Isn’t Summer the perfect season for trivia? I don’t know you, but when the heat hits I suddenly develop a thirst for curious facts and tasty tidbits about anything and everything: from history to literature, from food to gossip, anything to satisfy this peculiar desire. It may be the association between light reading and sea side relax, or the simple fact the canicola estiva makes my thinking sluggish, but nothing seems as good and pleasant during these hot July days on the shores of Italy than some old fashioned, light hearted reading and research.
About what, you say? About language! Actually, about the single handedly most popular word of the bella lingua, the ultimate passport to Italian living, a word so famous it has been adopted by other nations, so perfect and clear it can’t be bettered: ciao.
Yes, ciao. Can you think of anything more Italian than that? As popular and known as it is, I was surprised to realize how little I knew about its origins: where did it come from and when did we start using it? Was it always a salutation, or did it have a different meaning initially? Nothing a bit of online and paper investigation couldn’t solve for us. So, here what we know about Italy’s “hello.”
Apparently, the origin of the word has to be sought into the dialect of Venice, where people had the habit to say hello to each other using the word “s’ciavo,” or “slave.” No, Venetians were not crazy, quite simply they used the expression instead of the longer and more cumbersome “servo vostro,” which we’d translate in English as “I am your servant,” or even “ at your service.” To find examples of such use, we don’t need to look any further than the work of Venice’s own playwright extraordinaire, Carlo Goldoni, who employed it without parsimony in his comedies about Venetian society.
“S’ciavo,” however, is not quite the same as ciao and it took some time and a good deal of linguistic evolution to go from the first to the latter. “S’ciavo” most likely came from the Latin servus, which meant servant or slave. During Imperial times, many slaves came from the area of what was then called Slavonia or Sclavonia, which roughly corresponds to modern Eastern Croatia. Because of languages’ transitive property, the adjective indicating people from those regions, sclavus or slavus, became synonym with the word servus: and that’s how we went from the Latin servus to the vulgar Italian schiavo.
Fast forward a few centuries and the rise in popularity of Dante and Guido Cavalcanti’s Dolce Stil Novo, a type of poetry in vulgar Italian inspired by idealized love and the iconic figure of the donna angelo, gives to the word schiavo a new meaning: a schiavo is no longer a mere servant, but also someone subjugated by love and passion, someone ready to do anything for the object of his desire. And so, being a schiavo no longer means only and exclusively being a slave to a master, but also being ready to do anything for someone, just like a besotted man would do for his lover. It’s in this sense that the use of “s’ciavo”in Venetian dialect should be interpreted: people would salute each other in the street saying “I am at your service,” a polite and reverent manner to show appreciation and respect.
The first, written attestation of the word ciao is, alas, 200 years old, although we can imagine its use in the oral language must have been already common for a while: it appeared in a letter written in 1818 by Francesco Benedetti, a playwright from Cortona who in it described the niceties received by a group of Milanese with whom he had gone to La Scala: “Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin.” In 1819, British writer Lady Sidney Morgan mentioned people, always at La Scala in Milan, exchanging cordial ciavo, from a box to another. From the very same period is yet another written attestation of the word, found in a letter sent by countess Giovanna Maffei, from Verona, to her husband, where she mentions that their young son “mi disse di dir ciao a Moti.”
Today, “ciao” is an international word, always associated with Italy, but whose meaning is clear in every corner of the world. Well, you know what? It has been the case for more than one hundred years, as its presence in a French novel dating 1893 proves: written by Paul Bourget, it has a character speaking in Italian and saying “Ciaò, simpaticone!” Just a few years later, at the beginning of the 1900s, a popular waltz entitled “Ciao” had people dancing around Europe. After the end of the Second World War, the popularity of Italian cinema helped the internationalization of “ciao” even further, making of it a linguistic symbol of Italy.
And because language is continuously evolving – as the origin itself of ciao demonstrates – there are new variations of our favorite salute, which have become particularly popular in recent years and decades: “ciao raga” (hey guys), “ciao neh” (hey! Hi!) and even the horrible “ciaone” (literally, a huge ciao), recent neologism already part of the Vocabolario Treccani della Lingua Italiana.
Today, “ciao” is the most used Italian word on earth, second only to another icon of Italy’s life and heritage: “pizza.” Short, simple to remember and with an interesting story: no wonder we all love it. And so it goes, the illustrious tale of “ciao,” of its birth and how it became the most common and colorful way to say hello to friends, family and people in the street: indicatively used only among those who know each other, it’s not that uncommon, when the atmosphere allows it or the occasion calls for it, to say “ciao” to people we’ve just met, especially when we’ve enjoyed their company or shared a special experience: a little word that makes us all feel closer.
L’estate non è la stagione perfetta per le curiosità? Non so voi, ma quando arriva il caldo, io ho improvvisamente sete di fatti curiosi e gustose notizie su tutto e di più: dalla storia alla letteratura, dal cibo al gossip, qualsiasi cosa pur di soddisfare questo particolare desiderio. Può essere l’associazione tra letture leggere e relax sul mare, o il semplice fatto che la canicola estiva rallenta i pensieri, ma nulla, durante queste calde giornate di luglio sulle spiagge d’Italia, sembra così bello e piacevole che qualche ricerca vecchio stile e letture spensierate.
Su cosa, dite? Sulla lingua! In realtà, sulla parola più popolare della bella lingua, il passaporto definitivo per la vita italiana, una parola così famosa che è stata adottata da altre nazioni, così perfetta e chiara che non c’è niente di meglio: ciao.
