Favria, comune piemontese di 5.148 abitanti della provincia di Torino.
Ha come patroni i Santi Pietro e Paolo, festeggiati l’ultima settimana di giugno, quando vengono montate le giostre. Il 4 aprile si festeggia Sant’Isidoro di Siviglia con il combattimento tra due mucche. Strutturalmente il comune presenta fortificazioni. Questo perchè tra il Quattrocento e Cinquecento, Favria era una località di confine con i territori sabaudi. Avere mura efficienti era enormemente importante rappresentando una sicurezza per gli abitanti: chi era all’interno godeva di maggiori diritti rispetto a chi stava fuori. I nuclei fortificati del borgo erano parecchi: accanto al castello vero e proprio (sede dei signori del luogo) vi erano un “ricetto vecchio” e un “ricetto nuovo” che costituivano il nucleo difensivo del paese. Le mura ed il fossato racchiudevano il centro abitato con il castello e i due ricetti, di cui oggi non rimane traccia.
Fuori le mura, gli airali (cascinali) costituivano tre appendici dell’insediamento principale: si erano formati nel corso della ripresa agricola ed economica iniziata nella metà del Quattrocento. Lo sviluppo degli airali dà successivamente seguito alla costruzione dei “cassinas arralium”, ovvero quelle case rurali che, costruite sotto il diretto controllo del comune, segnarono il punto di connessione tra l’insediamento medievale e l’espansione moderna del borgo. Oggi giorno, le case rurali adiacenti al centro storico sono state via via trasformate in residenze.
Per quanto riguarda gli airali, anche loro furono destinati ad una triste conclusione: il boom edilizio degli anni Novanta, ne ha cancellato le tracce. Ad esempio, la cascina del Castello, antistante la Casa di Riposo D. Nizzia, è stata rasa al suolo per lasciare spazio a palazzine con balconate arcate. Anche la casina della “Ral” è stata demolita per costruirvi moderne villette a schiera. Testimonianze di un tempo che evocano piacevoli ricordi agli anziani, ma che lasciano un vuoto alla storia del comune piemontese.
Gavignano, comune laziale di 1993 abitanti della provincia di Roma.
Sorge su un piccolo promontorio situato alla confluenza fra i fiumi Rio e Sacco, a nord del Monte Lupone, nei monti Lepini, presso la Fonte Meo. La nascita di Gavignano è legata al dominio romano anche se anteriormente alla colonizzazione dei Romani (IV sec. a.c. ) le contrade erano dominate dai Volsci, stabilizzati sul versante dei Monti Lepini e dagli Ernici insediati alle pendici dell’Appennino laziale Meridionale. Il fiume Sacco, allora denominato Tolero, divideva le zone di influenza delle due importanti città che si fronteggiavano dalle alture: Segni, dei Volsci e Anagni, degli Ernici.
Numerose ipotesi si hanno sulla nascita sotto i Romani: si pensa che Gavignano possa essere legata alla figura di Gabinio, valoroso soldato romano che aveva partecipato alla battaglia di Mario contro Silla, ma pare anche che Gavignano sia stata fondata da un cittadino dell’antica Gabi, colonia romana non lontana da Palestrina. Altre fonti vogliono che a fondare Gavignano sia stato Aulo Gabinio, senatore romano, appartenente alla ‘Gente Gabinia’. Resta il fatto che nel I sec. a.c. le più facoltose famiglie romane erano solite edificare le loro residenze di campagna in questi luoghi. Nelle contrade gavignanesi si ha notizia di una villa di Giulio Cesare, ancora oggi denominata “Ruscigli” derivante etimologicamente, con molta probabilità da “Rus Juli” ovvero Villa di Cesare.
Della villa, probabilmente distrutta durante un incursione dei Vandali nel 455 d.c. rimangono resti notevoli, tra cui architravi, capitelli, murature in ‘opus reticolatum’ e mosaici. In particolare, sullo splendido “opus reticolatum”, attorno all’anno Mille, i monaci Benedettini eressero un loro monastero dedicato alla Madonna di Rossili, menzionato nella bolla di Lucio III del 2 dicembre 1182. L’aspetto attuale della chiesa del convento è dovuto al restauro operato dal cardinale Pietro Paolo Crescenzi (1611-1645). Il territorio di Gavignano acquista rilevanza politica solo nell’Alto Me-dioevo, con il sorgere delle strutture di tipo feudale.
Il territorio fa parte della vasta regione delle Baronie della Sardegna centrorientale e si presenta come una sintesi stupefacente della storia geologica dell’Isola. Alle spalle del paese sorge la tormentata cresta che da Monte Senes porta a Punta Palumbas che risale a 400 milioni di anni fa. Circa 180.000 anni fa, in pieno mesozoico, parte delle terre furono invase dal mare. Il successivo accumulo di sedimenti emerse dalle acque originando il sistema montuoso dei calcari: sorsero il Monte Tuttavista e il Monte Albo, in cui una piccola appendice appartiene al Comune di Irgoli.
Nella piana del Cedrino sorge Irgoli (nel Medio Evo S. Stefano di Ligori), forse fondata da un manipolo di ellenici che, approdati alla foce del Cedrino e scoperta la terra fertile, decisero di impiantarvi i primi insediamenti. Le testimonianze di una numerosa presenza umana sin dalla preistoria sono numerose e si trovano, coperte dalle nuove strutture murali e viarie, nel triangolo che unisce S. Stefano, S. Antioco e Ruinas. Pozzi, muri, matrici di fusione, monete, oggetti e frammenti di ceramica, terra e bronzo non lasciano dubbi.
Lo confermano i conci granitici e basaltici inseriti nella splendida chiesa di S. Miali (l’arcangelo Michele del culto orientale) che sorge sulle rovine di una Tomba di Giganti, di cui è stata riutilizzata come altare una lastra absidale. A partire dal Medio Evo, il paese condivise le sorti del Giudicato di Gallura, conobbe il dominio dei Pisani e quello degli Aragonesi. Infine, l’autonomia che ha inizio a partire dalla metà del 1800. Tra i monumenti più significativi, esterni all’abitato: Sa conca ‘e mortu, Domus de Janas di epoca neolitica; Sa Tumba ‘e su Zigante di Othieri, che conserva le tracce del rito mediterraneo dell’incubazione; S’Untana ‘e su Zigante, gioiello architettonico del culto delle acque; Nuraghi, capanne (Litu ‘Ertiches, Janna ‘e Pruna) e fortificazioni strategiche con mura ciclopiche; Santu Lussurju, Sant’Elene, Sant’Andria, ruderi di chiese medievali.