Luisa Spagnoli (Photo courtesy of Luisa Spagnoli)

History tells of women who have triumphed in significant cultural battles. From Luisa Spagnoli, a pioneering entrepreneur, to Fabiola Gianotti, the director of CERN in Geneva; from Elena Lucrezia Corner, reputed to be the first woman to earn a degree in 1678, to physicist Laura Bassi, whose name graces the icebreaker transporting Italian scientific missions to Antarctica. The list extends to astronaut Samantha Cristoforetti, the renowned painter Artemisia Gentileschi, Nobel laureate in Medicine Rita Levi Montalcini, Catherine de Medici — the power behind the French throne — and astrophysicist Margherita Hack. The leap from one to another is astonishingly brief. Regardless of their era, profession, societal role, or background, their legacy isn’t just in their achievements but in the enduring social change they’ve inspired.

In Italy, a heartbreaking femicide has seized the public’s attention for weeks: a young biomedical engineering student, on the cusp of graduating, was murdered by her 22-year-old ex-boyfriend, mere days before the International Day for the Elimination of Violence Against Women. She was a bright, creative soul, dreaming of escaping to a future as a children’s book illustrator. He, who had long been her tormentor, brutally ended her dreams by stabbing her and leaving her at the bottom of a ravine. She wasn’t allowed to leave him, to graduate before him, to make her own decisions about her future.

In Italy, an average of 150 women are killed each year, one every two days, totalling 600 homicides in the last four years. A recent survey by La Repubblica highlights the daunting and uphill journey facing Italian women: one in three falls victim to violence, yet only 20% manage to fight back. A staggering 80% suffer in silence, at best confiding only in friends. “Breaking the silence,” the article states, “is the first step in asserting that violence is never acceptable.”

Balancing family life with a career remains an insurmountable challenge for many. The number of careers halted post-pregnancy is just another sign of self-destructive behavior in a society failing to harness its talents, squandering significant investments in education and professional development. Recent research in Italy reveals that, on average, 18% of women leave the workforce after maternity: for nearly one in five women between the ages of 18 and 49, the birth of a child means a definitive end to their career and income. Only 43.6% stay employed, a figure that decreases as one moves south and to the islands, where less than a third (29%) continue working. Often, these roles are part-time or come with different salary conditions, highlighting how much independence is ‘taken away’ from women. The reasons for this setback include difficulties in balancing work and childcare (52%), contract non-renewal or layoffs (29%), and economic feasibility assessments (19%). The full picture revealed by this report is telling: 31.8% of women do not work either before or after maternity, and only 6.6% find employment post-childbirth. These figures allow two further insights: firstly, the number of working women is minimal, considering a third were not employed before maternity; secondly, those returning to work as if nothing has changed represent a negligible fraction.

As we revisit, through our cover story, the incredible achievement of Luisa Spagnoli, we should look beyond just the fashion house or the confectionery industry bearing her name. The true Enterprise, with a capital ‘E’, of this lady of humble origins, the daughter of a fishmonger and a homemaker born in Perugia in 1877, lies in the revolutionary culture she introduced by breaking a series of taboos and proving that being a woman was not a limit to entrepreneurial abilities. Not only was she the first to sit on the board of her family business, but after World War I, she boldly started a new venture by breeding Angora rabbits for their prized wool, leading to 8,000 breeders sending her combed fur from 250,000 rabbits by mail. Furthermore, beyond her entrepreneurial skills, she is credited with what we would now call the empowerment of women: she built social structures to improve employees’ lives, established a nursery in Europe’s most advanced confectionery factory, and protected the right to breastfeed in the factory. A form of anti-conformism and sisterhood that continues today, with 83% of her employees being women, ensuring company welfare policies tailored to women.

Grazia Deledda was the first and only Italian woman to win the Nobel Prize for Literature. Maria Montessori, among the first Italian women to graduate in medicine, a child neuropsychiatrist and educator, introduced an educational method widespread around the world. Amalia Ercoli Finzi, not only the first Italian woman to graduate in aeronautical engineering, but even at 86 years old, remains a scientific consultant for NASA. These are just three other illustrious names from a long list of scientists, writers, activists, entrepreneurs, economists, or educators that should exist if there were a dignified and correct culture of gender.

 

Ci sono donne che sono state capaci di vincere importanti battaglie culturali. Dall’imprenditrice Luisa Spagnoli alla direttrice del Cern di Ginevra Fabiola Gianotti, da Elena Lucrezia Corner accreditata come la prima donna al mondo a laurearsi nel 1678 (la seconda arriverà 54 anni dopo e sarà la fisica Laura Bassi, il cui nome oggi è sulla rompighiaccio che porta le spedizioni scientifiche italiane in Antartico) all’astronauta Samantha Cristoforetti, dalla pittrice Artemisia Gentileschi al premio Nobel in Medicina Rita Levi Montalcini, da Caterina de Medici (di cui si dice: “Era lei che faceva tutto e il re di Francia non muoveva un dito senza che ella lo sapesse”) all’astrofisica Margherita Hack, il passo è incredibilmente breve: non importa dove e quando abbiano vissuto, di cosa si siano occupate, che ruolo abbiano avuto o quale fosse la loro estrazione sociale, né cosa abbiano fatto o facciano ma la trasformazione sociale che hanno generato e che continuano a seminare.

