It’s curious to realize how we can actually see the evolution of society in a chair. If you do what the people at Milan’sSupersalone 2021 did, putting 170 of them one after the other, you can even delve deeper into history, identifying whether a design was only a temporary trend or was going to be the game-changer of a whole epoch. It seems impossible, but the humble chair is one of the objects that better synthesize the value of design through time. Because it belongs to everyday life, to the way we live and to the shapes we prefer, we can really see how design can shape changes in society, and react to cultural paradigms with original inventions and ways of communication. Materials, technology, the very aesthetic approach to a piece of design can tell much more than what we think.
Two types of chairs seem to really tell us a lot about our lives. One is the chair that speaks of our home space, of our personal intimacy; here we find the dinner table and the convivial moment of meal sharing. Chairs are the heart of domestic life and of familiar relationships. Lunch has a social value and turns into a moment to relate with others. The place where we eat, along with that where we make food, the kitchen, offers a transversal view of the evolution of domestic space, of the relationship among cohabitants, and of the level of privacy or sharing of this activity with other people who don’t belong to the familiar nucleus.
We find the second type of chair where we study or work. Among our most traditional and iconic office chairs, we find some that truly reflect the evolution of the workplace through the decades: from the classical office cubicle to ergonomic interpretations, all the way to more informal environments and to today’s development of online working. The chairs we find here are all expressions of the way working evolved and often defines its hierarchies.
Even if we don’t always realize it, design is very present in our everyday life. We are surrounded by it, even if we rarely notice how much it speaks about ourselves, and how artistic it can be, besides the use we make of it.
Let’s take our Moka, our caffettiera. Every Italian has a very precise — iconic, even — image of it. Two octagonal pieces one over the other, a small beak, a handle. A sort of doric column cinched at the center, where the filter is. In the 1930s, when it was born and sent Naples’ beloved cuccumella into early retirement, it was pure cutting-edge design, and this is why it’s still absolutely contemporary today, almost 100 years later. Even modern declensions of it didn’t change its core look and nature. It was Piedmontese Alfonso Bialetti who, in 1933, invented it, taking inspiration from an ancestor of the washing machine, the lisciveuse (the soap used to wash clothes was called, back then, lisciva), which his wife owned. It was from that big cauldron with a central pipe that pushed soapy water onto the laundry that he got the idea for his caffettiera, which was to become part of MoMA in New York and, perhaps even more significantly, of every home in Italy.
Bialetti’s design is functional, it’s almost like a pictogram. It is simple, recognizable, immediate. It carries meanings that go well beyond making a good cup of coffee. Bialetti’s design is veiled in an aura of sensations: it’s the reassuring rumbling of coffee making in the morning, a post-lunch ritual, a familiar scent that fills the kitchen. It’s a habit, a quick moment of relaxation with friends, a pleasure we can’t give up. In other words, the design, the object, is not only useful, but evokes a series of specific, well defined emotions.
Italy has a very strong connection with design. We only need to mention cult objects like Vespa, Flos lamps, bean bag chairs or Studio 65’s Divano Bocca, the “lips sofa” that, in the US, became a homage to Marilyn. And this is not only because design is an excellence made by the union between creativity on one side and quality and high craftsmanship on the other — all characteristics, by the way, typical of Made in Italy. Neither is it only because Italy is one of its leading countries when it comes to the number of businesses in the sector. The connection exists because design is a perfect symbiosis between form and function, and has always found exceptional interpreters in Italy, creative minds who made — and still make — of experimenting with innovative materials an instrument to achieve success, and to create a concept of furnishing that is always new. In Italy, this connection with design is a continuous, vibrant flux of projects and objects, as the results, both cultural and commercial, of the Salone del Mobile di Milano, the spearhead of the most innovative Made in Italy, show.
E’ molto curioso pensare che da una sedia si possa capire l’evoluzione della società. Mettendone in fila 170, come è successo al Supersalone 2021 di Milano, è addirittura possibile tracciare un percorso storico e capire quando un modello rappresenti una tendenza momentanea o si faccia interprete di un’epoca. Sembra incredibile eppure la sedia è uno degli oggetti che meglio riescono a sintetizzare il valore del design nel tempo. Questo perché è nella quotidianità, nel modo in cui viviamo e nelle forme che scegliamo per costruire gli oggetti di uso comune, che possiamo capire come il design sia in grado di veicolare, attraverso forme inedite, i cambiamenti della società, reagendo ai paradigmi culturali con invenzioni, linguaggi e contenuti originali. Gli stessi materiali impiegati, le tecnologie utilizzate, l’approccio estetico raccontano molto più di quello che a prima vista potremmo pensare.
