La Basilicata può offrire un tour dal sapore medievale se si sceglie di scoprire i castelli di cui è punteggiata.
Melfi ha senz’altro il castello più noto della regione. Eretto dai Normanni, venne ampliato dagli Svevi e dagli Angioini. Qui nel 1231 Federico di Svevia promulgò le Constitutiones Augustales del Regno di Sicilia. L’intervento angioino è caratterizzato dalla cortina esterna con torri quadrate e poligonali, opera di Riccardo da Foggia. Oggi si nota l’assenza di torri cilindriche; la forma della pianta (un quadrilatero irregolare) è stata condizionata dalla morfologia del terreno.
Nel secolo XVI passò ai Doria che lo trasformarono soprattutto nel corpo centrale. La parte scuderie, stallaggio e mortorio, angioina, immette alla Sala del Trono e al sottostante Salone degli Armigeri. Oggi vi ha sede il Museo nazionale del Melfese.
Se il castello di Melfi è il più noto, Castel Lagopesole è il più bello, magico e misterioso ove aleggia ancora lo spirito del grande Federico II. È l’ultimo dei castelli edificati dall’Imperatore svevo, fra il 1242 e il 1250, quando morì. Andando da Potenza verso il Vulture appare e scompare alla vista alto e solitario su di una radura, splendido se illuminato dal sole. La sua pianta rettangolare lo allontana però dall’esagono, figura classica adottata nel periodo di Federico II. È diviso in due parti, una raccolta intorno al cortile d’onore di rappresentanza; l’altra più legata ai fatti d’arme, il mastio al centro. Per la sua posizione, sulla strada per la Puglia, costituiva una sosta e un incremento alla caccia, grande passione del re. Probabilmente, esisteva già prima di Federico II, visto che qui si riconciliarono Papa Innocenzo II con l’abate Rinaldo di Montecassino, alla presenza dell’Imperatore Lotario II di Sassonia, al tempo della guerra contro Ruggero il Normanno.
Nel 1268 e nel 1294 vi soggiornò (e vi fece restauri) Carlo I d’Angiò. Nel 1416 passò alla famiglia Caracciolo, insieme a Melfi. Nel 1531 Carlo V lo donò ai Doria. È stato museo provvisorio dei reperti salvati dal terremoto e per più di un anno la sua mole rossiccia in bugnato calcareo ha ospitato nelle varie stanze quadri e sculture, arte popolare e aulica, che lo hanno reso una testimonianza fondamentale dell’anima e della storia lucane.
Ma tra Brienza, Genzano di Lucania, Laurenzana, Lavello, Moliterno, Muro Lucano, ci si può perdere nella storia plurisecolare di una regione che può offrire tante alternative anche tra Oppido Lucano, Palazzo San Gervasio, Pietragalla, Senise e Venosa.