Unisco la mia voce al coro che si è levato in memoria dello studioso, del critico, del filosofo, del semiologo e romanziere Umberto Eco. Mi sento un po’ inadeguata per questo compito, perciò, per incominciare a ricordarlo, uso la sua parola geniale e cito l’inizio della sua 24° regola per scrivere bene in italiano. 
È una de “Le 40 regole per scrivere bene in italiano”, contenute in La Bustina di Minerva, edito da Bompiani, un prezioso, straordinario contributo, pieno di sorridente ironia, per l’uso parlato e scritto della lingua italiana. 
 
Nella scrittura di ognuna di queste regole compare l’errore da evitare, e così con un brillante e giocoso intreccio fra il dire e il suo contrario, l’autore spinge il lettore a riflettere e capire. “Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento”. Dunque, cercherò di essere concisa e di condensare i miei pensieri.   
 
Umberto Eco aveva una cultura vastissima, era noto per i suoi studi che partendo dalla filosofia spaziavano in vari campi: semiotica, estetica medievale, linguistica. Qualcuno lo ha definito massmediologo. Era uno scienziato che si rivolgeva non soltanto a pochi studiosi suoi pari, ma comunicava contenuti originalissimi anche ad un vasto pubblico. Così divenne per me e per tanti altri della mia generazione un maestro di pensiero, un amico che ha donato tante piacevolissime ore, sorrisi e risate vere, di quelle che vengono dal cuore. 
 
Umberto Eco aveva spirito ed una intelligenza brillantissima che usava nell’invenzione di giochi di parole, per svelare significati nascosti, per esprimere riflessioni su cui si poteva parlare e discutere a lungo con quelli che apprezzavano le sue parole e la sua cultura. Non tutti, però, lo apprezzavano. Ricordo che alcuni ne rifiutavano sia i contenuti che i modi di comunicarli e non riuscivo a capire le ragioni, spesso vaghe e incomprensibili, poiché ignoravo le radici e i motivi di culture troppo lontane dalle mie.
 
Conobbi ed amai questo grande pensatore alla fine degli anni ’70, con “Il Nome della Rosa”. Questo romanzo fu una sorpresa, una fantasmagoria, un fuoco d’artificio di cultura medievale, usata per creare un mistero, diciamo pure un giallo, un thriller da risolvere, che ha generato o fatto rivivere il gusto per le favole ambientate in epoca medievale, rivissute con la fantasia. E poi di seguito, Umberto Eco ci ha donato tante piacevolissime letture, fra cui cito: Baudolino, L’Isola del giorno prima, La misteriosa fiamma delle Regina Loana, Numero zero, Il Cimitero di Praga. Quest’ultimo libro, meno piacevole degli altri, lascia della nostra storia recente una immagine terribile, di difficile comprensione, piena di zone oscure, impenetrabili intrighi e personaggi loschi.  
 
Come insegnante, ritengo opportuno chiudere questo breve ricordo di Umberto Eco con alcune delle sue quaranta regole per scrivere bene in italiano, ed anche in altre lingue, secondo me. Attenzione all’errore:
Evita le allitterazioni anche se allettano gli allocchi.
 
Non è che il congiuntivo va evitato, anzi che lo si usa quando è necessario. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu”. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”. 
Non fare frasi di una sola parola. Eliminale. Metti, le virgole, al posto giusto. 
 
C’è davvero bisogno di domande retoriche? Chiudo con un auspicio. Mi auguro che le professoresse ed i professori di lettere vogliano ricordare Umberto Eco divertendosi con i propri studenti a leggere e commentare le sue geniali e saggiamente ironiche 40 regole. 
 
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