Due categorie di sedie, in particolare, ci spiegano molto della nostra vita. La prima è la sedia che racconta il nostro spazio intimo e casalingo. Ecco la tavola e il momento conviviale del pasto come condivisione e scambio. Le sedie sulle quali mangiamo rappresentano il cuore della vita domestica e delle relazioni familiari e affettive. Il pranzo assume un ruolo sociale e diventa momento di relazione. Il luogo del consumo del cibo, in relazione con quello della preparazione, cioè la cucina, offre uno sguardo trasversale sull’evoluzione dello spazio domestico, dei rapporti tra i conviventi, del grado di privacy o condivisione di questa attività al di là del nucleo familiare.
La seconda categoria s’incontra sul luogo di studio e lavoro. A partire dalle più iconiche e tradizionali sedie da ufficio, ce ne sono alcune che riflettono l’evoluzione dell’ambiente lavorativo, dalle classiche postazioni da ufficio alle interpretazioni ergonomiche alle ambientazioni più informali, fino al più recente sviluppo dello smart working. Esprimono il modo in cui si evolve il lavoro o ne delineano le gerarchie.
Il design è un concetto che, anche se non ce ne rendiamo conto, appartiene molto alla nostra vita quotidiana. Ne siamo circondati anche se spesso non facciamo caso a quanto sia in grado di costruire la nostra capacità rappresentativa e figurativa, al di là dell’uso che facciamo di un oggetto.
Prendiamo ad esempio la caffettiera. Chiunque in Italia ha di essa un’immagine precisa, potremmo dire iconica. Due pezzi ottagonali sovrapposti, un beccuccio e un manico. Una sorta di colonna dorica rastremata al centro, in corrispondenza del filtro. Era avanguardia pura negli anni ’30 quando nacque (mandando in pensione la cuccumella napoletana) e questo spiega perché continui ad essere assolutamente contemporanea oggi. Persino le rivisitazioni più attuali non cancellano questo simbolo per eccellenza della cultura tricolore.
Nel 1933 la ideò il piemontese Alfonso Bialetti ispirandosi all’antenata della lavatrice, la ‘lisciveuse’ (la lisciva era il sapone di allora) della moglie. Da quel grosso pentolone con un tubo centrale che spingeva l’acqua saponata sul bucato gli venne l’idea per costruire quella macchina per il caffè che sarebbe entrata al MoMa di New York e, cosa forse più importante, nelle case di tutti gli italiani.
Il design della Moka, per quanto funzionale all’uso, è l’equivalente di un pittogramma. Nella sua semplicità, riconoscibilità, immediatezza, è portatore di significati, che vanno ben oltre il tirarci fuori una tazzina di caffè. E’ avvolto in un alone di sensazioni: è il rassicurante brontolio del caffè al mattino, è il rito del dopopranzo, il profumo che riempie la cucina, è un’abitudine, un momento di relax con gli amici, un piacere irrinunciabile. E’ cioè un disegno capace di riassumere tutte le caratteristiche emozionali dell’oggetto.
L’Italia ha un legame storico con il design. Basterebbe citare oggetti cult come la Vespa, la Lampada Flos, la Poltrona a sacco o il Divano Bocca di Studio 65, che negli Stati Uniti divenne un omaggio a Marilyn. Questo perché il design non solo è un’eccellenza frutto da un lato della creatività e dall’altro della qualità e cura artigianale che caratterizzano il Made in Italy, e non solo perché il Paese è tra i leader internazionali per numero di imprese e fatturato nel settore. Ma perché il design è la perfetta simbiosi tra forma e funzione e ha sempre trovato schiere di interpreti eccezionali, creativi che hanno fatto (e fanno) della sperimentazione con materiali innovativi, il mezzo di successo per esprimere ogni volta una nuova concezione dell’arredamento. In Italia però, questo legame con il design è un flusso ininterrotto, palpitante ed effervescente di progetti e prodotti, come dimostrano i risultati culturali e commerciali del Salone del Mobile di Milano, vera punta di eccellenza del Made in Italy più innovativo.
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