Ogni volta che una nazione nel mondo rifiuta o abolisce la pena di morte, il Colosseo di Roma s’illumina di luci colorate.
Infatti, è nella Città Eterna che ha sede la Comunità di Sant’Egidio, organizzazione che svolge un ruolo esemplare in Italia e nel mondo su tematiche sociali di grande importanza, tra le quali la pena di morte.
Mario Marazziti, portavoce della Comunità e membro della Camera dei Deputati, Comitato dei Diritti Umani, ha presentato a San Francisco il suo libro “13 Ways of Looking at The Death Penalty” (Seven Stories Press editore).
Il libro scritto in inglese (non esiste una versione in italiano), è stato appositamente realizzato per il pubblico americano affinché possa condividere le esperienze vissute da Marazziti in venti anni di attivismo sul campo.
Marazziti ha visitato i bracci della morte dei carceri americani come, ad esempio, Livingston in Texas, e ha potuto parlare con i condannati a morte, stabilendo un rapporto di amicizia con molti di loro.
Dalla sua grande esperienza presenta tredici diversi modi di guardare alla pena di morte come, ad esempio, dal punto di vista della vittima, da quello della persona innocente, fino alla prospettiva del panorama internazionale.
La maggior parte delle esecuzioni avvengono nel sud degli Stati Uniti, l’unica nazione facente parte del G7 e del mondo occidentale in cui è ancora prevista l’applicazione della pena capitale. Anche lo stato della California mantiene la pena di morte, in moratoria dal 2014, pur eseguendo condanne solo in casi eccezionali. È stata applicata, infatti, appena 13 volte e l’ultima sentenza è stata eseguita nel 2006.
Fondatore della “World Coalition Against the Death Penalty” nel 2002, Marazziti è stato di recente ospite del programma radiofonico “The Leonard Lopate Show” per parlare della sua esperienza nelle carceri statunitensi.
Gli abbiamo rivolto alcune domande dopo la presentazione di “13 Ways of Looking at The Death Penalty” alla libreria Book Passage di San Francisco.
Cosa rappresentano i “13 Modi di guardare alla Pena di Morte”?
Il libro è un modo, per me, di pagare un “debito”. Un debito di amicizia con l’America. E un debito con chi ha sofferto una vita violenta, chi ha creato dolore ad altri, chi sta scontando una pena terribile, magari ritrovando se stesso e diventando un essere umano capace di generosità e compassione.
Un debito di amicizia perché come molti italiani ed europei, amo molte cose di questo straordinario paese e della California, e sono cresciuto non solo con la musica, la letteratura, i luoghi della Beat Generation, ma anche con una gratitudine per il sacrificio fatto da tanti giovani americani per la libertà, per sconfiggere il nazismo. E siccome l’Europa è il primo continente del mondo ad avere, con fatica, rinunciato alla pena di morte (perché dopo due guerre mondiali e la Shoah, dopo i campi di sterminio e le dittature ha costruito una democrazia che non ne può più della morte, e ha saputo rinunciare alla pena capitale senza essere meno sicura dell’America), volevo restituire con questo libro il meglio che abbiamo, come tra amici.
Quale di questi può incidere di più sul panorama internazionale?
Sul terreno internazionale penso che un cambiamento dell’America, di alcuni stati, renderebbe definitiva l’incompatibilità tra democrazia e pena capitale. Adesso è una grande contraddizione. Perché la pena di morte contiene la violazione definitiva del diritto umano a vivere. Non c’è nessuna giustizia retributiva che può giustificarlo. Perché per difendersi la società ha già la prigione, e uccidendo lo stato e la società si abbassano al livello di chi uccide. Legittimano una cultura di morte, mentre vorrebbero difendere una cultura della vita. È una grande contraddizione.
Penso che sia importante il punto di vista delle vittime. Chi ha perso un proprio caro. Tanti non vogliono una morte in più “Do not kill in my name”, dicono. La morte di chi è condannato tiene queste famiglie congelate per anni nel momento più terribile della loro vita.
La California, uno degli stati più liberali degli States, mantiene ancora la pena di morte pur applicandola in casi molto eccezionali. Qual è la tua opinione al riguardo?
La California oggi è il più grande paradosso. Il più grande braccio della morte del mondo occidentale, 750 persone in attesa del giorno dell’esecuzione. Che forse non arriverà mai. Al ritmo di oggi ci vorrebbero 2500 anni o 3000 anni, una esecuzione ogni quattro. O, se si uccidesse un detenuto a settimana ci vorrebbero 14 anni. È “disfunctional””, costoso, una tortura indiretta, e blocca una parte del sistema giudiziario con gli appelli, fino alla Corte Suprema.
La comunità di Sant’Egidio di cui sei portavoce organizza incontri di preghiera per la pace in tutto il mondo. Cosa significa per te presentare il libro a San Francisco, dove sono nati movimenti pacifisti e per i diritti civili?
La Comunità di Sant’Egidio spero proprio che si affermi partendo da qui, dalla California, con un nuovo referendum, nel 2016, un nuovo diritto, più alto, quello a una giustizia che è sempre capace di rispettare la vita, perché “a Justice that kills stops being Justice”.