“Salutiamo il Carnevale Ch’è rumore, ch’è follia, l’universa frenesia che rinascere ci fa”. Inizia così l’inno ufficiale del carnevale di Viareggio, ossia “Sulla coppa di Champagne”, una canzoncina allegra, scritta da Icilio Sadun e Lelio Maffei, nel lontano 1921. La data ufficiale di nascita del carnevale viareggino però, risale al 1873. Come tutte le cose che nascono per gioco o per spirito di goliardia, e sulle quali nessuno scommetterebbe sul loro successo, anche per il carnevale viareggino, questi furono i presupposti. Casualità, gioco, goliardata, fu la combinazione vincente di un gruppo di giovani “bene” della società viareggina dell’epoca (1873), a cui venne la brillante idea di organizzare una sfilata carnevalesca. Era il 24 febbraio 1873. Nasceva allora il Carnevale di Viareggio, seppur in forma ruspante.
I primi rudimentali carri allegorici erano arrangiati con materie di “fortuna”: gesso, legno, teli di iuta grezza, ma c’era già tanto entusiasmo, si faceva a gara per creare il fantoccio, la sagoma, più creativa e bella.
La prima figura in movimento, creata a quell’epoca fu un Pierrot che passando per la via Regia, lasciò tutti a bocca aperta. Beato lo stupore candido di quei tempi! Passarono alcuni anni e gli artigiani viareggini cominciarono ad utilizzare la più malleabile cartapesta, per le loro creazioni.
Nacque così, attorno all’agognato periodo carnevalesco, un fiorente mercato di artigiani e creativi della cartapesta. Spuntarono piccole botteghe che iniziarono a preparare, in anticipo di mesi sul calendario, bozzetti, materiali, colori ed idee nuove per stupire ogni anno il pubblico.
Si cominciò a pensare ad una figura ad hoc, una maschera unica nel suo genere, per distinguere il carnevale di Viareggio, da quelli già esistenti. A questa, pensò, nel 1930, il pittore Umberto Bonetti: nacque “Burlamacco”, un mix fra le varie maschere tradizionali, ma con l’inconfondibile cappello da Napoleone e la tuta a scacchi rossi e bianchi. Nel 1931, gli si affiancò una dama, Ondina, il cui nome indicherebbe proprio il connubio tanto caro ai viareggini: onde-mare-estate.
Neppure le due rovinose guerre mondiali riuscirono a scalfire lo spirito di Burlamacco, e con due pause (più o meno lunghe), il carnevale tornò a fiorire con una nuova luce. Quella del tubo catodico.
L’avvento della televisione, l’interessamento di “mamma Rai” e il passaggio delle sfilate in tv, nel 1953 e successivamente, nel 1958, in Eurovisione, decretarono la consacrazione definitiva del carnevale di Viareggio.
Ancora oggi, rapiti dalla creatività degli artisti viareggini e della maestria nella esecuzione dei carri allegorici, non possiamo che ammirare la sfilata dei carri “made in Viareggio” esclusivamente, arricchiti da musiche, balletti, figuranti mascherati a tema (ogni carro, ha il suo protagonista o tema specifico) che incitano il pubblico a cantare e ballare; ed ovviamente, a votare per il carro a cui appartengono. Da moltissimi anni, infatti, il pubblico è invitato a votare il carro più riuscito, più rappresentativo e perché no, anche più scenografico.
Ogni anno, la città toscana, si veste letteralmente a “festa”, e per un mese intero, coinvolge centinaia e centinaia di persone, incantando tutti con i suoi spettacolari corsi mascherati, nello spirito scanzonato e giocoso, tipico del carattere dei viareggini.
Si va a Viareggio per divertirsi, per stupirsi.
Perché il carnevale è, in sintesi, da secoli, l’unico periodo dell’anno in cui sotto ad una maschera o sotto ad un camuffamento, possiamo essere ciò che non possiamo essere durante l’anno. Come dicevano i latini: “Semel in anno licet insanire” ovvero una volta all’anno, è lecito impazzire, ossia perdere il senno e la razionalità per dare libero sfogo alla follia (sana) che alberga in ciascuno di noi.