È un’esperienza affascinante percorrere le strade dell’antica Daunia, territorio che corrisponde oggi alla provincia di Foggia, in Puglia, ricchissimo di tracce e di reperti storico-archeologici, che possiamo incontrare ad ogni angolo. Ve ne proponiamo alcuni esempi.
L’antica città romana di Herdonia, scoperta su una collina a sud-ovest dell’attuale cittadina di Ordona nel 1962 dall’archeologo Joseph Mertens, è detta “la Pompei della Puglia”. Due importanti battaglie sono state combattute qui durante la seconda guerra punica nel 212 e 210 a.C. Herdonia raggiunse il massimo splendore in età imperiale, grazie alla vicinanza con l’importante Via Traiana. Sopravvissuta al periodo delle invasioni barbariche, ospitò uno dei castelli di Federico di Svevia nel Duecento. In età tardomedievale subì un progressivo spopolamento e fu abbandonata definitivamente attorno al XIV-XV secolo. Il reinsediamento cominciò tra il XVII e XVIII secolo, in una zona vicina al sito dell’antica città. Nacque prima un’azienda agricola di Gesuiti, e successivamente sorse uno dei nuovi cinque reali siti colonici, voluti nel XVIII secolo da re Ferdinando IV di Borbone per ripopolare e riqualificare l’area agricola del tavoliere meridionale.
Gli scavi archeologici hanno portato alla luce elementi significativi dell’antico insediamento: le mura perimetrali e, sul lato ovest, i resti della porta principale fiancheggiata da torri quadrate, con rivestimenti in reticolato. Nella zona centrale si trovano un complesso di costruzioni in laterizio e reticolato, i resti di due templi, una basilica, del foro, di un mercato circolare e delle terme mentre. A nord est si trovano resti di un piccolo anfiteatro. All’esterno delle mura si estende una vasta necropoli in cui sono stati rinvenuti vari esempi di ceramica dauna conservati nei musei di Foggia, Bari e Taranto.
Nel 2000 gli scavi sono stati interrotti in seguito a un contenzioso tra il Ministero dei Beni Culturali e i proprietari dei terreni su cui sorge l’antica Herdonia. Nel 2014 il Ministero è riuscito ad acquisire parte della proprietà e tutt’oggi sta cercando di acquisire il resto del terreno per continuare gli scavi.
Per far sì che il luogo non cada nell’oblio un’associazione locale si occupa di organizzare nel sito rievocazioni in costume ed eventi teatrali, con artisti del calibro di Michele Placido, che è originario di queste zone. Ad oggi l’incuria e l’abbandono stanno gravemente danneggiando i ritrovamenti: la vegetazione si è riappropriata del luogo e gli affreschi che erano stati restaurati hanno bisogno di nuovi interventi. Per questo motivo la cittadinanza si sta mobilitando, nella speranza di sbloccare la situazione e di poter creare un Parco Archeologico dell’antica città di Herdonia. Imperdibile, a pochi km di distanza, la visita allo straordinario complesso di marmi policromi detto “Grifoni di Ascoli Satriano” esposto nel Museo Civico-Diocesano del paese, costituito da un sostegno per mensa (trapezophoros) con due grifi che azzannano un cervo, da un bacino rituale, al cui interno è raffigurata la scena del trasporto delle armi che Efesto ha forgiato per Achille su richiesta della madre Teti, da una coppia di mensole, da un grande cratere marmoreo che non solo conserva tracce di policromia, ma anche l’impronta in negativo di una decorazione in oro che è stata riconosciuta come motivo vegetale a foglie d’edera e due vasi da mensa per versare.
L’eccezionalità di questi manufatti è dovuta alla vivace decorazione policroma, l’alta qualità del marmo (è quello cristallino e trasparente scavato in galleria nell’isola di Paro che i Greci riservavano ai capolavori della scultura), la presenza della decorazione pittorica, così rara nei marmi giunti fino a noi e, soprattutto, la storia del ritrovamento di questi pezzi. Il trapezophoros (325 – 300 a.C.) è parte integrante del corredo funerario di una tomba macedone, unico esempio di gruppo marmoreo, la cui qualità e la cui decorazione pittorica sono state risparmiate dal tempo e dalle odissee che l’hanno caratterizzato in tutti questi secoli. È una storia molto travagliata: negli anni ‘70 furono effettuati scavi clandestini da tombaroli locali nella zona di Ascoli Satriano e i reperti furono subito smembrati. Alcuni di essi furono sequestrati dalla Guardia di Finanza e conservati in casse nei magazzini della Soprintendenza a Foggia, dove se ne persero le tracce, in attesa del processo.
Altri pezzi, i più pregiati, come il trapezophoros, furono venduti dai tombaroli ad un famoso mercante d’arte, Giacomo Medici. I pezzi finirono, per il tramite del noto trafficante internazionale R. Symes, nella collezione di M. Tempelsman, magnate di miniere e mercante di diamanti belga-americano. Poi lo straordinario oggetto del IV sec. a.C. fu venduto al J. Paul Getty Museum di Malibu in California e il curatore della sezione di arte antica venne a conoscenza nel 1985 della provenienza illegale degli oggetti acquistati da Tempelsman dallo stesso Medici.
Intanto uno dei tombaroli, Savino Berardi, gravemente ammalato, poco prima di morire, nel 2002, indicò ai Carabinieri il sito di provenienza nel territorio di Ascoli Satriano, cosa che consentì ai militari di riportare i Grifoni in Italia. I carabinieri avviarono una complessa indagine e scoprirono una cassa di materiali sequestrati, a nome Berardi, con 19 pezzi di marmo. Nel giugno 2010, il Ministero ha autorizzato il ‘ritorno a casa’ dei Grifoni, oggi il simbolo di Ascoli Satriano.
Lucera presenta uno stupendo museo, allestito nel palazzo Nicastri, in quella parte della città dove meglio si conserva l’impianto a vie ortogonali della colonia romana. Esso illustra egregiamente la storia della città in età romana e medievale e raccoglie copioso materiale archeologico, come il mosaico pavimentale del I secolo e le monete, spesso esemplari assai rari, coniate durante l’impero; il vasellame duecentesco attesta le importazioni dall’Oriente effettuate dai saraceni di Federico II. Infine, non si può lasciare il territorio foggiano senza aver visitato il delizioso paese di Rocchetta Sant’Antonio, perla della Daunia, premiata con la Bandiera Arancione, il cui simbolo è il castello cinquecentesco voluto da Ladislao D’Aquino, dall’originale forma che ricorda la prua di una nave, impreziosito dalla torre e da ingegnosi sistemi di difesa. La fortezza si slancia sul centro antico dall’alto del quale si vedono i territori di altre due province: Potenza in Basilicata e Avellino in Campania.
Salendo attraverso un pittoresco dedalo di viuzze lastricate in pietra, si raggiunge la settecentesca Chiesa Matrice, scrigno di opere di indiscusso valore, come le tele di Scognamiglio, Giaquinto e Brudaglio. Dal centro si dirama la rete sentieristica che conduce alle zone rurali, tra resti archeologici, chiese e conventi rupestri, come l’Abbazia di Santa Maria in Giuncarico, immersa nel Bosco dell’Annunziata, i ruderi di un’antica caserma romana trasformata poi in chiesa e aree ricche di flora e fauna, nei dintorni del Fiume Ofanto. Il paese ha purtroppo conosciuto una forte emigrazione e ora molte case risultano abbandonate. Alcuni proprietari sono disposti a cederle gratuitamente a chi è interessato. Per informazioni basta rivolgersi al Comune.