Sì, ciao. Riuscite a pensare a qualcosa di più italiano di così? Per quanto sia popolare e conosciuto, mi sono sorpresa di quanto poco sapessi delle sue origini: da dove viene e quando abbiamo iniziato a usarlo? E’ stato sempre un saluto o inizialmente aveva un significato diverso? Sono servite un po’ d’indagini online e cartacee. Ecco, quindi, cosa sappiamo del saluto italiano.
Apparentemente, l’origine della parola va cercata nel dialetto di Venezia, dove le persone avevano l’abitudine di salutarsi usando la parola “s’ciavo” o “schiavo”. No, i veneziani non erano pazzi, semplicemente usavano quest’espressione invece del più lungo e macchinoso “servo vostro”, traducibile come “sono il tuo servo”, o anche “al tuo servizio”. Per trovare esempi di tale uso, non abbiamo bisogno di guardare oltre il lavoro dello straordinario drammaturgo di Venezia, Carlo Goldoni, che lo impiegò senza parsimonia nelle sue commedie sulla società veneziana.
“S’ciavo”, comunque, non è proprio lo stesso di ciao e c’è voluto tempo, e una buona dose di evoluzione linguistica, per passare dal primo al secondo. “S’ciavo” molto probabilmente proveniva dal latino servus, che significava servo o schiavo. Durante il periodo imperiale, molti schiavi provenivano dall’area che allora veniva chiamata Slavonia o Sclavonia, che corrisponde approssimativamente alla moderna Croazia orientale. Per la proprietà transitiva delle lingue, l’aggettivo che indicava le persone di quelle regioni, sclavus o slavi, divenne sinonimo della parola servus: ed è così che passammo dal latino servo al volgare italiano schiavo.
Avanti velocemente di qualche secolo e la popolarità del Dolce Stil Novo di Dante e Guido Cavalcanti, un tipo di poesia in italiano volgare ispirata all’amore idealizzato e alla figura iconica della donna angelo, dà alla parola schiavo un nuovo significato: uno schiavo non è più un semplice servitore, ma anche qualcuno soggiogato dall’amore e dalla passione, qualcuno pronto a fare qualsiasi cosa per l’oggetto del suo desiderio. E così, essere schiavo non significa più essere solo ed esclusivamente schiavo di un padrone, ma anche essere pronto a fare qualsiasi cosa per qualcuno, proprio come farebbe un amante per il suo amato. È in questo senso che l’uso di “s’ciavo” in dialetto veneto dovrebbe essere interpretato: le persone si salutavano per strada dicendo “sono al tuo servizio”, un modo educato e riverente per mostrare apprezzamento e rispetto.
La prima attestazione scritta della parola ciao è, ahimè, vecchia di 200 anni, anche se possiamo immaginare che il suo uso nella lingua orale debba già essere stato comune da un po’: è apparso in una lettera scritta nel 1818 da Francesco Benedetti, un drammaturgo di Cortona che in essa descriveva le carinerie ricevute da un gruppo di milanesi con cui era andato a La Scala: “Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin”. Nel 1819, la scrittrice britannica Lady Sidney Morgan menzionò persone, sempre a La Scala a Milano, che si scambiavano cordial ciavo, da un palco all’altro. Dello stesso periodo è ancora un altro attestato scritto della parola, si trova in una lettera inviata dalla contessa Giovanna Maffei, da Verona, a suo marito, in cui accenna che il loro giovane figlio “mi disse di dir ciao a Moti”.
Oggi “ciao” è una parola internazionale, sempre associata all’Italia, il cui significato è chiaro in ogni angolo del mondo. Beh, sapete cosa? È così da più di cento anni, come dimostra la sua presenza in un romanzo francese del 1893: scritto da Paul Bourget, ha un personaggio che parla in italiano e dice “Ciaò, simpaticone!”. Solo pochi anni dopo, all’inizio del 1900, un popolare valzer intitolato “Ciao” era ballato dalla gente in giro per l’Europa. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la popolarità del cinema italiano ha aiutato ulteriormente l’internazionalizzazione del “ciao”, facendone un simbolo linguistico dell’Italia.
E poiché il linguaggio è in continua evoluzione – come dimostra l’origine stessa di ciao – ci sono nuove varianti del nostro saluto preferito, che sono diventate particolarmente popolari negli ultimi anni e decenni: “ciao raga” (ciao ragazzi), “ciao neh” (hey! Ciao!) e anche l’orribile “ciaone” (letteralmente, un enorme ciao), neologismo recente già parte del Vocabolario Treccani della Lingua Italiana.
Oggi “ciao” è la parola italiana più usata al mondo, seconda solo a un’altra icona della vita e del patrimonio italiano: “pizza”. Breve, semplice da ricordare e con una storia interessante: non c’è da meravigliarsi se la amiamo tutti. Così è l’illustre storia del “ciao”, della sua nascita e di come è diventato il modo più comune e colorato di salutare amici, familiari e persone per strada: indicativamente usato solo tra coloro che si conoscono, è non così raro, quando l’atmosfera lo consente o l’occasione lo richiede, dire “ciao” a persone che abbiamo appena incontrato, specialmente quando abbiamo goduto della loro compagnia o condiviso un’esperienza speciale: una parolina che ci fa sentire tutti più vicini.
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