C’è un luogo in Italia dove, una volta all’anno, fede, follia, tradizione, folklore e agonismo si fondono in un incredibile “unicum” tendente al cielo. 
 
Quel luogo si chiama Nola, cittadina alle porte di Napoli, che a fine giugno celebra le antiche gesta del suo vescovo Paolino Meropio di Bordeaux. 
 
Stiamo parlando della famosa Festa dei Gigli di Nola, recentemente divenuta patrimonio immateriale dell’Unesco, caratterizzata dal trasporto a spalla, per gli angusti vicoli del centro storico nolano, di otto obelischi di 25 metri l’uno, più un altro, più basso, su cui viene adagiata una barca per celebrare l’anniversario della morte del vescovo Paolino che nel 410 dopo Cristo riuscì a riportare un gruppo di nolani a casa dopo una lunga e sofferta prigionia in Africa. 
 I Gigli sono obelischi alti 25 metri dal peso di 25 quintali ciascuno 

 I Gigli sono obelischi alti 25 metri dal peso di 25 quintali ciascuno 

 
La tradizione racconta che il vescovo di Nola, Paolino Meropio di Bordeaux, durante l’invasione dei visigoti nell’Italia meridionale, decise, con un atto di immensa misericordia e fede di donare se stesso ai terribili invasori in cambio di un giovane nolano sottratto ad una madre vedova. 
 
Il gesto di immensa misericordia e bontà che fece seguito al totale dispendio del patrimonio personale e familiare di Paolino, ricco nobile francese prima che vescovo e uomo di chiesa, per riscattare i vari nolani che i visigoti intendevano portare come schiavi in Africa, colpì profondamente il popolo nolano che però, inerme, dovette assistere alla dipartita forzata del suo amato leader spirituale. 
 
Ma la straordinaria umanità di Paolino non tardò a manifestarsi durante la prigionia che il santo nolano trascorse come giardiniere di un ricco signore visigoto. Quando infatti, fu condotto alla corte del re barbaro, Alarico, Paolino riuscì nell’impresa di affrancare tutto il suo popolo toccando il cuore di un sovrano che fino a quel momento era stato artefice di un numero spropositato di efferatezze durante la sua non certo cordiale visita in Italia. 
 I cullatori trasportano i Gigli e vestono i colori della loro corporazione 

 I cullatori trasportano i Gigli e vestono i colori della loro corporazione 

Alarico, resosi conto del sacrificio e della purezza d’animo di Paolino, ordinò l’immediata liberazione dei nolani fatti schiavi pretendendo di riaccompagnarli a casa con una flotta di navi cariche di frumento e doni.
 
Appresa la lieta notizia, il popolo nolano preparò un’accoglienza da re al proprio condottiero sulle spiagge della vicina Oplonti (attuale Torre Annunziata) dove, la tradizione racconta, che le otto corporazioni nolane, in processione, salutarono il ritorno del loro vescovo portando in mano un giglio in segno di pace e vittoria. 
 
Una processione divenuta poi sacra quando a partire dal 422 dopo Cristo, dopo la morte di Paolino, ortolani (i principali protagonisti della vita economica dell’epoca essendo l’agricoltura l’attività principale), salumieri, bettolieri, panettieri, beccai, calzolai, fabbri e sarti, decisero di trasformare quel fiore tenuto in pugno in piccoli, e poi via via giganteschi, obelischi in legno dalla complessa architettura.
Obelischi che le “paranze di cullatori” (gruppi organizzati di persone che si occupano del trasporto del Giglio) portarono e portano tuttora in spalla in devozione di San Paolino lungo il sacro percorso battuto dalle sopraccitate corporazioni per andare incontro al santo che tornava dalla prigionia. 
 
La Barca, l’obelisco più basso che ricorda, per l’appunto, il mezzo utilizzato da Paolino per tornare in patria, fu invece assegnata alla corporazione dei conciatori di pelli e considerata al centro degli otto obelischi come simbolo assoluto della Festa. 
 
Nel corso dei secoli, con il maturare e il perpretrarsi della tradizione popolare, fu deciso che gli obelischi in legno non dovessero superare i 25 metri d’altezza, con base cubica di circa tre metri per lato, divenendo la struttura più alta del centro storico fatta eccezione della guglia del Duomo di Nola. 
 
Ad impreziosire ulteriormente i già straordinari Gigli, che raggiungono un peso complessivo di oltre venticinque quintali e sono trasportati a spalla a ritmo di una banda musicale posizionata alla base dell’obelisco, ci pensarono i maestri “cartapestai” leccesi. Chiamati a Nola nel 1869 per rimettere in piedi il Duomo, raso al suolo da un terribile incendio, decisero di creare dei rivestimenti in cartapesta per gli obelischi danzanti creando una scuola della cartapesta tutta nolana che tuttora rappresenta motivo di vanto culturale cittadino. 
 
Oltre alle sopraccitate connotazioni mistico-religiose, la Festa dei Gigli di Nola, dopo quasi 2000 anni, resta tuttavia oggetto di approfonditi studi da parte di sociologi e antropologi essendo forse uno degli ultimi esempi di commistione tra cultura pagana e cristiana. 
 
Il Giglio, inteso come obelisco, rappresenterebbe infatti un enorme simbolo fallico che nell’era precristiana, in maniera meno elaborata, veniva eretto nelle campagne e portato in spalla per propiziare un miglior raccolto. 
 Le Watts Towers di Los Angeles  

 Le Watts Towers di Los Angeles  

Tale considerazione diviene fondamentale nell’analisi della Festa dei Gigli che in maniera non certo casuale cade proprio nel periodo dell’anno dedicato al raccolto ed alla seguente semina, un momento cruciale nel calendario pagano poi trasformato e riadattato dal popolo nolano in onore di San Paolino. 
 
A Los Angeles, nel quartiere di Watts, è possibile ammirare le opere di Simon Rodia, artista campano di origine irpina che tra il 1921 e il 1954 lavorò ad un complesso di torri in acciaio probabilmente ispirato proprio agli obelischi in legno nolani che, molto probabilmente, Rodia, nato e cresciuto a pochi chilometri da Nola, aveva conosciuto prima di trasferirsi oltreoceano. 
 
Ogni anno la Festa dei Gigli in onore di San Paolino, attira e richiama negli angusti vicoli del centro storico di Nola centinaia di migliaia tra turisti, curiosi e ferventi fedeli che sfidando fatica e dolore, prestano la propria spalla a difesa di una tradizione oramai millenaria e ben radicata nei cuori di tutti i nolani. 
 
Gli addetti al trasporto dei Gigli, vere e proprie macchine votive a spalla, assumono il nome di “cullatori”, nome che deriva probabilmente dal movimento prodotto durante il trasporto degli obelischi, molto simile all’atto del cullare. L’insieme dei cullatori, di norma 120, prende il nome di “paranza”.

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