Balocco, comune piemontese di 256 abitanti della provincia di Vercelli.
La prima citazione storica si ha nel X secolo: il paese è inserito nell’elenco delle pievi vercellesi al tempo del vescovo Ingone (924-960). L’etimologia è incerta: alcuni la riconducono al latino “badaluchum”, strumento per catturare uccelli, altri a “badaluchus”, ossia scaramuccia, questione di poca importanza, altri lo fanno derivare dal celtico “lauc”. Monumento di pregio è il Castello, che ancora oggi può essere ammmirato, ma è una ricostruzione seguita alla guerre e alle devastazioni. Fu distrutto nel 1413 dai signori di Rovasenda, e ricostruito nel 1423.
Originariamente era un recinto fortificato che comprendeva la chiesa plebana di San Michele. Ciò che rimane di esso risale al XV secolo: una parte della torre d’ingresso, tratti di cortina e delle altre due torri: una a pianta quadrata, l’altra circolare. Da segnalare il mastio costruito in pietra, precedente alle ricostruzioni del XV secolo, la torre centrale e due piccole torri angolari. Adiacente al castello c’è anche un altro edificio, risalente anch’esso al XV secolo. La Parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita a tre navate (in origine era una sola) risale nelle sue parti più antiche al XI secolo. La chiesa romanica è ben riconoscibile, nonostante le aggiunte nei secoli successivi. Nel suo interno si possono ammirare un trittico attribuito ad uno dei Giovenone (XVI secolo) raffigurante la Vergine con il Bambino, San Michele Arcangelo e Santa Margherita.
Di epoca contemporanea ma di notevole importanza è il complesso di piste automobilistiche costruite a Balocco dall’Alfa Romeo per il collaudo delle proprie autovetture. La vicinanza con l’autostrada ha favorito l’insediamento di aziende industriali del settore caseario e dei prefabbricati. Il comune però è un tipico centro agricolo della pianura Vercellese alla sinistra del torrente Cervo. L’attività prevalente e tradizionale è l’agricoltura: al riso e al frumento si alternano i prati con l’allevamento del bestiame.
Situato in posizione collinare lungo la costa adriatica tra San Benedetto del Tronto e Fermo, il paese domina la bassa valle dell’Aso coniugando, in uno splendido affresco naturale, il verde della campagna marchigiana con l’azzurro del mar Adriatico. Situata tra le località “Tre Camini” e “Ponte Nina”, c’è la spiaggia che si estende per circa 1500 metri. Le vie e gli scorci raccontano le vicende secolari di un insediamento romano prima e di un lungo controllo dei vescovi fermani poi. Al centro storico, racchiuso da solide mura che ne proteggono l’integrità e le bellezze di un tempo, si accede percorrendo un breve viale alberato reso unico da maestosi pini secolari.
Il borgo, di forma affusolata, sorge lungo una via principale in cui si affacciano i principali edifici alle cui spalle si apre un labirinto di vicoli, a tratti coperti da volte a botte e a crociera e che, di tanto in tanto, lasciano intravedere la bellezza del panorama che lo circonda: il mare Adriatico, le dolci colline fino ad arrivare alle vette imbiancate dei monti Sibillini. Passeggiando per le vie si sente ancora il profumo dell’antichissima tradizione culinaria: da sempre viene prodotta una specialità gastronomica di gran pregio i “Maccheroncini di Campofilone”, sottilissimi fili di pasta all’uovo conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo.
Il metodo di produzione segue scrupolosamente la tradizione della pasta di Campofilone, tramandata di generazione in generazione, quando le donne di casa lavoravano e stendevano la sfoglia su ampie lastre di marmo, lasciavano riposare l’impasto avvolto in panni di cotone, che ne assorbivano l’umidità, e facevano essiccare in stanze ventilate, con ricambio costante di aria, per conservare intatti tutti i valori organolettici dell’alimento. Il piatto, che già in una corrispondenza dell’abbazia di Campofilone del 1400 veniva definito come “Maccheroncini fini fini”, è preparato con le migliori farine di grano tenero e uova, senza l’aggiunta di acqua.
Si trova nel Subappennino Dauno meridionale, a circa 40 km da Foggia, a 611 metri sul livello del mare. Il territorio comprende le colline san Quirico (728 metri), Celezza (757 metri), Salecchia (930 metri) e Macchione (846 metri), è disposto a ferro di cavallo ed inclina verso nord-est portando le fiumare a scorrere in questa direzione. La parte pianeggiante del territorio è coltivata a grano duro e frumento. Deliceto ha il clima tipico dell’alta collina, con inverni relativamente freddi ed estati temperate e non afose. Molto probabilmente il pri-mo embrione dell’abitato è stato il rione detto Pesco, fatto di grotte, oggi adibite a cantine, scavate nel frontone dello sperone Elceto che si affaccia sulla via che scorre sotto il castello in zona “molo”.
Non esistono documenti che menzionino Deliceto in età romana o precedente, né ritrovamenti archeologici più antichi. L’etimologia comunemente accettata lo fa derivare dalla parola latina ilex, ossia elce (leccio o ìlice). La denominazione Deliceto dall’elce concorderebbe con lo stemma accettato e conservato nel Grande Archivio di Napoli. Oppure potrebbe avere origini bizantine, alla stregua di numerosi altri nomi di origine greca ancora oggi di uso comune nel dialetto delicetano. Deliceto si identifica con l’imponente castello normanno-svevo, il cui nucleo originario risale al 1100.
La costruzione inizia nel X secolo, ad opera dei Bizantini che in quel periodo dominavano gran parte della Puglia per proteggersi dalle incursioni dei Saraceni. Il castello era una comunità autosufficiente e indipendente, come anche testimoniato dalla presenza di un pozzo nel cortile, dalle stalle e da grandi stanze che erano adibite a deposito. Sul portone d’ingresso del castello si trova lo stemma della famiglia Piccolomini, che in seguito dominò sul luogo. Il castello, riconosciuto monumento nazionale nel 1901, è oggi di proprietà comunale ed è recentemente tornato agibile dopo lunghissimi anni di abbandono.