“I was a small-town kid who loved poetry:” this is how Gian Maria Annovi describes himself, thinking back to his beginnings and to his first poems. Born in 1978 in Scandiano, a small town in the hills of Emilia, Annovi is now among the semifinalists for the Strega Poetry Prize, Italy’s most important literary award.
A career that took off in 1998 when, with a small publisher, he debuted with his first collection, Denkm, followed by five others, until Discomparse, published by Nino Aragno Editore in 2023. It was the latter that caught the attention of the Premio Strega jury, along with 11 other words, selected among 144 candidates. “This collection brings together writings from a fairly long period. I don’t write much and I tend to rewrite a lot. I’m not that prolific,” Annovi explains. The poet has a degree in Philosophy from Bologna, a doctorate in Italian Studies from Columbia University in New York, and has been living in Los Angeles for eleven years, where he teaches Italian literature at the University of Southern California (USC).
How did your debut in poetry come about?
I started writing very early, and by the age of 20, I attempted to circulate some of my poems. We’re talking about the pre-internet era when people still sent letters. At one point, I decided to send them to what I thought was the most important poet, Andrea Zanzotto, who had recently published a reissue of “Galateo in Bosco.” I still remember with great excitement when I received his phone call. He did some minor editing to my collection and came out with the title for a poem I had dedicated to him. I recall him saying, “Here, as a title, I would put a nice asterisk, as it captures the idea of the unpronounceable evil you’re discussing.”
What style does your poetry have?
Conceptual, reasoning. Typically, my texts are part of a series, and each series is like a narrative, a kind of story, which can revolve around an idea or an actual tale. So, the individual text has a relative value; it works in this system, which I call a series. It’s a type of poetry between experimentation and a sort of contemporary lyricism, and it questions the centrality of the subject.
Some of your poems have been translated into English, Spanish, German, and French and included in numerous anthologies. How faithful can a translation be in another language?
Poetic translation is the most challenging because keeping both form and content is nearly impossible, you must necessarily sacrifice something. What’s important to me is to convey the essence of the poem, to reach in translation the effect the author aims to reach in the original language. For this reason, I’m not opposed to modifying the texts. For instance, in my bilingual collection ‘Kamikaze and Other People’ from 2010, the original texts and my English translations are significantly different. They’re so distinct that I refrain from calling them ‘versions’ in the traditional sense. This distinction pertains to the verse, akin to an animal’s cry, expressing a need, and at times, pain or suffering. This emphasizes the importance of conveying the essence of expression over adhering strictly to form.
What subjects do you teach at USC?
I teach courses in Italian literature, cinema, and culture, as well as graduate courses in comparative literature, especially media studies or translation studies. I’ve focused extensively on experimental poets like Amelia Rosselli, Andrea Zanzotto, and Antonio Porta, all in the avant-garde area. In the last 15 years, I’ve also worked extensively on Pier Paolo Pasolini, who is not only a poet but also a multimedia artist. Among my most recent scholarly publications, is “Pier Paolo Pasolini: Performing Authorship” (Columbia University Press, 2017), for which I received the Flaiano International Prize and the MLA Howard R. Marraro Prize for Italian Studies.
What projects are you currently working on?
I’m working on a second book on Pier Paolo Pasolini and have a book in progress on Nanni Balestrini, who was a writer, a poet, and one of the main figures of the Italian neo-avant-garde. On June 12, I’ll be flying to New York because CIMA, the Center for Italian Modern Art, is hosting an exhibition on him, and I’ve been invited as a keynote speaker.
What other authors have you been involved with?
Last year, on the occasion of Calvino’s centenary, I organized, in collaboration with USC Dornsife and the Italian Cultural Institute of Los Angeles, “Six Memos for the Present 1923-2023,” a lecture series that offered an interdisciplinary perspective on Italo Calvino’s legacy. Several scholars and artists joined the event, including Gian Maria Tosatti, who represented Italy at the Biennale Pavilion two years ago. We also held an event with the novelist and poet Andrea Bajani, who gave a lecture on Calvino’s language.
What period is Italian literature going through in the USA?
The interest in Italian culture in America is almost a form of fetishism, in the sense that everything Italian carries an aura of prestige and beauty, which, of course, is a stereotype. That said, people here generally know the more commercial authors, as in the case of Ferrante. In academia, Italian studies, like all disciplines dealing with national cultures and languages in particular, are in a state of crisis, not only in America but also in Europe. Italian departments abroad are struggling, but this is a general problem related to our society, which doesn’t value reading at all, not even thoughtful, deliberate, slow reading. Today’s values are different, more related to the speed of technology than to the depth of poetry.
“Ero un ragazzino di provincia che amava la poesia”. Si definisce così Gian Maria Annovi, ripensando ai suoi esordi, alle sue prime poesie. Nato nel 1978 a Scandiano, un piccolo paese tra le colline emiliane, Annovi è ora tra i semifinalisti al Premio Strega Poesia, il più importante riconoscimento letterario italiano.
