Meno immigrati scelgono l’Italia e più italiani tornano a emigrare. Gli Usa conservano il ‘sogno americano’
Per la prima volta dal 1976, l’Italia è tornata ad essere un paese di emigrazione. I dati del XVIII° Rapporto Nazionale sulle migrazioni pubblicati dalla Fondazione Ismu, parlano chiaro: nel 2011, sono stati 50 mila gli italiani ad aver fatto le valigie e 27 mila gli stranieri approdati nel Belpaese.
Quest’ultima cifra fa registrare un’insolita crescita zero dell’immigrazione (+0,5%) ma, secondo i ricercatori dell’Ismu (dal 1991 è un ente scientifico autonomo e indipendente che promuove studi, ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale, con particolare riguardo al fenomeno delle migrazioni internazionali), rappresenta solo un rallentamento dovuto alle conseguenze della crisi. Il numero di residenti non italiani sarebbe sempre in crescita e dovrebbe raggiungere i 6 milioni nei prossimi trent’anni.
Se da una parte questo dato può tranquillizzare, ridurre gli allarmismi di chi teme ondate ingestibili di stranieri, dall’altra, iscrive l’Italia nella cerchia dei Paesi a immigrazione lenta e consolidata, rinnovando la sfida per i futuri governi dell’integrazione di coloro che soggiornano da lungo tempo.
Crescono, infatti, le concessioni di cittadinanza e diminuiscono gli irregolari mentre peggiora il tasso di disoccupazione straniera: da 11,6% a 12,1%.
Tra gli immigrati stranieri in regola, la nazionalità più numerosa è quella rumena (più di 1 milione di presenti), seguita dalla marocchina e dall’albanese. I dati Ismu riportano inoltre che il numero complessivo di stranieri in Italia tocca i 5 milioni 430 mila, cifra non lontana da quella degli italiani residenti all’estero, 4 milioni 200 mila, che, secondo dati più ufficiosi, sarebbe pari al doppio per il fatto che solo un emigrato su due si iscrive al l’Aire, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero.
Per quanto riguarda la situazione degli emigrati italiani, si registra l’aumento (+9%) dei giovani e qualificati connazionali che decidono di cercar fortuna altrove. Il Rapporto Migrazioni internazionali ed interne della popolazione residente, pubblicato dall’Istat a fine anno, sembra confermare la dinamica dei cosiddetti “cervelli in fuga”, in atto da ormai un decennio. Nel periodo 2002-2011 le migrazioni per l’estero di cittadini italiani di più di 24 anni oscilla tra 29 mila e 39 mila unità, ma ciò che colpisce di più è il cambiamento dei flussi rispetto al titolo di studio posseduto: la quota dei laureati passa dall’11,9% del 2002 al 27,6% del 2011, mentre quella degli emigrati con titolo fino alla licenza media scende dal 51% del 2002 al 37,9% del 2011.
Le principali mete sono la Germania (4 mila 920), la Svizzera, il Regno Unito e la Francia che, messe insieme, assorbono il 44% degli emigrati di 25 anni e più. Al di fuori dell’Europa sono gli Stati Uniti, con 2 mila 841 residenti, il primo Paese ad attrarre gli italiani, seguiti da un’altra storica destinazione, il Brasile. Se si considerano i soli cittadini laureati, la graduatoria dei Paesi si modifica e vede al primo posto, in valore assoluto, il Regno Unito che accoglie l’11,9% degli emigrati laureati, seguito da Svizzera, Germania e Francia. Gli Stati Uniti seguono a ruota (8,4%), ed anche in questo caso restano la prima scelta extra-europea.
Lo scenario dell’emigrazione italiana presenta vecchie e nuove tendenze. Germania, Francia, Svizzera e Stati Uniti, oltre ad essere i protagonisti dell’interscambio commerciale con l’Italia negli ultimi quarant’anni, sono i Paesi di destinazione con cui perdurano lunghi e prolungati rapporti migratori.
Le nuove tendenze sono invece da ricercare nei soggetti che partono in cerca di fortuna, non più poveri semi-analfabeti ma giovani professionisti, spesso laureati, con il notebook ed un curriculum vitae invidiabile nella “valigia di cartone”.
Purtroppo, anche in tempo d’indebolimento dell’economia mondiale, due elementi sembrano perdurare: la fuoriuscita di “talenti”, che solo all’estero trovano una professione alla loro altezza, ed una situazione non rosea per gli stranieri che si ritrovano a fronteggiare la crisi accettando, come spesso accade, condizioni più flessibili e meno favorevoli.