Quando la storia si ripete 719 anni dopo: i sacrifici di Celestino V e Benedetto XVI per il bene della Chiesa

Papa Ratzinger “voleva andarsene subito” per attuare il “suo personalissimo sacrificio di portata storica, per il bene della Chiesa”, ma è stato sollecitato a restare due settimane: fino alle ore 20 del 28 febbraio, quando non sarà più Papa, ma solo il Vescovo emerito di Roma. In tal maniera, oltre alle motivazioni addotte: “Sento l’età, non ho più le forze”, per lasciare il Soglio di Pietro, Papa Ratzinger ha incrociato, con il suo grande gesto di umanità, in tutto e per tutto gli avvenimenti, svoltisi a Napoli, che videro come protagonista nel dicembre del 1294 il suo antico predecessore, Papa Celestino V, primo nella storia della Chiesa a dare le dimissioni in piena libertà. Altro che “rifiuto per viltade” (come scrisse Dante Alighieri)!

Gli altri cinque che lasciarono il soglio pontificio (Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto IX e Gregorio XII) furono costretti a farlo contro le loro volontà. 
Eletto nel conclave di Perugia il 5 luglio del 1294, Pietro del Morrone fu incoronato Papa all’Aquila il 29 agosto successivo, dinanzi alla sua basilica di Santa Maria di Collemaggio. Il mese seguente, fra lo sconcerto dei cardinali, concesse le indulgenze plenarie a tutti i fedeli, nessuno escluso a cominciare dagli umili, quando erano nate o nascevano grandi cattedrali a riparazione dei potentissimi peccatori, i soli che potevano pagarsi il perdono.
 
Ai primi di dicembre del medesimo anno, a Napoli, dove aveva trasferito la sede papale, annunciò le sue dimissioni, destando le reazioni della “moltitudine dei napoletani” prima e poi dei cardinali convocati in conclave l’8 e il 9 successivi. Fece trascorrere alcuni giorni dall’annuncio – come ha fatto Ratzinger – perché il popolo e le corti reale e papale si quietassero; ma il 13 successivo attuò la sua irrinunciabile decisione. 
 
Come lo fece? Lo riferisce, fra i tanti altri, lo storico testimone oculare più illustre, il suddiacono (poi Cardinale) Jacopo Gaietani Stefaneschi: “…(Ce-lestino V°) seduto sul trono pontificale, in primo luogo impose il silenzio a tutti i cardinali, perché non intervenissero con la parola a contrastare quanto era intenzionato a compiere. E, presa in mano la carta, cominciò a leggere quella decisione piena di mestizia: e rinunciò al papato.
 
Scendendo dal seggio, pose a terra l’anello, la mitra o corona (non era in uso la tiara – n.d.r) e il manto pontificale, e lentamente si sedette a terra. Vedendo quell’atto, che non avevano visto mai, i cardinali cominciarono tutti a piangere, benché diversi di loro provassero più gioia che dolore”.
Di che si priverà Papa Ratzinger, scendendo dal trono la sera del 28 febbraio, non è dato sapere, ma è verosimile che si rammenterà del suo antico prede-cessore: Fit monachus, qui papa fuit (ridiviene monaco colui che era stato papa). 
 
Tempi diversi, ma dinanzi a tanta puntuale cronaca di 719 anni fa, non si possono non rilevare le affinità spirituali, culturali ed emotive che sottendono alle dimissioni del Papa tedesco, che la Chiesa non potrà non averne eterna memoria. Affinità fissate nella storia dallo stesso Benedetto XVI, visitando il 28 aprile del 2009 L’Aquila e la basilica di Collemaggio “ferite” dal terremoto del 6 aprile precedente, quando ricoprì con il proprio pallio (simbolo del Buon Pastore) l’urna del Santo Eremita. Pallio che a maggio prossimo, dopo la ricognizione in essere, sarà posto sui nuovi paramenti pontifici che rivestiranno i resti di Celestino V.
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