Il corteo acqueo in maschera. Il ballo del Doge. Le migliaia di maschere in tutta la città. Tutto questo è il Carnevale di Venezia e lo sappiamo bene, ma in mezzo ai colori più noti della città lagunare, si celano anche tradizioni in trasferta e leggende bizzarre caratterizzate da uno spirito goliardico che avrebbero fatto impallidire perfino le commedie di Carlo Goldoni. Stiamo parlando del Massariol, un folletto che dimora alla sinistra del fiume Piave, tra i boschi del Bellunese, una delle zone più amate proprio dai veneziani. I suoi connotati? Cappuccio e mantello rosso, capelli sciolti, barba e un’innata voglia di combinarne a più non posso. Niente cattiveria nel suo modus operandi però, solamente una cristallina natura scherzosa.
La sua fama è arrivata fino in laguna dove si tramanda mutasse forma per arrivare ai seni abbondanti delle donne veneziane. Altro tipico scherzo del folletto, sfruttando il fatto che a Venezia si stendono i panni (anche) nei campielli, rubare i suddetti e appenderli altrove, in qualche altro sestiere, facendo così ammattire le povere massaie che una volta ritrovati gli indumenti, si dovevano anche sorbire le sue grasse sghignazzate. Tra le vittime preferite del folletto, anche i traghettatori da una sponda all’altra dei canali. C’è da crederci che i veneziani contemporanei ne avrebbero avuto da ridere a crepapelle. Non sono rari infatti oggigiorno, gli scontri coloriti tra il personale di navigazione e i residenti, dando vita a un botta e risposta colloquiale e casereccio, spesso al limite di esilaranti gag.
Sberleffi, sregolatezza ma anche decisione e coraggio. Aldilà della nota storia che tramanda come Papa Leone I abbia fermato l’avanzata di Attila e i suoi terribili Unni, ben altro protagonista è colui che impedì che la città di Opitergium, l’attuale Oderzo in provincia di Treviso, cadesse sotto il dominio del monarca arrivato dal lontanissimo e gelido Oriente. Avete capito bene, il merito fu proprio del folletto dispettoso, il Mazzariol. E per farlo, diede sfoggio a tutto il suo più impertinente repertorio (cibo rovesciato, fuoco a ogni tipo di pellame, etc.), cavalli inclusi, cui legò criniere e code per aumentare il panico tra i guerrieri lì stanziati. E l’effetto fu talmente devastante che il mattino dopo gli Unni presero “armi e bagagli” e lasciarono l’accampamento dirigendosi altrove, risparmiando così la popolazione locale. Un’impresa questa che inorgoglì talmente tanto il Massariol che nelle notti di luna piena, le cronache tramandano si aggiri a bordo di una zattera canticchiando “Io sono il Mazariol che sconfisse Attila, il flagello di Dio”.
Un’impresa questa non esattamente isolata. Strizzando l’occhio alla poco conosciuta generosità di Paperon de’ Paperoni, autore di gesti di incredibile bontà ma mai desideroso di renderli pubblici, così il folletto, lì dove gli capitasse di vedere i contadini stremati dal duro lavoro, eccolo scendere in campo per aiutarli, piazzandosi anche davanti a buoi e cavalli per illuminare la strada di notte, evitando che si perdessero. Parrebbe anche merito suo inoltre, che in certe zone di montagna si sia appresa l’arte di fare il formaggio e la ricotta. Attenzione però. Se mai vi doveste avventurare per i boschi bellunesi, fate molta attenzione a non calpestare mai, e ripeto mai, le orme del Mazariol. Non solo la cosa non sarebbe per niente gradita dal folletto ma vi ritrovereste d’improvviso smemorati e a quel punto, provateci un po’ voi a tornare a casa.