Fino al 21 giugno Firenze sarà sede della grande mostra “Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico” concepita e realizzata con il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, la National Gallery of Art di Washington e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.
L’Italo-Americano ha intervistato Ludovica Sebregondi, direttrice scientifica della Fondazione Palazzo Strozzi che ospita 50 capolavori provenienti dai più importanti musei archeologici italiani e stranieri. Storica dell’arte ha svolto attività didattica in diverse università italiane e straniere. Tra le mostre curate più recentemente: “Virtù d’Amore. Pittura nuziale nel Quattrocento fiorentino” alla Galleria dell’Accademia; “Il mercante, l’Ospedale, i fanciulli” al Museo degli Innocenti. Al Bunkamura Museum di Tokyo si è aperta nel mese di marzo l’esposizione “Money and Beauty. Botticelli and the Renaissance in Florence”, da lei curata. Si tratta della versione, adeguata al pubblico giapponese, dell’esposizione “Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità” tenutasi nel 2011 a Palazzo Strozzi.
Come è nata l’idea della mostra “Potere e pathos” e la collaborazione con illustri musei statunitensi?
La mostra nasce da un’idea dei curatori, Jens Daehner e Kenneth Lapatin, del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, che sono partiti da una considerazione: gli straordinari bronzi ellenistici sono talmente rari che in genere sono esposi nei musei in uno splendido isolamento e non dialogano tra loro. La mostra doveva essere l’occasione sia per mostrare al grande pubblico opere straordinarie le une accanto alle altre, ma doveva anche offrire l’opportunità di studiarle e analizzarle. Il J. Paul Getty Museum si è dunque rivolto alla Soprintendenza archeologica per la Toscana e a Palazzo Strozzi per riuscire a portare in porto l’ambizioso progetto. Queste collaborazioni confermano la reputazione di eccellenza a livello internazionale di Palazzo Strozzi.
Quali sono le caratteristiche salienti di questa mostra?
La mostra presenta cinquanta opere in bronzo dell’età ellenistica, datate tra il IV secolo avanti Cristo e il primo secolo dopo Cristo. Per comprendere l’importanza dell’operazione bisogna considerare che in tutto il mondo ne sono conservate duecento. Dunque un quarto di queste opere sono oggi a Palazzo Strozzi!
Le statue in bronzo sono rarissime e i bronzi antichi in gran parte perduti perché fusi nei secoli al fine di ottenere metallo da utilizzare per monete, armi o anche nuove opere d’arte.
Così, per esempio, papa Urbano VIII Barberini ordinò di fondere le decorazioni in bronzo del Pantheon per farne il baldacchino di San Pietro e cannoni per Castel Sant’Angelo da cui la celebre pasquinata “quod non fecèrunt Barbari fecerunt Barberini” (quel che non fecero i barbari fecero i Barberini, ndr). Già questo può rendere l’idea della fine che hanno fatto le opere in bronzo, molto diffuse nell’antichità, poiché è un materiale duttile, che si adattava a composizioni dinamiche molto più del marmo.
Le opere, inserite a Strozzi in un suggestivo allestimento di Luigi Cupellini, sono emozionanti, commuovono per la loro capacità di restituire con intenso naturalismo e raffinata sapienza psicologica volti, espressioni, sentimenti di uomini del passato. Ma anche corpi vigorosi e idealizzati, accanto ad altri restituiti con impietoso realismo. Ed è poi possibile notare come molti sommi artisti abbiano tratto ispirazione dalle opere ellenistiche: si può così capire da dove abbiano desunto suggerimenti scultori tanto diversi tra loro come Donatello, Giambologna, Bernini, Gemito, fino a Mitoraj. Nell’arte ellenistica c’era già tutto.
Un altro tema affascinante è quello dei ritrovamenti: storie avventurose di recuperi casuali in mare, anche recenti; statue che restano impigliate nelle reti dei pescatori, o sono rinvenute da sommozzatori. In mostra i video di Rai Teche danno conto di questi fortunati eventi.
Un significativo restauro, che si deve alla generosità della Fondazione non profit Friends of Florence, e che è stato condotto da Nicola Salvioli e diretto da Mario Iozzo sulla Testa di cavallo Medici Riccardi, ha consentito di ridare leggibilità all’opera, facendo anche reperire frammenti della doratura originaria. La Testa ci permette pure di ricordare come queste opere fossero ricercate dai collezionisti già nel passato più lontano: sicuramente appartenuta a Lorenzo il Magnifico, fece forse già parte delle “anticaglie” di suo nonno Cosimo de’ Medici intorno alla metà del Quattrocento.
Quali sono state le difficoltà organizzative o logistiche nella raccolta dei cinquanta bronzi ellenistici, in mostra appunto a Palazzo Strozzi?
Le difficoltà sono state numerose, dato che le opere provengono da musei di tutto il mondo: dal Prado di Madrid, dal Museo Archeologico di Napoli, dal British Museum di Londra, dal Metropolitan di New York, dal Museo Archeologico Nazionale di Atene, da quello di Creta e da quello di Salonicco (con le problematicità legate alla attuale situazione greca), dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dal Louvre, dai Musei Vaticani. L’ultima, drammatica, difficoltà è collegata all’opera che doveva giungere dal Museo del Bardo di Tunisi, proprio nei giorni dell’attentato. Non sappiamo ancora se sarà possibile esporla.
Palazzo Strozzi, diventa per un periodo importante (la mostra “Potere e pathos” sarà visitabile fino al 21 giugno) un fulcro importante di cultura e risonanza internazionale. È un bel traguardo.
Palazzo Strozzi è spesso al centro dell’interesse internazionale: abbiamo organizzato mostre come Primavera del Rinascimento, Bronzino, Pontormo e Rosso, straordinarie e irripetibili, e proprio in questo periodo Palazzo Strozzi è presente a Tokyo, al Bunkamura Museum of Art con Money and Beauty, e a Sao Paulo, dove si è aperta Picasso a Modernidade Espanhola: Obras primas do Museo Reina Sofía. Due nuovi grandi successi a livello mondiale.
Si parla moltissimo di tutela del patrimonio culturale ed artistico nazionale, anche a livello parlamentare. Cosa, a suo parere, si può migliorare e cosa, anche a livello internazionale, si può fare per riuscire a mantenere intatta, la memoria storica che i nostri predecessori ci hanno lasciato?
La salvaguardia della memoria storica è fondamentale e la conoscenza è l’elemento principale per poterla attuare: non si rispetta ciò che non si conosce o ciò di cui non si comprende il valore. Questo è valido politicamente poiché sarebbero necessari maggiori investimenti nel campo dei restauri, della tutela e valorizzazione, ma la conoscenza deve essere diffusa a tutti i livelli e, se la scuola ha una funzione essenziale, compito fondamentale lo hanno anche le famiglie.