“Dici Redentore e penso subito ai fuochi d’artificio” racconta l’ormai veterana della festa, la giornalista milanese Desirée Sigurtà. “Il mio primo ricordo è anche la sensazione che conservo più nitida: lo stupore fanciullesco che mi colse davanti all’esplosione di luci che irradiavano il cielo estivo della laguna, illuminando da un lato la basilica di Santa Maria della Salute e dall’altro la Chiesa di San Giorgio Maggiore. A ripensarci bene oggi, altro non è che la metafora perfetta della mia scoperta della città: intensa come un lampo, entusiasmante come un’emozione”.
Non l’avrebbe saputa concepire meglio nemmeno Walt Disney. Se l’avesse anche solo immaginata in qualche sogno cinematografico, forse Steven Spielberg l’avrebbe tradotta in film. Non è andata così. Da secoli ormai, ogni terza domenica di luglio, a Venezia si celebra la festa del Redentore. I suoi natali affondano ai tempi della peste (1575), la cui fine due anni dopo venne salutata con la realizzazione della Basilica del Redentore sull’isola della Giudecca, progettata da “quel” Andrea Palladio, riconosciuto dal Congresso degli Stati Uniti il 6 dicembre 2010 come il “padre dell’architettura americana”. Al Redentore la funzione religiosa e le regate di voga alla veneta della domenica sono precedute dall’evento clou la sera prima, lo spettacolo pirotecnico dei fuochi d’artificio.
Sabato, festoni di cartapesta appesi ovunque. Altane e campielli con vista bacino San Marco sono terra di conquista di conviviali tavolate. Minuto dopo minuto arrivano sempre più imbarcazioni creando un ingorgo navale di “Rem”-iana memoria (Everybody hurts, ndr). Sono tutte addobbate e legate tra sé. Acqua a parte, la terrazza migliore per godersi lo spettacolo dei fuochi è la fondamenta della Giudecca. Di norma per raggiungerla si è costretti a prendere il battello. Non oggi. Non alla festa del Redentore. Oggi cambia perfino la fisionomia dell’antica Repubblica Marinara.
Dalla chiesa del Redentore alla dirimpettaia Fondamenta delle Zattere c’è un ponte votivo che attraversa l’intero e ampio canale. Vi arrivo poco dopo l’inaugurazione. Cammino sull’acqua come mai mi potrebbe accadere nel restanti 364 giorni dell’anno. In mezzo alla fiumana si procede lentamente. Sulla sponda giudecchina vengo travolto da ciacoe, musica, palloncini e i sapori delle specialità tipiche: riso freddo, “budspenceriani” fagioli con cipolla, bovoeti (chioccioline) agliati, anguria e poi ovviamente il piatto per eccellenza, le “sarde in saor”, il tutto innaffiato con fiumi di spritz, birra e vino. Si mangia e si beve. Si beve, si beve e si guarda l’orologio. Un po’ prima della mezzanotte, ecco il primo botto. La musica tace. Parlano i foghi. Comete. Stelle. Cuori rossi. Spirali. Tra buio e salsedine s’innalzano miscugli cromatici, ricadendo e abbozzando inediti sentieri impressionistico-lagunari. Dalla Giudecca alle Rive veneziane degli Schiavoni, dei Sette Martiri fino ai Giardini, S. Elena e anche sulla riviera del Lido, è un incessante tripudio di pubblico.
“Vivere Venezia nel giorno del Redentore significa scoprire l’anima più vera e genuina della città dove ogni partecipante pare un personaggio uscito dalle pagine di un libro di Jules Verne o dai fumetti di Hugo Pratt” racconta ancora la collega lombarda. Il furore pirotecnico poi si congeda. Le barche puntano (quasi) tutte verso il Lido per continuare la festa in spiaggia. Fino all’alba. Sopraggiungo nel cuore della notte. Ci sono tende piantate nella sabbia. L’aria sa ancora di grigliate. Qualcuno fa il bagno. Qualcun altro passeggia solitario e poetico. Ci si scambiano giovani e appassionati baci d’amore. La luce intanto avanza. La brezza si attenua. La luna è ormai introvabile. Il mondo crea il giorno e la notte, gli esseri umani si ritrovano tra passi, orme e memoria.