Papa Francesco ha consegnato la berretta color porpora a venti nuovi cardinali provenienti da tutto il mondo. È stato il rito più solenne del Concistoro che ha riunito i “principi della Chiesa” per discutere del programma di riforma della curia. Tra di loro 15 sono elettori e 5 servitori della carità. Sono arcivescovi e vescovi emeriti che “si sono distinti per la loro carità pastorale nel servizio alla Santa Sede e alla Chiesa”.
Evidente – spiega in una nota padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana – il criterio che ha guidato il Papa nella scelta dei nuovi cardinali: l’universalità. Tra elettori ed emeriti sono 18 i Paesi del mondo rappresentati. Non solo: tra le 14 nazioni di provenienza degli elettori, 6 non avevano un cardinale o non lo avevano mai avuto, come Capo Verde, Tonga o Myanmar, oppure si tratta “di comunità ecclesiali piccole o in situazioni di minoranza”.
La diocesi di Santiago de Cabo Verde, ad esempio, “è una delle più antiche diocesi africane”, mentre quella Morelia in Messico si trova “in una regione travagliata dalla violenza”. Essi rappresentano – ha detto Papa Francesco – tanti vescovi che, con la stessa sollecitudine di pastori, hanno dato testimonianza di amore a Cristo e al Popolo di Dio sia nelle Chiese particolari, sia nella Curia Romana, sia nel Servizio Diplomatico della Santa Sede”.
Tra i venti nuovi cardinali ci sono due italiani: l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro e quello di Ancona, Edoardo Menichelli.
“Mons. Edoardo Menichelli è un grande arcivescovo, un vero pastore, e lo sarà anche come cardinale”. Don Vincenzo Tassitani esprime ammirazione per la scelta di Papa Francesco.
Per anni in Abruzzo è stato molto vicino all’attuale arcivescovo di Ancona. Obiettore di coscienza, partito a 20 anni da Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, per prestare il servizio militare a Chieti, è ritornato dopo qualche tempo in Calabria per ultimare gli studi nel seminario di Catanzaro. Dal volontariato all’altare, sempre dalla parte degli ultimi. Una scelta maturata nella città di San Giustino. Nel 1998 l’incontro con l’arcivescovo Menichelli, allora alla guida della diocesi di Chieti.
A fissare l’appuntamento era stato don Giuseppe Di Virgilio, che si occupava “della pastorale vocazionale e accompagnava i giovani che iniziavano il cammino di formazione alla vita consacrata”. Ricorda Don Vincenzo: “L’arcivescovo mi fece una domanda a bruciapelo: “Vince’, ma davvero ti vuoi fare prete?” Dissi: “Sì, io lo desidero”.
Raccontai tutto di me, i segni della chiamata di Dio, il giorno che mi fermai a pregare a San Giustino. Ero solo, nella grande cattedrale mi sentii piccolo, ma immensamente amato da Dio. In quel momento intimo con Dio, dall’iniziale smarrimento trovai luce nel mio animo. Pensai: “Sì, Signore, sia fatta la tua volontà”.
La svolta. Una scelta di vita. Le riflessioni, i consigli e i buoni auspici di Menichelli.
“L’arcivescovo mi disse che la vita del prete non è vita facile. Ma nello stesso tempo si è felici ugualmente, felici perché si porta Dio ai fratelli, quindi la via, la verità e la vita. Passammo un’ora insieme e alla fine mi diede la sua benedizione, dicendomi: “Se son rose fioriranno”. Ottenni il parere favorevole ad iniziare l’anno propedeutico sotto la guida di don Giuseppe Di Virgilio. Poi iniziai il cammino di discernimento e formazione”. Menichelli lo seguiva con grande attenzione.
