Torino 1864. Sono passati appena tre anni dall’Unità d’Italia. Sui libri di storia si legge che proprio allora la capitale del nuovo Stato, nato con fatica dalle battaglie risorgimentali, diventa Firenze. Una tappa intermedia prima del trasferimento definitivo a Roma nel 1871, secondo quanto previsto nel 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia. 
 
Ma sono passati anche 150 anni da un momento turbolento di cui non si conserva memoria. 
A Torino scoppiano violenti tumulti: si protesta contro il trasferimento della capitale a Firenze. Per la città significava, come poco prima era avvenuto per Napoli, cuore pulsante del Regno borbonico, perdere i ministeri, le ambasciate, la corte, le mondanità, i privilegi nobiliari e la regia assoluta di quel che avveniva nel resto della penisola.
 
Per il Piemonte è la fine di un’epoca di grandi risultati e di forte impegno per raggiungere l’unificazione territoriale. Per Torino si prospetta una progressiva marginalizzazione dalla scena politica proprio mentre si investiva per costruire il ruolo dominante nel settore economico-produttivo, da futura metropoli industriale.
 
Il 21 settembre del 1864 la tensione esplode: ci sono accordi segreti con la Francia sul trasferimento della capitale a Firenze che vengono divulgati e fanno gridare al tradimento. I torinesi, ricordando i sacrifici e il sangue versato durante il Risorgimento, si sentono traditi dallo Stato italiano che, appena nato, voleva privare Torino del ruolo di capitale. Un governo inesperto dà ordine alla polizia di assaltare i manifestanti.
 
Allota una folla ancor più numerosa si scontra con due squadroni di carabinieri che aprono il fuoco sulla gente inerme: morti e feriti, anche tra chi era seduto al caffè. Nottetempo il governo, temendo la guerra civile, fa affluire a Torino 20.000 soldati. L’indomani, 22 settembre, Torino è in stato d’assedio. Di nuovo i carabinieri aprono il fuoco indiscriminatamente.
 
In due giorni si contano 55 morti e 133 feriti. Il 28 settembre cade quel governo ribattezzato “dell’assassinio” ma prima dirama un comunicato in cui si dichiara che a Torino la plebaglia armata aveva aggredito i soldati, costretti a sparare per difendersi. La stampa italiana accredita quella versione e stigmatizza l’egoismo dei torinesi, poco patriottici, che non volevano rinunciare al ruolo di capitale. Sarà poi il trasferimento del re Vittorio Emanuele, il 7 febbraio 1865, a rendere ufficiale lo spostamento a Firenze. 

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