La nuova mostra all’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti a Firenze, aperta fino all’11 settembre, presenta alcuni dei più bizzarri e inaspettati soggetti figurativi ricorrenti nelle collezioni medicee che, tra Cinquecento e Settecento, trovarono significative e curiose, rappresentazioni artistiche. Si tratta di scene ‘di genere’, un universo figurativo che nella acclarata gerarchia della pittura barocca, permetteva di illustrare, spesso anche con intenti morali o didascalici, diversi aspetti comici della vita sociale e di corte, quei temi ritenuti, cioè, altrimenti bassi e privi di decoro, indegni di una pittura alta, di soggetto sacro, mitologico o storico.
 
Le opere selezionate, circa una trentina, provengono per la massima parte dai depositi della Galleria Palatina e dalla Galleria delle Statue e delle Pitture, e presentano al visitatore personaggi marginali e devianti come buffoni, contadini ignoranti o grotteschi, nani e praticanti di giochi tanto leciti che illeciti. Nella società apparentemente immobile dell’antico regime, cui danno volto nelle sale di Pitti i ritratti dei granduchi e dei gentiluomini della corte, la pittura ‘di genere’ diviene lo strumento critico che permette di attingere, attraverso l’arte, alla più variegata realtà del mondo.
 
Un campionario variopinto, quanto inaspettato, di personaggi della corte medicea, incarna l’ambivalente mondo della buffoneria, del gioco. Sono spesso personaggi realmente vissuti, cui erano demandati l’intrattenimento e lo svago dei signori, antidoto alla noia sempre in agguato tra le maglie del rigido cerimoniale spagnolesco. Così dimostrano il grottesco più sgradevole del Nano Morgante del Bronzino e, all’opposto, la leziosità cortigiana dei Servitori di Cosimo III de’ Medici. 
 
La comicità di questi soggetti, non esente nel profondo anche da risvolti drammatici o almeno malinconici, si declina nei buffoni di professione, qui rappresentati nei tre tipi: della parola – abilissimi nelle acrobazie verbali e nelle improvvisazioni di spirito -; del fisico – l’anomalia degli acondroplasici e dei deformi -; e, infine, della devianza mentale come il Meo Matto di Giusto Suttermans.
 
Appartengono invece al mondo della buffoneria di mestiere Alberto Tortelli e Giuliano Baldassarini raffigurati da Niccolò Cassana in veste venatoria, sospesi dunque tra il piano figurativo dell’ambientazione arcadica, non altrimenti qualificati di segni allusivi al ruolo svolto a corte, e quello della verità biografica che ce li restituisce al mestiere di addetti al divertimento del gran principe Ferdinando. Della serie dei servitori fa parte anche il magnifico quadruplice ritratto di Servi della corte medicea con cui Anton Domenico Gabbiani offre una sorta di regesto di forme e temi, qui antologizzati nel bizzarro campionario di personaggi, tra cui un nano, un gobbo, un moro, tutti realmente documentati come ‘prestatori d’opera’, servile o buffonesca, a palazzo.
 
Tra gli svaghi avevano un posto i giochi, nelle molteplici fattispecie di quelli di parola, da tavolo, in particolare le carte, e quelli propriamente fisici. Non mancano testimonianze pittoriche, oltre che letterarie, di svariati personaggi di corte intenti all’esercizio di un gioco ginnico, come l’enigmatico Ritratto di giocatore con palla. Lo scenario meno lecito ed aulico dello svago, l’equivoca taverna ai margini dei ‘regolari’ confini della società, esercita una fascinazione sulla corte che ne ricerca e ne acquisisce le rappresentazioni alle proprie collezioni, come nel Suonatore di chitarra, riconducibile al Maestro dell’Incredulità di San Tommaso (alias Jean Ducamps?), in cui il giocatore/musico squaderna senza pudore sul tavolo, cui si appoggia, i proibitissimi dadi e un mazzo di carte. 
 
Similmente intriganti, nella loro dimensione di personaggi ‘irregolari’, e per questo ‘attirati’ all’occasione della presente esposizione, i protagonisti della movimentata Scena di gioco e chiromante in atto di leggere la mano di Nicolas Regnier o l’umanità errante e cenciosa dei Due cantastorie vagabondi, o quella appena più rassicurante dei Venditori ambulanti di Monsù Bernardo.
 
Le forme del comico si costruiscono nel percorso che si propone, per via del contrappunto tra norma e difformità, regola e sproporzioni, registro alto e sregolatezza. 
In questo gioco di (s)proporzioni, il brulicante e frenetico affollarsi di affaccendati pigmei in alcune opere di Faustino Bocchi, tra cui il corteo de La mascherata di gnomi (Il gatto Mammone) e le minuscole nudità de I Nani al bagno immerse nella vacuità d’abisso notturno della lavagna su cui sono dipinte, rappresenta l’esito estremo della grammatica delle distorsioni, in cui il bresciano fu maestro. Non manca nemmeno il lampo demoniaco che la società attribuiva spesso, con enorme crudeltà, alla natura deforme nell’inquietante Banchetto grottesco di creature più o meno umane e fornite di corna e nello straordinario musical infernale di Orfeo nell’Ade di Joseph Heintz il giovane, dove caramogi e nani ballano su uno scalone da fare invidia ai migliori palcoscenici di Broadway. 
 
Assieme ai dipinti in mostra troviamo le sculture in marmo del Nano musicante di Agostino Ubaldini e del Nano con sonagli di Andrea di Michelangelo Ferrucci, oltre al bronzetto del Giambologna raffigurante l’Uccellatore, proveniente dal Museo Nazionale del Bargello. L’incisione col Ritratto di Bernardino Ricci detto il Tedeschino, a cui Stefano della Bella ha affidato il racconto di una delle personalità più interessanti della buffoneria di professione al servizio dei Medici nel primo Seicento, completa le tematiche rappresentate dai dipinti.
 

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