Traditional Easter celebrations in Enna, Sicily. © Bruno D Andrea | Dreamstime.com

The earth is fertile again, light wins over darkness, budding flowers regenerate dry, naked branches. In the past, for those communities who lived of agriculture and whose survival depended on the cycles of nature, the Spring Equinox had a very important social value, because it evoked the triumph of life over death. 

If we go back to Greece,  even centuries before the birth of Christ, the awakening of nature was welcomed by rituals filled with symbolism about the eternal cycle of life-death-rebirth, created to celebrated the return of Persephone from the Otherworld. The young woman was to stay with her mother Demeter, the Mother Earth, for the whole summer.  Demeter, happy to finally be with her daughter, would gift humanity with a generous, bountiful season, before returning to be dry and empty during the Winter, in the months she mourned her daughter’s loss: a time for loneliness, pain and mourning. 

Ancient Rome celebrated the coming of Spring with the Floralia — which took place when flowering reached its climax in April — with hymns to fertility. German people would honor the pagan goddess of fertility with rituals that included the lightning of a candle, symbol of the flame of life, left to burn until sunrise. It’s curious that, at least if we believe the version given to us by Jacob Grimm in his Deutsche Mythologie (1835), the English word “Easter” comes from the Old German Oster. “Eostre” was the germanic goddess of life renewal, Spring, fertility.  With the diffusion of Christianity, the feast of Ostara was assimilated to Easter which, from it, got its name and many old traditional elements that we still find in our celebrations today: the Easter bunny, a representation of fertility and prosperity, but also the egg, primordial embryo of all existence. 

Colorful marble Easter eggs made in San Gimignano, Tuscany. © Claudio Caridi | Dreamstime.com

For Christians, Easter is a time of rebirth, and resurrection means exactly that:  the return to life after death, a regeneration after what had been, for Dante, a descent to Hell, life lost in sin. There, in the darkness of Evil, was eternal damnation, a journey among desperate cries and sorrowful souls. Hell is pain, physical labor and spiritual sufferance, fear and complete loss. Loss of everything, even of hope, something that popular wisdom says è l’ultima a morire, is the last to die. But Dante, in the most famous verse of our literature, says that whoever crosses the line of perdition falls into an infernal circle of blind solitude, where desperation is the only, unchangeable horizon. Therefore, lasciate ogne speranza voi ch’intrate, “abandon every hope, ye who enter” sin. There is no life there. 

During his journey, which goes from darkness to light like that of Spring, from fall to salvation like that of Man, and from sin to God like that of Christians, Dante saw the deepest abyss of Humanity. But on Holy Saturday’s night, he leaves guilt, dissolution and failure behind, he climbs up  the mountain of Purgatory, in penitence and expiation, and walks through Paradise, the dimension of purity, innocence and peace. From darkness to redemption, from Evil to Good. Dante walked a painful and tiring path of conversion and rebirth. It’s the meaning of Christian Easter, but there is also a profoundly human dimension in Dante’s Divine Comedy. 

Why do we speak about it?

Because this year, beside the 1600th birthday of our magnificent Venice, we celebrate the 700th anniversary of the Sommo Poeta’s death and there’s been a lot of celebrations, both in Italy and in our Cultural Institutes around the world, on the 25th of March, Dantedì, the day when Dante’s metaphysical journey started. Even Pope Francis spoke about him, dedicating to the poet his apostolic letter Candor Lucis Aeternae: “In this peculiar moment of our history, a moment characterized by so much darkness and degradation, by a lack of trust in and perspectives for the future, the figure of Dante, a prophet of hope and a witness to Humankind’s desire for happiness, can still give us guiding words and examples. He can help us continue this pilgrimage of life and Faith we’re all taking, with serenity and courage.” 

Here, we find a point in common between Spring, rituals of passage, Easter and a message of hope and new beginnings. 

Because we are all waiting for a new beginning after this past tragic year, and because we all can’t wait to finallycome “forth to see again the stars” just like Dante, we hope Easter will really bring regeneration and the end of this girone infernale. Happy Easter to you all, dear readers!

