Elliott Erwitt e Gianni Berengo Gardin hanno immortalato a partire dagli anni ’50 il loro tempo e il loro paese (l’uno gli Stati Uniti, l’altro Italia ed Europa) con immagini in bianco e nero scattate su pellicola, quando ancora le fotografie si sviluppavano in camera oscura su provini tra i quali il fotografo sceglieva lo scatto migliore per poi stamparlo secondo la tecnica “ai sali d’argento”.
 
Da qui il titolo “Gianni Berengo Gardin – Elliott Erwitt. Un’amicizia ai sali d’argento”, mostra che si è tenuta a Roma in un dialogo di analogie e rimandi tra i due fotografi amici. 
 
Da una parte i classici di Erwitt: i ritratti di Grace Kelly (1956), Marilyn Monroe, Che Guevara (1964) e dell’intero cast sul set del film “Gli Spostati” (1960) con Marilyn Monroe e Clark Gable; scatti che immortalano l’incontro di pugilato tra Muhammad Alì e Joe Frazier (1971), i politici Khrushchev e Nixon (1959), il Presidente degli Stati Uniti Eisenhower e il Presidente entrante J.F. Kennedy (1960), Jacqueline Kennedy al funerale del marito (1963) e la madre di Robert Capa che piange sulla tomba del figlio (1954), morto mentre documentava la prima guerra in Indocina.
 Elliott Erwitt, Marilyn Monroe, New York, 1956 

 Elliott Erwitt, Marilyn Monroe, New York, 1956 

 
E ancora: Lucienne Erwitt (moglie del fotografo) che guarda la figlia piccola in un’atmosfera intima e famigliare di amore e affetto; il bacio nello specchietto di una macchina; le immagini ironiche di cui i cani sono protagonisti. 
 
Dall’altra si osservano gli scatti cittadini, paesaggistichi e architettonici di Berengo in Emilia Romagna, Puglia, Toscana, a Milano, Roma, Genova, sulle Dolomiti, a L’Aquila, Lucca ma anche in Canada, Spagna, a Monaco di Germania e ad Osaka in Giappone. Non mancano la famosa fotografia della macchina inglese e la bambina che corre in piazza San Marco. 
 
In mezzo i reportage che i due fotografi, ancora in attività, hanno realizzato recentemente: Erwitt sulla Scozia e Berengo sulla denuncia delle grandi navi che irrompono a Venezia. 
 Elliott Erwitt, Santa Monica, California, 1955: il celebre Bacio nello specchietto del finestrino  

 Elliott Erwitt, Santa Monica, California, 1955: il celebre Bacio nello specchietto del finestrino  

 
ERWITT – Nato a Parigi nel 1928 da genitori russi di origine ebraica, Elliott Erwitt si trasferì con la famiglia in America per sfuggire alle leggi razziali. A Los Angeles, oltre a frequentare la Hollywood High School, lavorò in uno studio fotografico commerciale dove, in camera oscura, sviluppava e stampava fotografie autografate per i fan delle star del cinema. Nel 1948 si recò a New York in cerca di lavoro. Qui incontrò i grandi fotografi Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker. Quest’ultimo lo prese sotto la sua ala. Nel 1951, durante il servizio militare per l’Esercito Americano, Erwitt fece base in New Jersey, Germania e Francia e continuò a scattare fotografie. Nel 1953, appena congedatosi dal servizio militare, fu invitato da Robert Capa, fondatore della Magnum Photos, a diventare membro della famosa agenzia. 
 Berengo posa con la sua macchina fotografica a pellicola 

 Berengo posa con la sua macchina fotografica a pellicola 

 
BERENGO - Ligure di nascita e veneziano di adozione (sua moglie è veneziana), dal 1965 Berengo Gardin si trasferì a Milano dove conobbe e frequentò Erwitt e dove iniziò la sua carriera professionale con fotografie di reportage, d’indagine sociale e descrizione ambientale. I volumi di foto da lui pubblicati sono oltre 250. Importante il periodo trascorso a Parigi dove incontrò il fotografo Willy Ronis che divenne suo mentore.
 