“Periodicamente lo incontravo. Ogni colloquio era un arricchirsi interiormente. Con lui avevo finalmente chiaro il progetto di Dio su di me. Mi ha fatto crescere passo dopo passo. Ha sostenuto ed incoraggiato con amore di padre il mio “Sì” iniziale. È stato il mio modello di prete. Un prete e vescovo che cammina portando la Verità, Cristo. Lui non cercava di piacere, farsi amici, come purtroppo tante volte succede nel nostro mondo ecclesiale. Mi ricordo gli anni di lotta col sindaco di Chieti, Nicola Cucullo. L’ex sindaco che l’attaccava. E lui sempre con carità gli rispondeva, invitandolo alla comunione e alla pace. Il suo unico scopo era quello di portare Cristo agli uomini. Negli anni di formazione mi ha forgiato come uomo e come prete. Ho sempre desiderato di essere prete come lui e purtroppo anch’io come lui ho tanti nemici nella comunità. Sa, oggi molti hanno paura della Verità. La Verità ci scomoda, ci richiama ad una più coerente vita cristiana”.
Don Vincenzo da nove anni svolge la sua missione pastorale nella diocesi di Locri-Gerace, dopo essere stato per un anno a Nova Siri, in provincia di Matera, nella diocesi di Tursi-Lagonegro.
“Fu Mons. Bregantini a farmi venire nella Locride, dopo un incontro con un missionario, avvenuto nel seminario di Catanzaro. Bregantini era molto amato qui in Calabria”. Guida le parrocchie di San Giovanni di Gerace e recentemente anche di Moschetta, due piccoli borghi, in una realtà economica, sociale e occupazionale molto problematica. Le tante criticità vengono affrontate con grande impegno dal parroco che ancora oggi considera decisivi per la sua formazione gli anni trascorsi in Abruzzo, impegnato in alcune cooperative di assistenza agli anziani e degli ammalati.
“Ho toccato con mano la sofferenza dell’uomo. Li aiutavo a vivere quel momento difficile della loro vita con fede. Sa, ne ho accompagnati tanti all’incontro con nostro Signore. Il lavoro l’avevo ottenuto tramite don Luigi Cremasco, sacerdote dell’arcidiocesi di Pescara-Penne, morto due anni fa, che avevo conosciuto durante il periodo del servizio militare come obiettore di coscienza. Anni belli per me. Ho avuto dei grandi maestri, i camilliani di Bucchianico. Guardando loro, ho pensato al sacerdozio. Iniziai a conoscerli nelle strutture sanitarie, in particolare alla clinica Spatocco. Poi andavo spesso a Bucchianico. Lì ho conosciuto la vita di San Camillo de Lellis e la sua patria”.
Si è trovato bene in Abruzzo, del quale serba un buon ricordo. Poi spiega così la decisione di tornare in Calabria:
“Quando rientravo a Corigliano nelle vacanze il mio parroco e gli altri sacerdoti mi chiedevano come mai stavo a Chieti e non nella mia diocesi di Rossano-Cariati, lontano da casa. Mi fecero scoprire i legami con la mia terra e la mia diocesi. Parlai col mio padre spirituale, Mons. Cipollone, l’attuale vescovo di Lanciano. Parlammo molto, e in più occasioni espressi il desiderio di rientrare a Rossano, ma non volevo lasciare il Seminario chietino e non potevo continuare a farmi mantenere da Chieti visto che sarei andato via alla fine degli studi. Chiesi al mio vescovo di sostenermi a Chieti, ma lui mi disse che poteva aiutarmi solo nel seminario di Catanzaro. Dovetti perciò rientrare in Calabria. Scrissi una bella lettera di ringraziamento a mons. Menichelli, chiedendo scusa anche del fatto che non mi sentivo figlio di quella diocesi e quindi desideravo tornare in Calabria. Ancora ne conservo una copia. Lui capì e accolse positivamente questa nuova scelta”.
Don Vincenzo, per concludere, quale è stato il suo primo pensiero quando ha saputo della nomina a cardinale di mons. Menichelli?
“Sicuramente un pensiero di gratitudine verso Dio e la certezza che lo Spirito Santo sa quello che fa e sa chi scegliere”.