Una chiacchierata Milano-New York è bastata per riscoprire la meraviglia dell’italianità. Dall’altro capo del telefono c’è Alexo Wandael, altoatesino di nascita ma newyorkese d’adozione, ex architetto, ora fotografo professionista che vanta nomi d’eccellenza tra pubblicazioni e ritratti. 
 
Nella Grande Mela sono le 11 del mattino, nella Milano-da-bere è già pomeriggio. Il motivo della chiacchierata è la nostra nazionalità, o meglio un progetto che vuole essere un inno all’italianità. “Italiany” è uno studio fotografico ideato e curato da Wandael con l’obiettivo di documentare e ritrarre il viaggio degli italiani, nati e cresciuti come lui nel Belpaese ma poi trasferitisi a New York e negli States.  
 
Le prime sequenze narrative di questa raccolta vengono catturate nel gennaio 2014 e già a settembre dello stesso anno giunge la prima grande occasione: una mostra. Da questo momento ha inizio la vera avventura. Casa Italiana Zerilli-Marimò, ente culturale associato alla New York University, diventa il primo sponsor a credere nel progetto artistico fornendo le location per le gallerie fotografiche. Oggi “Italiany” vanta ben centoventitrè ritratti e exhibition non solo a New York, ma anche a Miami e Los Angeles. 
 
“Italiany” non è solo un salotto iconografico, ma è un vero è proprio esperimento artistico che formula un nuovo linguaggio a partire dalla fase di sviluppo creativo e conseguentemente nella capacità comunicativa con il pubblico.
Sì, in questa prospettiva, “Italiany” brilla per la sua autenticità. Dopo dieci anni come architetto ho iniziato a lavorare come fotografo nella moda, perciò sono abituato a lavorare con modelli professionisti. Per “Italiany” incontro persone completamente diverse tra loro per età, sesso, professione, personalità. E’ importante creare sintonia tra il fotografo e il soggetto, sta lì la bravura. Per metterli a loro agio e creare quella magia tra l’obiettivo e chi si fa ritrarre, mi piace parlarci, conoscerli un po’ e renderli parte attiva nella creazione del set fotografico. Li coinvolgo facendogli scegliere la location e gli abiti per il photoshoot. Questo mi permette di poter cogliere appieno l’incontro dell’italianità con un ambiente così distante e diverso. 
 
Sta in questo l’essenza del progetto: essere manifesto della capacità di adattamento di noi italiani, senza però tradire la nostra individualità, portando con noi il nostro bagaglio di costumi e tradizioni. 
Voglio osservare in che modo siamo riusciti ad abbinare l’italianità alle nuove vite che ci siamo costruiti lontano da casa. Molti mi domandano se ci siano somiglianze con “Humans of New York”. Non è così. Non solo per il concept legato all’Italia, ma anche perchè noi allestiamo un vero e proprio servizio fotografico professionale arricchito dalla partecipazione creativa dei protagonisti ritratti. In questo sta la nostra originalità. 
 
Tutti i ritratti sono in bianco e nero. Perchè questa scelta stilistica?
Personalmente sono un grande amante del bianco e nero. Inoltre, il bianco e nero sottrae le fotografie all’usura del tempo. Diventano icone. Potrebbero essere state scattate in qualsiasi epoca, in qualsiasi anno. Questo permette che i ritratti diventino immortali.
 
Tutti gli scatti sono corredati da una breve intervista. Tu sei l’unico fotografo di “Italiany”, ma sei affiancato da un team. Come scegliete chi incontrare, conoscere e immortalare? 
In realtà è iniziato tutto in maniera abbastanza casuale. Diciamo che è stato una sorta di effetto domino. All’inizio ero convinto di conoscere tutti gli italiani a New York, ma poi ho scoperto che non era così. Man mano che incontravamo qualcuno e decidevamo di fotografarlo, chiedevamo di altri italiani che sarebbero potuti essere disponibili a farsi ritrarre. E’ stato un vero e proprio passaparola. 
 
Tra quelli che avete incontrato vi ha più colpito?
Tra tutti i miei lavori, la Issue #85 è la mia preferita. Il protagonista del ritratto purtroppo non c’è più. Si chiamava Piero Resta. Era un artista. Con lui abbiamo scattato le foto alle Hawaii. La ricordo come un’esperienza incredibile. La sua energia, il suo modo di muoversi, di fare. Lo porterò con me per sempre. 
 
Le fotografie di “Italiany” sono state esposte in mostre a New York, Miami, Los Angels. C’è la possibilità che arrivino in Italia? 
Le exhibition hanno avuto un riscontro molto positivo e in questo momento c’è un progetto in corso d’opera di cui stiamo discutendo con l’Ambasciata italiana, ma non è ancora stato definito nulla. Diciamo che abbiamo sicuramente in cantiere qualcosa e ci piacerebbe portare questo spaccato della società italiana anche nel nostro Paese. 
La nostra mission non si esaurisce solo nel parlare in Usa dei talenti italiani, ma di parlarne anche agli stessi italiani.
 
Il fenomeno dei cervelli in fuga, in questo momento, sta colpendo duramente l’Italia. Tanti sono i talenti che preferiscono lasciare il Paese alla ricerca di opportunità all’estero. Quale potrebbe essere il tuo consiglio per i talenti italiani? 
Oggi è sicuramente importante affacciarsi all’estero, anche attraverso i progetti di scambio culturale offerti dalle università. Approcciarsi all’estero, conoscerlo, fare esperienze, è fondamentale. Io credo però, che mai nessun italiano voglia veramente andarsene, lasciare l’Italia. 
Personalmente sogno che un giorno tutti i nostri talenti possano tornare, ma ora è difficile decidere di farlo, soprattutto perchè si ha la percezione, dall’estero, che il Paese non stia facendo di fatto niente per incentivare questo ritorno in patria.
 
E’ ancora una fortuna nascere italiani?
Assolutamente sì. Abbiamo un incredibile background culturale. Purtroppo non ha riscontro nella vita lavorativa ma noi italiani assorbiamo inevitabilmente la bellezza e questo ci permette di avere successo e far emergere il nostro talento. Abbiamo un bagaglio artistico e storico incomparabile. Nessuno al mondo può vantare lo spessore culturale degli italiani, perchè nessuno ha vissuto la nostra storia, la nostra arte. 
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