LA FOTOGRAFIA – Oggi, insieme, in un incontro “fotografico” tra America e Italia, Erwitt (86enne) e Berengo (84enne) sono rappresentanti e sostenitori della tradizionale fotografia in bianco e nero su pellicola, dalla quale il fotografo ha la possibilità di distaccarsi per poi tornarvi in un secondo momento: si scatta, si lascia riposare l’immagine e si riflette sui provini sui quali si può ritornare dopo tanto tempo e scoprire e concentrarsi su dettagli e particolari interessanti che prima non si erano notati. 
 Scatto di Berengo del 1977 in Gran Bretagna 

 Scatto di Berengo del 1977 in Gran Bretagna 

 
Un approccio alla fotografia che vede la piena partecipazione del fotografo in ciò che vuole immortalare, raccontare e comunicare, e la messa in atto delle proprie capacità professionali nel riuscire a trasmettere un’emozione o a documentare una realtà. Questo atteggiamento dietro la macchina fotografica, che presuppone che il fotografo pensi prima di scattare, si è in buona parte perso con le moderne tecniche digitali grazie alle quali, se si scatta una bella fotografia, non è solo merito del fotografo ma anche delle ammirevoli capacità delle macchine fotografiche digitali. 
 
“Il digitale, come tutte le evoluzioni, ha portato, secondo me, più male che bene”, afferma Berengo con in mano la sua macchina fotografica con pellicola, durante l’inaugurazione della mostra. “Oggi le fotografie che vengono bene tecnicamente non sono merito del fotografo, ma della macchinetta. Quelli che hanno la macchina fotografica digitale hanno il tic nervoso di andare a riguardare subito le foto che hanno scattato. Ma che cosa guardano? Se sono fotografi professionisti devono sapere che cosa hanno fotografato e come può essere venuta la foto”.  
 
All’inaugurazione della loro mostra, Erwitt e Berengo hanno partecipato affiatati, mostrando grande senso dell’umorismo, raccontando dell’inizio della loro carriera di fotografi, professione mescolata a passione. L’Italo-Americano li ha intervistati.
 La bambina che corre per Piazza San Marco di Berengo del 1960 

 La bambina che corre per Piazza San Marco di Berengo del 1960 

 
Si utilizza la fotografia per comunicare un’emozione e raccontare una realtà. È difficile far ridere ed è difficile far ridere e piangere insieme?
Erwitt: “Non mi sveglio la mattina decidendo di far ridere. Faccio fotografie per professione, ma anche per hobby. Le foto che vedete qui sono state scattate per hobby. Sono le foto delle mie domeniche. […] C’è piacere nel fare le foto e nel guardarle dopo averle sviluppate. A volte pensi di aver scattato buone fotografie, ma quando vai a svilupparle ti accorgi di non aver fatto nulla perchè nessuna di quelle immagini corrisponde al tuo stato d’animo. Altre volte, invece, scopri di aver scattato fotografie che non credevi di poter scattare”.
 
Berengo: “Ho iniziato a scattare fotografie come dilettante ma, dopo aver visto nel 1955 la mostra The Family of Man a Milano, ho deciso di diventare un fotografo professionista. Erwitt è stato per me un maestro e, in seguito, è diventato mio amico. Sono stato un fotografo amatoriale per tanti anni e poi sono diventato un professionista. Il mio vantaggio professionale è stato proprio quello di essere stato un fotoamatore a lungo, cioè di aver fatto fotografie per passione”.
 
Quando si fa fotografia, soprattutto di strada, non si sa che fotografie possono venir fuori. Dopo lo scatto, c’è il momento dei provini che si vive una volta sola. Quali sono i vostri pareri sui provini.
Berengo: “Il provino è la prova se hai fatto un buono o un cattivo lavoro ed è uno dei momenti più belli della fotografia. Guardando le foto con la lente di ingrandimento, si scoprono cose e magari alcune fotografie che al momento non ti piacciono, poi a distanza di anni ti piacciono. Per esempio, la mia fotografia della bambina che corre in Piazza San Marco, non l’avrei mai scelta. L’ha scelta Erwitt. Le fotografie su cui lavori tanto pensi siano importanti, mentre quelle che ti vengono con naturalezza e facilità non credi lo siano. Ho fotografato la bambina in piazza San Marco per caso, dalla finestra di un museo che stavo visitando”.
 Erwitt, noto per i suoi scatti ironici in bianco e nero

 Erwitt, noto per i suoi scatti ironici in bianco e nero

 
Erwitt: “Il processo di selezione delle immagini continua costantemente. Ogni volta che preparo un libro (faccio un libro all’anno) riguardo i provini e vedo se c’è una fotografia interessante che prima non avevo scelto. Si fanno sempre delle scelte e capita che si scoprano nuove fotografie”.
 
Che rapporto c’è tra libro e fotografia? Le fotografie hanno una destinazione privilegiata quasi come se, quando c’è il libro, le foto abbiano ragione di esistere?  
Berengo: “Ho fatto tanti libri perchè i giornali non compravano le mie fotografie quindi ho pensato che con gli editori sarebbe andata meglio che con i giornalisti. Così mi hanno etichettato, hanno pensato che funzionassi con i libri e adesso mi vengono a chiedere di farli e non devo più andare a proporli. Con il libro si hanno più soddisfazioni perchè si pubblicano più fotografie rispetto al giornale. Inoltre il libro resta, mentre il giornale, una volta letto, viene gettato via”.
 
