Si celebra quest’anno il cinquecentesimo anniversario della prima edizione dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1516). Una mostra organizzata dal Polo Museale del Lazio, diretto da Edith Gabrielli e allestita a Tivoli, nello splendido scenario di Villa d’Este intende celebrare l’impatto esercitato dal poema sulle arti figurative.
 
Villa d’Este, dichiarato nel 2001 patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è da sempre nota per il giardino all’italiana, caratterizzato da una altissima concentrazione di fontane, ninfei, cascate e giochi d’acqua.
 
Dopo un lungo periodo di decadenza, nell’Ottocento la Villa per un periodo tornò ad essere punto di riferimento culturale; tra i frequentatori, dal 1867 al 1882 vi è il musicista Franz Liszt, che qui compose Giochi d’acqua a Villa d’Este. Con la prima guerra mondiale il complesso divenne proprietà dello Stato Italiano e, dopo un impegnativo restauro, aperto al pubblico. 
 
Costituisce uno scenario ideale per una mostra di questo tipo: il cardinale Ippolito II d’Este, che fece costruire e decorare tra gli anni ‘60 e ‘70 del Cinquecento questa villa, nipote del cardinale Ippolito I a cui era stato dedicato il Furioso, non solo è citato più volte nel poema, ma aveva avuto modo di frequentare l’Ariosto negli anni della giovinezza trascorsi presso la corte ferrarese.
 
Già i contemporanei hanno giudicato Ariosto un “poeta che colorisce”, capace di “dipingere” le armi e gli amori con la penna e con l’inchiostro: pochi decenni dopo la sua morte lo si poteva già celebrare paragonandolo a Tiziano. 
 
Per la natura figurativa dei versi ariosteschi, l’Orlando furioso ha goduto, nei secoli, di una vasta fortuna visiva: la mostra curata da Marina Cogotti, Vincenzo Farinella e Monica Preti intende ricostruirla partendo dagli inizi del Cinquecento e giungendo fino al Novecento.
 
Le opere a Villa d’Este, attingendo alle più varie tipologie e tecniche artistiche (dipinti, sculture, arazzi, ceramiche, disegni, incisioni, medaglie, libri illustrati…), offrono un’esposizione rigorosa, nel suo costante rapporto con i temi del poema ariostesco, ma al tempo stesso capace di suggestionare emotivamente il visitatore.
 
Il percorso si apre negli appartamenti del cardinale. Si possono seguire, in un itinerario cronologico, alcune vicende della fortuna visiva del poema: dopo una premessa dedicata al volto e al mito del poeta (dove i ritratti cinquecenteschi dell’Ariosto dialogano con le rievocazioni ottocentesche di alcuni episodi, reali o fantastici, della sua vita), una sezione è dedicata alla storia figurativa del Furioso nel Cinquecento.
 
Si parte da un capolavoro di Dosso Dossi, che recenti indagini diagnostiche hanno confermato costituire la più antica testimonianza dell’iconografia ariostesca (in anticipo perfino sulla prima pubblicazione a stampa del poema) e si giunge a fine secolo, con uno smagliante dipinto di Simone Peterzano (il pittore che fu il primo maestro di Caravaggio a Milano) dedicato al fortunatissimo episodio dell’amore tra Angelica e Medoro. 
 
Al centro di questa sezione campeggiano tre monumentali arazzi estensi prestati dal Musée des Arts décoratifs di Parigi e restaurati per l’occasione, convocati a Tivoli per rievocare visivamente l’ambiente della corte estense e gli splendidi apparati che decoravano le delizie ferraresi, in cui affondano le radici della cultura figurativa dell’Ariosto, e una serie di maioliche policrome che documentano la diffusione delle iconografie ariostesche nel campo delle arti applicate.
 
La sezione seicentesca, particolarmente ricca per i prestiti concessi dai musei fiorentini, ruota intorno ad una serie di grandi dipinti che documentano la vasta diffusione, in diverse regioni della penisola, dei temi tratti dal Furioso nelle arti maggiori (ma è presente anche un piccolo capolavoro scultoreo: il bronzetto del Tacca raffigurante Ruggiero ed Angelica conservato al museo del Louvre).
 
Dopo un interludio settecentesco (rappresentato da alcuni disegni di Fragonard e di Giani), un altro affondo risulterà condotto sull’Ottocento italiano e francese: in Francia, dopo i celebri dipinti dedicati al Furioso da Ingres e Delacroix, il protagonista dell’iconografia ariostesca risulterà Gustave Doré, rappresentato in mostra, oltre che dalle diffusissime edizioni illustrate del poema, da una selezione di disegni originali, dove si dispiega tutta la sua inesauribile fantasia, e da un indimenticabile bronzo dedicato ad uno dei temi più fortunati del poema: Ruggiero sull’ippogrifo che uccide l’orca e salva Angelica. 
 
Nell’Italia dell’Ottocento l’iconografia ariostesca conoscerà una particolare fortuna nell’epoca romantica, come dimostrato dai dipinti di Giuseppe Bisi, Massimo D’Azeglio e Giuseppe Bezzuoli, con aperture che già preludono alla rivoluzione realistica che si affermerà nella seconda metà del secolo.
 
L’ultima sezione rivolge un omaggio al più bel Furioso del Novecento: quello messo in scena da Luca Ronconi a Spoleto nel luglio del 1969 e poi riproposto in altre sedi e ad un più vasto pubblico, in versione televisiva, nel 1975: in questo caso è possibile ammirare per la prima volta sia la sequenza di fotografie realizzate da Ugo Mulas in occasione della messa in scena dello spettacolo ronconiano in piazza del Duomo a Milano, sia i disegni preparatori delle scenografie e dei costumi realizzati da Pier Luigi Pizzi per la versione televisiva. 
 
Al piano inferiore, nella Sala della Fontana, splendidamente affrescata e fortemente rievocatica dell’ambiente estense, è stata ricostruita una scenografia del Furioso televisivo: i cavalli ideati da Pier Luigi Pizzi dialogano  con gli alberi e le foglie che invadono l’ambiente cinquecentesco, trasformandolo in uno spazio infinito, in una suggestiva rievocazione delle scenografie concepite per la versione televisiva di quello spettacolo (1975).

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