell’oreficeria non sembra essere in crisi, è anche vero che “il baricentro del commercio si è spostato ad Oriente relegando l’Europa e gli Stati Uniti ad un ruolo meno importante”. Ne consegue che le politiche di settore devono urgentemente cambiare.
 
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