Chianti è cultura, tradizioni contadine e scorci naturali di rara bellezza. Immerso nel verde della campagna senese, c’è un borgo che ha lasciato nel cuore del tre volte sindaco di Firenze, giurista e statista tra i principali artefici della Carta Costituzionale italiana, Giorgio La Pira, un ricordo e parole, che ancora oggi si tramandano di anima in anima. “Fonterutoli è come una piccola città. Tutta ordinata attorno alla sua chiesa: sembra un angolo particolare di pace, di solitudine, di speranza. E i suoi abitanti portano nel volto e nel comportamento i segni vivi della fede cristiana, della separanza cristiana”, disse il politico cattolico nel 1953.
Terrazza naturale da cui sbirciare Siena e la Valdelsa, il borgo di Fonterutoli, frazione di Castellina in Chianti, si trova nel cuore della campagna senese. Antico e noto insediamento dell’Antichità, conosciuto come “Fons Rutolae” e “Fons Rutilant”, ci si arriva percorrendo la Strada Statale 222, meglio conosciuta come Chiantigiana, proseguendo sulla quale si raggiunge il centro a Castellina in Chianti.
Inizio a calcare il borgo come in punta di piedi. Avrò scelto un’ora e un periodo particolare, ma in giro non vedo nessuno. A parte un gatto che fa la guardia a una porta aperta. Sotto un tiepido sole si lecca la pelliccia. Poco più avanti mi fa pure compagnia un magnifico destriero nero. Scopro anche il piccolo cimitero. Ritorno un po’ più indietro e incontro quelle parole iniziali incise sulla pietra. Uno dei più noti e amati politici italiani, Giorgio la Pira (Pozzallo, 9 gennaio 1904 – Firenze, 5 novembre 1977), durante il suo primo mandato come sindaco del capoluogo toscano (1951-5), lasciò ai posteri quelle toccanti parole inerenti alla sua permanenza del borgo, a cui fanno seguito queste: “Io non lo dimenticherò mai: nel 1943, in casa Mazzei, per tre mesi vi trascorsi un periodo ricco di preghiera e fecondo di attesa. Sono grato al Signore per avermi fatto conoscere questa piccola città, che è una fonte vera di pace di bene”.
Bellezza a parte, Fonterutoli rivestì anche un’importanza storica. Nell’infinita guerra medievale tra Guelfi e Ghibellini, fu proprio qui che fiorentini e senesi misero la parola fine per la disputa del territorio del Chianti. L’incontro tra due cavalieri delle rispettive fazioni al canto del gallo, partendo dalle proprie città, avvenne in questi pressi.
Prima di allontanarmi, vedo poco distante una ragazza che a occhi chiusi sta annusando un fiore. Orde bucoliche compaiono all’improvviso rapendomi senza preavviso. Fonterutoli è così. E’ la delicatezza di una ragazza che assapora il delicato aroma di una gemma floreale.
Ripresa la strada, attraverso il piccolo comune di Castellina in Chianti e appena fuori, ecco il Tumulo di Montecalvario, situato in cima all’omonimo colle e così chiamato da una cappellina che era stata edificata sulla sommità, ultima stazione della Via Crucis. Dalle fonti sembra molto probabile che il monumento funebre appartenesse a una ricca famiglia etrusca. Una delle rare civiltà a non essere ricordate per le imprese militari. Si sviluppò a partire dall’VIII secolo a.C. nella zona dell’Etruria, corrispondente alle attuali regioni della Toscana, dell’Umbria (fino al Tevere), del Lazio, includendo parti della Lombardia, dell’Emilia Romagna e della Campania.
Situato a poca distanza dalla strada che conduce a Greve in Chianti, la struttura, di forma circolare, ha un diametro di 53 metri circa, ed è formata da quattro tombe ipogee risalenti al VII-VI sec. a.C. con camera principale e cellette laterali. Gli ingressi sono orientati verso i quattro punti cardinali. Fu scoperto, sembra una prima volta, nel XVI sec. e depredato della maggior parte dei corredi. In seguito venne riscoperto nel 1902 e scavato nel 1915, epoca in cui furono ritrovate decorazioni in ferro e bronzo provenienti dai resti di un carro da guerra e una testa di leone in pietra serena.
Attualmente, gli oggetti rinvenuti nel tumulo di Montecalvario, sono esposti nel Museo Archeologico del Chianti Senese di Castellina in Chianti. Fra questi ci sono la testa felina in pietra serena e alcuni elementi di un carro da parata: il timone, le parti dei mozzi, i coprimozzi e cerchioni in ferro, la lamina in bronzo con decorazione a rilievo, e alcuni elementi applicati come un leoncino in bronzo.
Entrarci dentro, con la luce che bacia l’erba fuori, fa uno strano effetto. Sei lì. Dentro un “qualcosa” costruito più di 2500 anni fa. Si sono succedute le epoche più inimmaginabili e il Tumulo è ancora lì, a tramandare la cultura di una delle più grandi civiltà della storia e dell’umanità.