Volano le esportazioni di birra italiana all’estero che sono praticamente triplicate negli ultimi dieci anni con un aumento record del 28 per cento in quantità nel primo semestre 2015 rispetto allo stesso periodo anno precedente. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti che, con un milione e mezzo di associati è la principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo.
 
Numerosi sono gli esempi innovativi della produzione nazionale. Se la birra piemontese aromatizzata alla canapa è di colore rosso rubino intenso e ha un deciso aroma di miscele di malti d’orzo con spiccata sensazione floreale e gusto pronunciato, quella pugliese al carciofo è di colore giallo paglierino con intensi profumi che molto ricordano il prestigioso Igp brindisino e gli agrumi, con un retrogusto piacevolmente amarognolo.
Tutta la freschezza delle visciole nella fruttata birra marchigiana aromatizzata con questa ciliegia acida, una birra adatta per l’aperitivo, quasi una bollicina con sentori di luppolo malto d’orzo e visciola. E infine, passando dalla pregiata birra biologica doppio malto trevigiana che si esalta con il gusto del radicchio rosso tardivo Igp, si arriva alla birra bionda al riso, realizzata da un’azienda veronese che con il riso ha realizzato decine di preparazioni e che ha inteso offrire una proposta alcoolica alternativa ai grandi vini Doc scaligeri. 
 
Anche grazie a queste innovazioni la birra italiana va forte all’estero e conquista i Paesi nordici, dalla Germania (+37 per cento), alla Svezia (+5 per cento), fino ai pub della Gran Bretagna (+3 per cento). A sostenere le esportazioni è il boom nella produzione artigianale di birra Made in Italy che quando sono l’evoluzione di aziende agricole rappresentano l’autentica espressione del Made in Italy. 
Ha raggiunto il record di 30 milioni di litri la produzione annuale di birra artigianale in Italia dove in netta controtendenza alla crisi si contano circa 600 microbirrifici nel 2014, rispetto alla trentina censiti dieci anni fa.
 
Oltre a contribuire all’economia, la birra artigianale rappresenta una forte spinta all’occupazione tra gli under 35 che sono i più attivi nel settore con profonde innovazioni che vanno dalla certificazione dell’origine a chilometri zero al legame diretto con le aziende agricole ma anche la produzione di specialità altamente distintive o forme distributive innovative come i brewpub o i mercati degli agricoltori. 
Una offerta variegata in grado di soddisfare gli otre 30 milioni di appassionati consumatori di birra presenti in Italia dove tuttavia il consumo procapite è di 29 litri, molto poco rispetto a Paesi come la Repubblica Ceca con 144 litri procapite, l’Austria 107,8, la Germania 105, l’Irlanda 85,6, il Lussemburgo 85 o la Spagna 82. 
 
A garantire la produzione italiana di birra ci sono le coltivazioni nazionale di orzo con una produzione di circa 860.000 tonnellate di orzo nel 2014 su una superficie complessiva investita di circa 226.000 ettari. Per quanto concerne la produzione di birra, la filiera cerealicola unitamente al Ministero delle Politiche Agricole ipotizzano un impegno annuo di granella di orzo di circa 90.000 tonnellate. 
Da tempo Coldiretti ha stimolato, perseguito ed avviato la politica delle filiere corte del “Made in Italy” agroalimentare, nel senso che il produttore partecipa, attraverso le sue forme associate fino alla gestione del prodotto finito sul mercato. Contestualmente, si sta potenziando la rete distributiva di “Campagna Amica”: il consumatore trova i prodotti firmati direttamente dal produttore in una sorta di vera tracciabilità.
 
Tale politica ha stimolato iniziative progettuali nel segmento della birra artigianale o agricola avviando una nuova imprenditorialità costruita con l’impiego dell’orzo aziendale in un contesto produttivo a ciclo chiuso garantito dallo stesso agricoltore. In questa situazione di grande dinamicità, a supporto della trasparenza dell’informazione dei consumatori, è però necessario qualificare le produzioni nazionali con l’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine, per evitare che vengano spacciati come Made in Italy produzioni straniere.

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