“Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce orrende, elefanti, orchi, leoni e draghi”.
Il Sacro Bosco di Bomarzo, in provincia di Viterbo, ribattezzato dalla fantasia popolare come Parco dei Mostri, attira, sorprende e meraviglia nel suo complesso di giganti monumenti in pietra raffiguranti mostri e animali mitologici che accompagnano il visitatore in un viaggio emozionale immerso nella natura.
Il suo ideatore PierFrancesco Orsini (detto Vicino Orsini), della famiglia Orsini, signori di Bomarzo dalla metà del XIII secolo, dedicò questo incredibile bosco cinquecentesco alla moglie Giulia Farnese e ne commissionò la realizzazione a Pirro Logorio, architetto chiamato a lavorare a San Pietro dopo la morte di Michelangelo.
Siamo nel periodo del Manierismo, la corrente artistica italiana del XVI secolo che si pone tra il Rinascimento e il Barocco determinando la rottura degli armonici equilibri classicisti.
Il Parco si configura come un “museo” all’aperto, un labirinto di simboli che molti studiosi hanno cercato di interpretare individuandovi tematiche della letteratura rinascimentale riconducibili a Petrarca, Ariosto e Tasso.
All’inizio del percorso due Sfingi e due iscrizioni accolgono il viandante invitandolo a capire “se tante meraviglie sien fatte per inganno o per pur arte” e ad ammirare il luogo “con gli occhi spalancati e le labbra serrate”.
Si scende presso la statua gigante di Ercole che uccide il nemico Caco, fino ad arrivare alla Fontana dedicata a Pegaso, e al complesso monumentale della Balena, che fuoriesce dal sottosuolo con la bocca spalancata, e alla Tartaruga che sostiene una donna alata, simbolo di purificazione.
Si procede verso il Ninfeo e il Teatro, fino alla singolare Casa Pendente. Costruita su un masso inclinato, la casa è inabitabile e spoglia. Ad essa si può accedere tramite un ponticello e nei suoi ambienti il visitatore prova uno strano senso di confusione e squilibrio fisico.
La costruzione fu realizzata da Giulia Farnese nel 1555 durante il periodo di prigionia di Vicino Orsini in terra straniera. La sua pendenza spiazza e stupisce e, allo stesso tempo, rappresenta simbolicamente la precarietà e il rischio di rovina vissuto e scampato dall’intera famiglia Orsini a causa della prigionia del suo Signore.
Si prosegue verso il monumento simbolo del Parco: l’Orco dalla bocca spalancata che, con una lunga scalinata, invita il visitatore ad entrare al suo interno. La bocca simboleggia l’accesso all’Inferno e la scritta, al di sopra delle fauci, “Lasciate ogni pensiero voi ch’entrate” invita il viandante a lasciare fuori ogni pensiero per purificarsi.
Segue il gigantesco Drago, l’Elefante da guerra, la scultura in pietra di Nettuno, Leoni, Orsi, Sirene dalle doppie code e Cerbero. Si giunge, infine, ad un tempietto, forse originario sepolcro di Giulia Farnese, oggi riutilizzato per la coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini che nella seconda metà del Novecento restaurarono e risollevarono il Parco dal torpore dell’abbandono in cui era caduto dopo la morte dell’ultimo principe Orsini.
Tutto fa pensare ad un percorso iniziatico, esoterico, mistico, nel quale il viandante si perde, si spaventa, si smarrisce, conosce se stesso, per poi purificarsi, raggiungere l’armonia e la perfezione.
Nonostante i tentativi degli studiosi, nessuno è riuscito a dare un’interpretazione universale ai molteplici significati e simboli nascosti che si snodano tra arte, inganno e illusione e coinvolgono il visitatore in un’esperienza emozionale ed intellettuale. L’iscrizione rinvenuta su un pilastro è forse indicativa per svelare l’originaria intenzione di Vicino Orsini: “Sol per sfogare il core”.