Anche per Erwitt la destinazione della foto è il libro?
Erwitt: “Sì, fare i libri è molto importante. Per prepararli bisogna raccogliere il materiale e a volte faccio libri come concreta testimonianza del lavoro che ho svolto. Ora ho preparato un libro con tutte le fotografie che non mi piacciono, tutte le fotografie che critichiamo, senza senso, stupide e che non hanno importanza, in una parola: cattive”.
 
Qual è la differenza tra una buona e una bella fotografia?
Berengo: “Nel periodo in cui frequentavo Ugo Mulas, lo andavo a trovare a casa, ammiravo le sue fotografie e le definivo “bellissime” fino a quando Mulas un giorno mi riprese dicendomi che non era un complimento definirle così e mi spiegò la differenza tra una bella fotografia e una buona fotografia. Una bella fotografia può essere ben costruita, esteticamente valida, ma non comunica niente mentre una buona fotografia può essere anche sfocata, ma trasmette qualcosa. Da quel giorno ho cercato di far sempre buone fotografie, ma ne ho fatte anche di belle”.
Erwitt: “Una buona fotografia è ben composta e comunica qualcosa, ma poi c’è una fotografia molto buona che è indescrivibile perchè racchiude qualcosa di magico”.
 
Il gesto di fotografare è molto bello o è bello scoprire e conoscere?
Berengo: “Per me il momento più interessante è quello in cui sento che può venire una buona fotografia. In quel momento senti tensione e passione a tal punto che se poi la foto non viene non importa perchè hai vissuto quelle emozioni, è come giocare a poker e non esagero se dico che è meglio di un amplesso”.
Erwitt: “Non la penso come Berengo, ma sono contento per lui. A volte puoi pensare di aver scattato una grande fotografia ma, quando la vai a vedere e non è buona, provi delusione”.
 
Per fare buona fotografia bisogna avere grande curiosità?
Berengo: “La buona fotografia non la fai tu, ma chi viene fotografato. Il fotografo registra ciò che vede, è il soggetto fotografato che rende la foto interessante”
Erwitt: “La teoria di Berengo è interessante, ma ci devo pensare. Non faccio troppe teorie perchè mi confondono. Mi piace andare in giro, cercare di vedere e di scattare buone fotografie. La fotografia richiede grande specializzazione e capacità professionale. Chi gode nel fare una cosa non perde tempo a teorizzarla”.
 
Berengo: “Tutte le mie foto sono state estrapolate dai lavori che ho fatto. La fotografia della macchina inglese è famosa ma non è quella che io ritengo più interessante perchè è di una grande semplicità. A quel tempo andavo a Londra per Touring Club e fotografavo tutto il fotografabile perchè andare in Inghilterra all’epoca non era come andarci oggi a 60 euro. Quella fotografia l’ho stampata dopo vent’anni ed è stata una rivelazione perchè piace a tutti. A me piace solo perchè piace a tutti. Invece la fotografia del vaporetto di Venezia mi dà una grande soddisfazione perchè me la chiedono i musei”.
 
Erwitt: “Avevo 17-18 anni. Vivevo a Los Angeles e andai a New York per tentare il contatto con alcune persone tra cui Robert Capa e la sua agenzia Magnum. Dopo aver finito il servizio militare, nel 1953 Capa mi propose di entrare in Magnum. Il servizio militare è stata una bella esperienza perchè fui mandato in Europa e avevo molto tempo libero. In quel periodo ho avuto l’opportunità di scattare alcune tra le fotografie migliori di tutta la mia carriera”.
 
Per Berengo è stato importante il periodo a Parigi.
Berengo: “Avevo uno zio molto amico di Cornell Capa, fratello del fotografo Robert Capa, e mio zio gli chiedeva quali libri di fotografia consigliarmi visto che all’epoca non ce n’erano molti. Quando mi sono stati spediti i libri dei fotografi di “Life” e della “Farm Security Administration”, volevo andare in America ma non potevo e così ho ripiegato su Parigi. Mio padre era severo e mi disse che, se avessi lasciato gli studi, non mi avrebbe mantenuto. A Parigi mi sono arrangiato nel fare il cameriere, poi ho lavorato nella reception di un albergo e ho avuto la possibilità di conoscere grandi fotografi tra cui Doisneau e Willy Ronis che è diventato il mio maestro di pratica e tecnica. Pertanto la mia fotografia è stata influenzata più dalla fotografia francese che da quella americana”.
 
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