Sorprese e nuove ricostruzioni di un periodo fondamentale per la nascita e sviluppo della città dell’Aquila e del suo territorio: quello tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XVI.
Sono tante le novità contenute nel volume I “cantici” del Perdono Laude e soni nella devozione aquilana a san Pietro Celestino di Francesco Zimei, edito dalla Libreria Musicale Italiana.
Il volume, frutto di una ventennale ricerca condotta su fonti spesso inedite conservate in varie parti d’Italia (ma anche d’Europa e degli Stati Uniti), muovendo da un episodio di grande risonanza storica come il Perdono, l’indulgenza plenaria concessa da Celestino V in occasione della sua incoronazione (1294), analizza per i successivi cinque secoli la sua cospicua ricaduta sulle attività musicali aquilane in forza della prescrizione, da parte del Pontefice, a celebrare tale ricorrenza con “inni e cantici”.
Oltre a influire direttamente sul canto delle laude, come denota il congruo numero di testi aquilani superstiti, tale disposizione portò nel 1434 la municipalità a istituzionalizzare “pro salute animarum” (per la salvezza delle anime) il concomitante ballo purificatorio che si teneva nei quattro giorni antecedenti la festa, disponendo la nomina di tre maestri di danza per ogni quartiere affinché guidassero il popolo nella preparazione del rito. Questa consuetudine, ancora in vita nei primi decenni del secolo XVI e poi gradualmente simbolizzata nell’esecuzione della sola parte strumentale (i cosiddetti soni), si ripeteva il 19 maggio in occasione della memoria liturgica di Celestino, ma fu estesa al giorno successivo con la canonizzazione di Bernardino da Siena, morto il 20 maggio 1444 all’Aquila e subito elettone compatrono a suggellare il suo ruolo-guida all’interno di quel francescanesimo osservante che ebbe nella città uno dei centri propulsori.
“L’ingente documentazione raccolta, comprensiva di tutte le concordanze musicali, di un ampio numero di intonazioni e dell’intera contabilità amministrativa superstite (oltre mille musicisti censiti tra Quattro e Settecento tutti all’epoca regolarmente pagati) – spiega l’autore Francesco Zimei – costituisce un imprescindibile punto di partenza per l’auspicato recupero storico della Perdonanza Celestiniana nelle sue prerogative più autentiche.
Tra le novità che questo saggio contiene la prima riguarda il coinvolgimento di tutta la popolazione nella preparazione delle celebrazioni celestiniane – continua Zimei – visto che il cittadino era parte attiva di tutte le manifestazioni legate a queste feste mentre oggi si trova relegato a mero spettatore”.
Se questa opera costituisce una pietra miliare per ricostruire un momento ricco e fecondo per il territorio aquilano, ha elementi di evidente modernità quando introduce ad un periodo che oggi interessa anche il territorio aquilano visto che l’anno giubilare indetto da Papa Francesco ha dato come indicazione quella di vivere l’evento nelle rispettive Diocesi, prima ancora che recarsi a Roma in Vaticano, da intendersi proprio come invito alla partecipazione personale e non formale.
Tra le scoperte più significative della ricerca di Zimei, invece, c’è l’identificazione di un nuovo grande protagonista della produzione letteraria aquilana del tardo medioevo l’Abate di San Silvestro Buccio di Pietruccio di Petracca da Collebrincioni autore fra l’altro della Leggenda de Sancto Tomascio”.
Dal XIII al XV, in particolare in Francia e poi in Italia, dalle laudi si passò alle sacre rappresentazioni, allestimenti teatrali di un mistero della fede, in forma drammatica. Un teatro particolarmente vivace da questo punto di vista si ebbe in Abruzzo dove la Confraternita di San Tommaso dell’Aquila espresse in un interessante laudario le tendenze sceniche, metriche e musicali, in parte derivate da una tradizione epica e drammatica locale preesistente. Assunse consistenza l’abitudine di ripartire la rappresentazione in più giornate, già tipica delle celebrazioni della Settimana Santa, e venne estesa al tema agiografico. In questa rappresentazione elementi realistici e scenicamente validi toglievano al dramma la veste austera, per dargliene una più festosa e leggiadra.
Lo studio di Zimei vuole infine raccontare come gli aquilani interpretarono la direttiva musicale del Papa-eremita e in quale misura ciò ebbe a influire sulla formazione di un repertorio espressivo che si sviluppò in parallelo con la vicenda politica e urbana della città.
Sotto il profilo terminologico prima che sostanziale, nelle fonti i “cantici” appaiono declinati in due distinte tradizioni: una di carattere laudistico e un’altra istituzionale detta dei soni. Della prima, cospicua per dimensioni ma riuscita sinora a suscitare interesse solo negli aspetti letterari e drammaturgici, si coglie il pretesto per delineare una storia sonora divenuta irrinunciabile alla luce del movente indulgenziale. La seconda, più sfuggente per la sua natura squisitamente pratica e non a caso pressoché sconosciuta all’esegesi, è riemersa grazie all’ampia documentazione amministrativa superstite, che cerca di distillarne tutte le informazioni utili a un’inquadratura artistica e funzionale del fenomeno.