Una carriera che ha preso il via nel 1998 quando, con un piccolo editore, esordisce con la sua prima raccolta, Denkmal, alla quale ne sono seguite altre cinque, fino a Discomparse, pubblicata da Nino Aragno Editore nel 2023, che ha catturato l’attenzione della giuria del Premio Strega, insieme ad altri 11, tra 144 candidati. “Questa raccolta raccoglie quasi dieci anni di scrittura. Io scrivo poco e tendo a riscrivere molto, non sono tanto prolifico”. Mi racconta Annovi, che dopo una laurea in Filosofia a Bologna e un dottorato in Italian Studies alla Columbia University di New York da undici anni vive a Los Angeles, dove insegna letteratura italiana alla University of Southern California (USC).
Come è avvenuto il suo esordio nella poesia?
Ho iniziato a scrivere molto presto e arrivato all’età di 20 anni ho provato a mandare in giro alcune mie poesie. Stiamo parlando dell’epoca pre-internet, quando si spedivano ancora le lettere. A un certo punto mi sono deciso a inviarle a quello che secondo me era il poeta più importante, Andrea Zanzotto, che aveva da poco pubblicato una riedizione del Galateo in Bosco. Ricordo ancora con grande emozione quando ricevetti la sua telefonata. Ha fatto una specie di piccolo editing alla mia raccolta, si è anche auto-intitolato una poesia che gli avevo dedicato. Ricordo che mi disse: “Qui come titolo metterei un bell’asterisco, perché rende bene l’idea del male impronunciabile di cui parli”.
Che tipo di stile ha la sua poesia?
Concettuale, ragionativa. Normalmente i miei testi fanno parte di una serie, e ogni serie è come un racconto, una specie di storia, che può ruotare intorno a un’idea o una storia vera e propria. Quindi il testo individuale ha un valore relativo, cioè funziona in questo sistema che chiamo serie. È una poesia che si pone tra la sperimentazione e una concezione della lirica contemporanea e che mette dunque in discussione la centralità del soggetto.
Alcune delle sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, tedesco e francese e incluse in numerose antologie. Quante fedele può essere una tradizione in un’altra lingua?
La traduzione poetica è la forma di traduzione più difficile perché mantenere forma e contenuto è pressoché impossibile. Si deve necessariamente rinunciare a qualcosa. Quello che per me è importante è rendere l’effetto della poesia, ovvero l’effetto che l’autore vuole ottenere sul lettore nella lingua originale e per questo motivo non sono contrario a modificare i testi. Per esempio, in una mia raccolta bilingue del 2010, Kamikaze e altre persone, i testi originali e le mie traduzioni in inglese sono molto diversi tra loro, al punto che non le chiamo versioni, proprio nel senso del verso, cioè del verso animale, che è l’espressione di un bisogno, e a volte di un dolore, di una sofferenza. È questo ciò uno deve comunicare: la ragione dell’espressione prima della forma.
Che materie insegna alla USC?
Tengo corsi di letteratura, cinema e cultura italiana e anche dei corsi graduate per letterature comparate, in particolare corsi di media studies o translationstudies. Mi sono occupato molto di poeti sperimentali come Amelia Rosselli, Andrea Zanzotto, Antonio Porta, l’area delle avanguardie. Negli ultimi 15 anni ho lavorato parecchio su Pier Paolo Pasolini, che comunque non è solo un poeta, ma è un artista multi-mediale. Tra le mie pubblicazioni accademiche più recenti c’è il saggio Pier Paolo Pasolini: Performing Authorship (Columbia University Press 2017), per il quale ho ricevuto il Premio internazionale Flaiano e il MLA Howard R. Marraro Prize per l’Italianistica.
Di che progetti si sta occupando al momento?
Sto lavorando su un secondo libro sempre su Pier Paolo Pasolini e ho in cantiere un libro su Nanni Balestrini, che è stato uno scrittore, un poeta e uno dei principali esponenti della neoavanguardia italiana. Il 12 giugno volerò a New York perché al CIMA, il Center for Italian Modern Art, faranno una mostra su di lui e mi hanno invitato per parlarne.
Di quali altri autori si è occupato?
Lo scorso anno, in occasione delle celebrazioni per il centenario di Italo Calvino, ho organizzato Six Memos for the Present 1923-2023, un ciclo di conferenze che miravano a offrire una prospettiva interdisciplinare sull’eredità di Italo Calvino, in collaborazione con USC Dornsife e l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles. Ho invitato alcuni studiosi e artisti come Gian Maria Tosatti che ha rappresentato l’Italia al Padiglione della Biennale due anni fa; abbiamo fatto anche un evento con il romanziere e poeta Andrea Bajani, che ha tenuto una conferenza sulla lingua di Calvino.
Che periodo sta vivendo la letteratura italiana negli Stati Uniti?
L’interesse per la cultura italiana dell’America è quasi una forma di feticismo, nel senso che tutto quello che è italiano ha un’aurea di prestigio e di bellezza, cosa che ovviamente è uno stereotipo. Detto questo, quello che della letteratura italiana si conosce sono gli autori più commerciali, come nel caso di Ferrante. Per quanto riguarda l’ambiente accademico, l’italianistica, come tutte le discipline che si occupano di culture nazionali e lingue in particolare, sono in uno stato di crisi, non solo in America, ma anche in Europa. I Dipartimenti di italianistica all’estero ormai fanno fatica, ma questo è un problema generale legato alla nostra società che non valorizza per nulla la lettura, la lettura anche meditata, pensata, lenta. I valori al giorno d’oggi sono altri, più legati alla velocità della tecnologia che alla profondità della poesia.
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