Cairate, comune lombardo di 7.887 abitanti della provincia di Varese.
Il toponimo è di probabile derivazione longobarda, riconducibile ai significati geologici di “altura” e vegetali di “noce” o “castagna”. Il centro abitato fu fondato dai Longobardi di cui sono state rinvenute due epigrafi: una murata nella Chiesa di San Martino e l’altra sui gradini di una scala del monastero. Il paese, data la posizione strategica, accrebbe la sua importanza durante le invasione barbariche: i Longobardi vi insediarono una fortezza militare, collegata al castrum Castel Seprio tramite una strada che costeggia la valle. La fortezza fu un nodo nevralgico nello scacchiere militare del Nord Italia per buona parte del medioevo.
Furono gli stessi Longobardi, in particolare la badessa Manigunda, che contribuirono in modo determinante allo sviluppo economico e politico del borgo. Lei fondò il monastero che diventò col tempo fra i più importanti del nord Italia. Alla fine del XIII secolo, Cairate entra a far parte della Signoria dei Visconti e, dal 1395, del Ducato di Milano, di cui segue le sorti per i secoli successivi. Nel XVII secolo, durante la dominazione spagnola del Ducato si registra che nel 1582 il papa Gregorio XIII concesse l’indulgenza plenaria per tutti coloro che si fossero recati a visitare la chiesa di S. Maria: le offerte dei pellegrini furono utilizzate per la costruzione delle altre chiese di Cairate: San Rocco, San Pietro, Sant’Ambrogio. Durante il XVII secolo il Governo spagnolo infeudò le terre ma il paese rimase senza alcuna entrata economica, in forte decadenza rispetto al passato.
Poi Maria Teresa d’Austria costrinse il comune ad alienare le proprietà e i terreni dei possidenti per risanare i bilanci comunali e per trasformare aree di terra improduttive in aree coltivate. Nel 1786 un’altra riforma del governo austriaco obbligò il monastero a trasformarsi in una scuola, per non rischiare la soppressione. Questa arrivò tuttavia nel 1799 con la conquista dell’Italia da parte di Napoleone.
Appartiene alla Comunità Montana Mugello ed è il punto di passaggio obbligato per arrivare al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campiglia, che si estende sul crinale dell’Appennino tosco-romagnolo e comprende boschi tra i più estesi (36.200 ettari) e meglio conservati d’Italia, custodi di un elevato patrimonio floristico e di una fauna di grande interesse. Fu abitato sin da epoche antiche. Fu fondato dagli Etruschi, provenienti dalla Maremma, che con le loro tecniche di costruzione realizzarono molte strade. Poi dai Romani: il “castrum decumani”, cioè il complesso con ponti e torri su ciascun vertice e il relativo borgo ad occidente, rese l’area colonia militare. Il nome tra l’altro, può derivare dal “Decumanus” (il tracciato che definiva la colonia) oppure deriva dal fiume Comano.
Già a partire dall’Alto Medioevo, il borgo, ai piedi dei più importanti passi verso la Romagna, diviene uno dei centri di maggior prestigio commerciale e logistico. Un dato di una certa curiosità, a conferma delle potenzialità commerciali di Dicomano, è rappresentato dal fatto che qui, dal 1300 al 1700, fu aperto un porto fluviale, dove veniva concentrato il legname da costruzioni e per i cantieri navali di Pisa e Livorno.
Tra i principali luoghi di interesse va menzionato il borgo storico che presenta nella via principale alcuni loggiati comunicanti costituiti da archi sorretti da colonne a sezione quadrangolare che risalgono al secolo XVII. Il borgo fu però danneggiato dal terremoto del 1919 e poi bombardato il 27 maggio 1944, con gravissimi danni per il paese che però vede ancora abbastanza integri i quartieri intorno al Ponte Vecchio ed il quartiere del Forese. C’è poi un’area di interesse archeologico. Gli Scavi archeologici a Frascole hanno restituito i più consistenti reperti riferibili dal VI secolo a.C. al I secolo d.C., nonché il poderoso perimetro quadrangolare di un edificio etrusco, che probabilmente era una struttura difensiva a controllo della strada di transito.
Il centro cittadino, di 512 abitanti, è posto sull’omonimo Monte Erice, mentre la maggior parte della popolazione si concentra nell’abitato di Casa Santa, contiguo a Trapani. Un tempo era uno dei comuni più estesi della Sicilia, oggi sono rimasti poco più di cinquecento abitanti, che si decuplicano nel periodo estivo. Il nome di Erice deriva da Erix, personaggio mitologico, figlio di Afrodite e di Boote, ucciso da Eracle. Secondo Tucidide, fu fondata dagli esuli troiani, che fuggendo avrebbero trovato il posto ideale per insediarvisi; poi i Troiani unitisi alla popolazione autoctona avrebbero dato vita al popolo degli Elimi che fondarono Segesta, dove celebravano i riti religiosi. Fu contesa dai Siracusani e Cartaginesi sino alla conquista da parte dei Romani nel 244 a.C. I Romani vi veneravano la “Venere Erycina”, la prima dea della mitologia romana a somiglianza della greca Afrodite. Denominata Gebel-Hamed durante l’occupazione araba (dall’ 831 fino alla conquista normanna dell’Isola), la montagna non fu abitata.
Ripopolata col nome di Monte San Giuliano e così ribattezzata nel 1167 dai Normanni, acquista prestigio con la costruzione di nuovi edifici civili e religiosi, divenendo una della maggiori città del Regno. Erice deve la sua rinascita alla Guerra del Vespro, divenendo di fatto la rocca da cui scaturivano le azioni belliche di Federico d’Aragona, re di Sicilia fino al 1337. La ricchezza delle famiglie che vissero sino alla riforma borbonica è testimoniata dai palazzetti e case signorili che si affacciano, numerosi, sulle strade della città. Dal 1963 Erice è sede del Centro di cultura scientifica Ettore Majorana, istituito per iniziativa del professor Antonino Zichichi, che richiama gli studiosi più qualificati del mondo per la trattazione scientifica di problemi che interessano diversi settori: dalla medicina al diritto, dalla storia all’astronomia, dalla filologia alla chimica. Per questo alla cittadina è stato attribuito l’appellativo “città della scienza”.