La terra che ritrova la sua fertilità, la luce che vince sull’oscurità, le gemme che rigenerano rami secchi e spogli. In antichità, per comunità che vivevano di agricoltura e la cui vita dipendeva dai cicli naturali, l’Equinozio di Primavera aveva una valenza sociale importante rievocando il trionfo della vita sulla morte.
Nel mondo ellenico, e torniamo indietro di 7 secoli prima della nascita di Cristo, il risveglio della natura veniva salutato con riti intrisi di simbologia sul ciclo eterno di vita-morte-rinascita che celebravano il ritorno di Persefone dall’Oltretomba greco. La giovane sarebbe rimasta accanto a sua madre Demetra, la Madre Terra, per tutta l’estate. Demetra, felice di avere la figlia con sé, avrebbe portato una generosa stagione dei frutti prima tornare ad essere arida e vuota in inverno, nei mesi della perdita della figlia, tempo della solitudine, del dolore, del lutto.
L’Antica Roma celebrava l’arrivo della primavera con i “Floralia”, celebrati quando la fioritura raggiungeva il suo apice in aprile, con inni alla fecondità. I popoli germanici onoravano la dea pagana della fertilità con rituali che includevano l’accensione di un cero, emblema della fiamma dell’esistenza, che le sacerdotesse lasciavano ardere fino all’alba. E’ curioso notare che, almeno stando alla ricostruzione fornita da Jacob Grimm nell’opera del 1835 Deutsche Mythologie, l’inglese Easter arriverebbe dal tedesco antico Oster. Eostre era la divinità germanica collegata al rinnovarsi della vita, alla primavera, alla fertilità. Con la diffusione del Cristianesimo, la festa di Ostara venne assimilata dalla Pasqua, da cui prese anche il nome e parecchi elementi della tradizione antica che furono inglobati al punto che si conservano nelle festività attuali: il coniglio pasquale, simbolo di fertilità e prosperità, o l’uovo, embrione primordiale da cui scaturisce l’esistenza.
La Pasqua, nella confessione cristiana, è un periodo di rinascita e la resurrezione significa proprio il ritorno alla vita dopo la morte, la rigenerazione dopo quella che per Dante Alighieri era stata la discesa all’Inferno, la vita perduta nel peccato. Lì, nel buio del male, stava la perdizione eterna, il viaggio “tra disperate strida” e spiriti dolenti. L’Inferno è dolore, fatica fisica e sofferenza spirituale, paura e perdita di tutto. Anche di quella speranza che nei detti popolari è l’ultima a morire. Invece, nel verso più famoso della letteratura italiana, Dante ci dice, che chi oltrepassa quel confine di perdizione finisce nel girone infernale della solitudine più cieca, dove la disperazione sarà l’unico immutabile orizzonte. Dunque, “lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” nel peccato. Lì non c’è vita.
Nel suo viaggio “primaverile” di risalita dal buio alla luce, “umano” dalla caduta alla salvezza, e “cristiano” dal peccato a Dio, Dante ha conosciuto l’abisso più profondo che è quello dell’essere umano. Ma nella notte del Sabato Santo, si lascia alle spalle la colpa, la dissoluzione e il fallimento, risale la montagna del Purgatorio, tra pentimento ed espiazione, e attraversa il Paradiso: la dimensione della purezza, dell’innocenza, della pace. Dall’oscurità alla redenzione, dal male al bene. Dante ha compiuto un cammino, faticoso e doloroso, di conversione e rinascita. E’ la Pasqua cristiana, certo, ma c’è anche una dimensione profondamente umana nella Divina Commedia di Dante.
Perché ne parliamo? Perché quest’anno, oltre ai 1600 anni della splendida Venezia, si celebrano i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta e ci sono state numerose manifestazioni in Italia e negli Istituti culturali del mondo, in occasione del Dantedì, il 25 marzo, giorno in cui sarebbe iniziato il suo viaggio metafisico. Ha parlato di lui anche Papa Francesco che gli ha dedicato la lettera apostolica “Candor lucis aeternae” scrivendo che: “In questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante, profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità, può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino. Può aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede che tutti siamo chiamati a compiere”.
Troviamo qui un punto di convergenza tra la primavera, i riti di passaggio, la Pasqua e il messaggio di speranza e di nuovo inizio.
E poiché aspettiamo tutti una rinascita dopo questo tragico anno di pandemia, e tutti non vediamo l’ora di “uscire a riveder le stelle” come Dante, ci auguriamo che questa Pasqua porti finalmente una rigenerazione e che segni la fine di questo girone infernale. Auguri a tutti, cari Lettori!

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