L’Italia e la sua Dieta Mediterranea riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità dall’Unesco. La cultura del buon cibo e del ben vivere. I presidi dei gusti antichi che tutelano le specie agronomiche locali, tipologie meno commerciali ma dalle qualità eccezionali, che compongono la biodiversità di cui è tanto ricca la produzione e l’alimentazione nazionale.
La sfida del chilometro zero alla grande distribuzione lanciata sempre con maggiore forza e frequenza dai piccoli produttori.
L’Italia che sembra essere sempre un passo indietro sul mercato globale ma che prova a difendere la qualità delle sue filiere produttive, il valore culturale dei controlli di sicurezza alimentare, la sapienza delle tecniche di lavorazione e dei disciplinari di produzione che non si possono riassumere in un’etichetta, se questa poi non è protetta sui banchi dei supermercati. La concorrenza sleale dei sapori tipici malamente taroccati che in gergo vanno sotto la minaccia, economica e soprattutto alimentare, dell’Italian sounding. Fake products, pessimi nella fattura e nell’imitazione, che tagliano le gambe al Made in Italy verace, che segue le regole e che rispetta rigidi protocolli e tradizioni secolari.
La cucina nazionalpopolare delle migliaia di ricette, delle centinaia di varianti che nemmeno gli chef più stellati avranno mai la fantasia di generare, perchè secoli di storia e contributi culinari non si possono contenere sul menù di un ristorante. L’arte di imbandire che porta in tavola non solo una varietà infinita di portate ma la buona abitudine di stare insieme per condividere con lentezza e piacere il cibo, dalla colazione alla cena.
Da un lato la cultura alimentare tricolore con la sua varietà e quella innata predisposizione alla creatività che la rende una delle espressioni più autentiche e profonde dell’essere italiano.
Dall’altro un panorama alimentare desolante nella sua superficialità con cui l’Italia degli sprechi si trova a dover fare i conti.
Accanto alle perdite finanziarie, di un sistema sballato che ad un overload dell’offerta non sa contrapporre una capillare e socialmente equa ed etica distribuzione contro lo sperpero alimentare, il contraccolpo morale che arriva vedendo frutta e verdura marcire sulle piante, dopo le fatiche fisiche e le energie naturali impiegate nella coltivazione, perchè non più convenienti al momento della vendita. Finiscono in discarica senza essere state consumate da un mondo che continua a contare milioni di affamati e di morti di fame.
Negli Stati Uniti finisce nella spazzatura quasi il 50% del cibo prodotto ogni anno. Il problema ruota attorno ad una questione estetica, ma la filosofia non c’entra. C’entra invece la sub-cultura del bello a tutti i costi, dell’apparenza, dell’esteriorità.
Contadini, rivenditori e consumatori gettano tonnellate e tonnellate di alimenti nelle discariche perchè la forma di una pesca, la grandezza di una patata, l’aspetto di un pomodoro, la lucentezza di una ciliegia non sono meritevoli di una rivista patinata. Poco importa quanto concime, quanti antiparassitari o diserbanti ci siano in quel frutto bello come la mela di Biancaneve.
Una recente inchiesta della stampa internazionale ha puntato il dito contro la “filosofia della perfezione” che la società contemporanea persegue a suo rischio e pericolo al momento di mettersi a tavola. Uno schiaffo alla povertà e un danno all’ambiente di proporzioni inaccettabili che, pur di assecondare “irrealistici standard estetici”, fa sì che dai frutteti della California ai consumatori del New Hampshire, la catena di produzione e soprattutto di distribuzione del cibo, sacrifichino prodotti di alta qualità, di elevato valore nutrizionale, con ingenti spese a carico dei produttori e della comunità, per colpa della logica perversa che ci ha inculcato la pubblicità.
Se un prodotto non è impeccabile, se non supera l’esame della “perfezione” estetica, viene buttato. Ma se quell’occhio vorrà sempre la sua parte, giustificando ogni tipo di spreco alimentare, e di eliminazione lungo la catena di confezionamento, finiremo per vivere d’aria, visto che l’estetica ancora non sfama.