(Ph© Julijamiova| Dreamstime.com)

Nell’anniversario della riapertura degli Uffizi a solo sei settimane dall’alluvione del novembre del ’66 – in San Pier Scheraggio, è stato pre”sentato il volume Gli Uffizi, la città e l’Arno. Ugo Procacci, Giuseppe Marchini e la Soprintendenza Fiorentina nel 1966”, a cura di Maria Matilde Simari e Gioia Romagnoli, con testi e ricerche di Gabriele Barucca, Laura Pacciani, Gioia Romagnoli, Maria Matilde Simari, edito da Sillabe.  

“La riscoperta di un dattiloscritto di Giuseppe Marchini nella biblioteca delle Gallerie degli Uffizi, intitolato opere d’arte danneggiate a Firenze e in provincia e redatto subito dopo l’alluvione del 1966 e nei mesi successivi” scrive Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi “è stata l’occasione per riaprire le vecchie ferite di quel periodo, ma anche per comprendere l’eroismo e l’abnegazione di studiosi e funzionari – Marchini stesso, Ugo Procacci, Luisa Becherucci solo per fare qualche nome, oltre a un piccolo esercito di restauratori, custodi, volontari – che a poco più di vent’anni dalla fine della guerra si trovava a fronteggiare un disastro non minore di quello delle bombe e delle razzìe nemiche”.  

Il volume è stato promosso dalle Gallerie degli Uffizi perché racchiude testi e ricerche di particolare significato per la conoscenza del patrimonio artistico fiorentino: quello conservato nelle Gallerie e anche quello presente nell’area comunale e nei dintorni. Il nucleo del libro è il dattiloscritto inedito redatto a metà del 1967 da Giuseppe Marchini, all’epoca vice soprintendente e dunque stretto coadiutore di Ugo Procacci durante l’alluvione del 4 novembre e nei faticosi successivi mesi di riorganizzazione e di ricognizioni su un patrimonio artistico devastato.  

Il dattiloscritto fornisce le coordinate per conoscere in modo analitico la situazione del patrimonio artistico dopo la tragedia, esaminando ogni luogo, ogni museo, ogni chiesa, opera per opera. Gli elenchi minuziosamente studiati, analizzati e corredati di foto costituiscono così il primo repertorio delle opere danneggiate. Il libro ricorda l’eccezionale attività delle soprintendenze fiorentine nel 1966-‘67, e in particolare della Soprintendenza alle Gallerie, per il recupero dei manufatti e la riorganizzazione del patrimonio artistico.   

“Gli Uffizi” ricorda Maria Matilde Simari, funzionario delle Gallerie degli Uffizi e curatrice del volume “sebbene essi stessi pesantemente coinvolti nell’alluvione, divennero comunque un punto di prima affluenza e di pronto soccorso per tutte le opere d’arte danneggiate, mentre sempre in un luogo legato alle Soprintendenze – la Limonaia di Boboli – si approntava un grande laboratorio climatizzato con parametri appositamente studiati per le opere alluvionate dove squadre di restauratori italiani e stranieri lavorarono per mesi e mesi”.  

Vengono pubblicati alcuni scritti storici del soprintendente Procacci e dell’allora direttrice degli Uffizi Luisa Becherucci, nonché dell’architetto Bemporad, ripercorrendo i mesi di novembre e dicembre del ‘66 fino alla straordinaria riapertura dei musei statali il 21 dicembre dello stesso anno. Tale evento fu il risultato eccezionale di un lavoro instancabile che coinvolse soprintendenze, enti pubblici e l’intera cittadinanza.   Con la presentazione del volume “Gli Uffizi, la città e l’Arno” si è voluto ricordare quei mesi ancora presenti nella memoria di chi li ha vissuti. E rendere così un omaggio alle figure della Soprintendenza fiorentina, evidenziando inoltre come il 1967 sia stato l’inizio di un nuovo periodo organizzativo per i musei che dette il via alla riflessione sul progetto dei nuovi Grandi Uffizi. Già allora, per la tutela del patrimonio artistico danneggiato si mise subito in moto una gara a mettere al sicuro e approntare i primi restauri. Guidati dal soprintendente Procacci, i laboratori fiorentini dell’Opificio delle Pietre Dure raggiunsero quei livelli di avanguardia e maestranza tecnica che tuttora li rendono una delle strutture più importanti a livello mondiale nel campo del restauro.  

Oltre ai metodi tecnico scientifici allora disponibili, Procacci fu uno dei primi a basare gli interventi di restauro cercando e studiando le fonti scritte lasciate dagli artefici nel corso dei secoli. La più profonda comprensione di tecniche e materiali antichi infatti si basò (secondo una scelta inusitata per l’epoca) sulla lettura attenta delle testimonianze antiche che spiegavano i procedimenti utilizzati per creare i manufatti artistici. Trattati come il Libro dell’Arte di Cennino Cennini furono fondamentali per la conoscenza degli affreschi antichi e di altre tecniche e permisero un uso sapiente e calibrato delle tecniche aggiornate alle conoscenze moderne.   Innumerevoli tuttavia, furono i danni. Migliaia di giovani e volontari di tutte le nazionalità arrivarono a Firenze dopo l’alluvione per salvare le opere d’arte e i libri, strappando al fango e all’oblio la testimonianza di secoli di arte e di storia. Questa incredibile catena di solidarietà internazionale rimane una delle immagini più belle nella tragedia. I giovani divennero gli “Angeli del fango”, definizione creata dal giornalista Giovanni Grazzini, e furono uno dei primi esempi di mobilitazione spontanea giovanile nel XX secolo.  


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