“Sovente, alle due di notte, rientrando nel mio alloggio, a Bologna, attraverso questi lunghi portici, l’anima esaltata da quei begli occhi che avevo appena visto, passando davanti a quei palazzi di cui, con le sue grandi ombre, la luna disegnava le masse, mi succedeva di fermarmi, oppresso dalla felicità, per dirmi: Com’è bello!”. Così Stendhal, nel 1826 nel suo Voyages en Italie esprimeva la sua ammirazione per l’architettura del centro storico bolognese. Un paesaggio urbano caratterizzato da una fitta rete di camminamenti protetti che raggiunge i 40 chilometri, con soffitti molto alti oppure bassissimi.
Candidati ad essere “patrimonio dell’umanità” Unesco, i portici di Bologna rendono la città emiliana unica al mondo. Certo, la comodità di uno spazio colonnato, aperto all’esterno eppure riparato perché coperto da un tetto, non fu certo una scoperta bolognese. Greci e Romani se ne erano avvalsi ampiamente nei luoghi pubblici, cuori pulsanti della vita politica e degli affari, per consentire lo svolgersi di attività all’aperto in caso di pioggia o sole battente.
Per quanto nella colonia romana di Bononia vi fosse già la presenza di portici, la diffusione di questo tipo di architettura si ebbe a partire dal tardo Medioevo per tener testa al forte incremento della popolazione dovuto all’arrivo di studenti e letterati all’Università di Bologna che nell’XI secolo godeva già di una fiorente scuola giuridica.
L’arrivo degli studenti da tutte le parti d’Europa ha plasmato l’architettura della città. Fu necessaria la costruzione di unità abitative per accoglierli e si provvide ampliando i piani superiori delle case con una camera in più poggiante sugli “sporti”, una specie di balcone di legno costruito sulla facciata per ampliare lo spazio dei piani alti. Gli “sporti” col tempo aumentarono in grandezza e si dovettero costruire colonne di sostegno dal basso, cioè sulla strada, perché non crollassero.
Nell’XI secolo troviamo le prime testimonianze dell’erezione di portici, come risulta da un contratto d’affitto di una casa stipulato dal monastero di Santo Stefano del 1091, con l’importantissima specifica che il suolo del portico era sì privato, ma doveva rimanere di uso pubblico. Grazie a questa clausola, ancora in vigore, i portici sono diventati un luogo, di socialità e commercio, un salotto all’aperto e il simbolo dell’ospitalità bolognese. Uno dei pochi esempi rimasti di portico medievale è quello di Casa Isolani in Strada Maggiore. Il portico, sorretto da altissime travi di legno (circa 9 metri) fu eretto intorno al 1250. Le travi sono in legno di quercia e sostengono lo sporto del terzo piano dell’edificio. A Bologna sopravvivono ancora otto portici in legno. Oltre Casa Isolani, sempre al Duecento, risalgono l’elegante casa Grassi di via Marsala, l’edificio che la fronteggia e casa Rampionesi in via del Carro. Del Trecento sono invece: casa Azzoguidi-Rubini in via San Niccolò, casa Seracchioli al principio di via Santo Stefano, fino all’ex orfanotrofio di via Begatto. Il più giovane portico in legno è quello di via Gombruti 17 (XV secolo).
A partire dal 1288 iniziò la loro massiccia costruzione ed espansione. Nel 1288 per dare riparo ai commercianti e agli studenti della nascente Università fu promulgato un bando per cui nessun nuovo edificio doveva essere privo di portico alto almeno sette piedi bolognesi (2,66 metri), cioè quanto un uomo a cavallo e largo altrettanto. A queste misure non ci si attenne scrupolosamente specie nelle zone più povere, in cui i portici venivano costruiti con dimensioni decisamente inferiori come il portico di Via Senzanome che misura 95 cm di larghezza. Se in principio i portici venivano realizzati in legno, successivamente ad un decreto emanato nel 1568, furono convertiti in laterizio o pietra.
Nella seconda metà del Cinquecento nacquero molte vie porticate come quella che sostiene la chiesa di San Bartolomeo in strada Maggiore e il portico dell’Archiginnasio eretto dal Terribilia nel 1563, noto come “Pavaglione”. Bologna vanta il primato del portico più lungo del mondo. Questo famoso portico conduce al Santuario della Madonna di S. Luca. Dal primo arco di porta Saragozza al Colle della Guardia il portico di San Luca è formato da 666 archi, 15 cappelle e misura 3,796 km. La costruzione del tratto in pianura prese avvio nel 1674 e fu completata in soli due anni, snodandosi fino all’arco del Meloncello eretto tra il 1719 e il 1732, punto in cui inizia il tratto collinare. I lavori di questo terminarono nel 1739, a distanza di 65 anni dal loro inizio. La storia del portico come la fondazione del santuario sono legate all’icona della Vergine con Bambino che vi è custodita dentro. La leggenda vuole che un pellegrino-eremita greco, in pellegrinaggio a Costantinopoli, abbia ricevuto dai sacerdoti della basilica di Santa Sofia il dipinto, attribuito a Luca evangelista, per portarlo sul “monte della Guardia”, così come era indicato in un’iscrizione sul dipinto. L’eremita si incamminò così in Italia alla ricerca del colle della Guardia su cui portò il dipinto in processione. Con il crescere dell’afflusso di pellegrini verso il santuario, si decise di costruire il lunghissimo portico, per proteggerli dalla pioggia.
Non sarebbe casuale il fatto che il portico sia composto esattamente da 666 archi: il numero diabolico sarebbe stato utilizzato per indicare che il porticato simboleggia il “serpente”, ossia il Demonio, sia per la sua curve, sia perché, terminando ai piedi del santuario, ricorda la tradizionale iconografia del Diavolo sconfitto e schiacciato dalla Madonna sotto il suo calcagno. In passato, la salita si faceva in ginocchio e pregando. Oggi salirvi a piedi è tradizione in caso di grazie ricevute, come per un aiuto in amore o per un esame. Il portico è anche il luogo prediletto dai bolognesi per fare jogging, mentre i turisti seduti comodamente su un trenino sfrecciano al loro fianco.