In Italia, un tragico femminicidio sta calamitando l’attenzione pubblica da settimane: una giovanissima studentessa, prossima alla laurea in ingegneria biomedica, è stata uccisa dall’ex fidanzato appena 22enne, pochi giorni prima della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Brillante e creativa, voleva volare lontano da lui, inseguire il sogno di diventare disegnatrice di libri per bambini. Lui, che la tormentava da tempo, le ha reciso le ali accoltellandola e abbandonandola in fondo a un dirupo: non poteva allontanarsi da lui, non poteva laurearsi prima di lui, non poteva lasciarlo né decidere da sola per il suo futuro. 

Una tragica storia accompagnata da numeri terribilmente drammatici che dimostrano quanta cultura di genere manchi al Paese. Vengono uccise una media di 150 donne all’anno in Italia, una ogni due giorni, l’equivalente di 600 omicidi negli ultimi 4 anni. Un sondaggio appena pubblicato dal quotidiano La Repubblica preannuncia la strada lunghissima e tutta in salita che si prefigura per le italiane, posto che una donna su tre risulta vittima di violenze e solo il 20% riesce a ribellarsi. L’80% subisce e non denuncia, al massimo, quando va bene, ne parla agli amici. “Rompere il silenzio – dice l’articolo – è il primo passo per dimostrare che la violenza non è mai accettabile”.

Riuscire a mandare avanti una famiglia e al contempo lavorare resta proibitivo per moltissime. Il numero delle carriere interrotte dopo una gravidanza è solo un altro segnale di autolesionismo da parte di una società che non è capace di mettere a frutto i suoi talenti, sprecando l’importante investimento in termini di educazione prima e professionalità dopo. In Italia una recente ricerca ha stabilito che mediamente il 18% delle donne esce dal mercato del lavoro dopo la maternità. La nascita di un figlio per quasi una donna su 5 tra i 18 e i 49 anni significa interrompere definitivamente la carriera e la percezione di uno stipendio. Solo il 43,6% permane nell’occupazione, una percentuale che si abbassa man mano che si scende verso Sud e nelle Isole, dove meno di un terzo (il 29%) continua a lavorare. Spesso però solo part-time o in condizioni salariali differenti, il che fa capire quanta indipendenza venga “sottratta” al genere femminile. Le cause di questo arretramento sta nella difficoltà di conciliare lavoro e cura dei figli (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o dal licenziamento (29%) e da valutazioni di opportunità e convenienza economica (19%). Il dato di questo rapporto va letto nella sua completezza: la quota di quante non lavorano né prima né dopo la maternità è del 31,8% e del 6,6% quella di quante hanno trovato lavoro dopo la nascita del figlio. Due dati che consentono altre due valutazioni: la prima è che resta davvero esiguo il numero delle lavoratrici visto che già un terzo del totale non lavorava prima della maternità, e la seconda è che chi rientra sul posto di lavoro, come se non fosse cambiato niente, è assolutamente irrisorio. 

Nel momento in cui ripercorriamo, grazie alla nostra storia di copertina, l’incredibile risultato portato a casa da Luisa Spagnoli dovremmo guardare ben oltre la casa di moda o l’industria dolciaria che ne portano il nome. L’Impresa con la lettera maiuscola di questa signora di umili origini, figlia di un pescivendolo e una casalinga, nata a Perugia nel 1877, sta nella cultura rivoluzionaria che ha introdotto rompendo una serie di tabù e dimostrando come l’essere donna non poteva essere considerato un limite alle capacità imprenditoriali. Non solo fu la prima a sedersi nel consiglio di amministrazione dell’azienda di famiglia, ma alla fine della prima guerra mondiale, lanciò una nuova filiera avviando coraggiosamente un allevamento dei conigli d’angora per ricavarne la pregiata lana da filato: saranno 8.000 gli allevatori che le manderanno per posta il pelo pettinato da 250mila conigli. Ancora. Al di là della capacità imprenditoriale, ebbe il merito di credere fortemente in quello che oggi chiameremmo enpowerment delle donne: costruì strutture sociali capaci di migliorare la vita dei dipendenti, fondò un asilo nido nello stabilimento dolciario più avanzato d’Europa e tutelò il diritto all’allattamento in fabbrica. Una forma di anticonformismo e di sorellanza che prosegue oggi visto che l’83% dei dipendenti sono donne a cui si assicura un welfare aziendale al femminile. 

Grazia Deledda è stata la prima ed unica italiana ad aver vinto un Nobel per la letteratura. Maria Montessori fra le prime laureate italiane in medicina, neuropsichiatra infantile e pedagoga, ha introdotto un metodo educativo diffusissimo nel mondo. Amalia Ercoli Finzi non solo è stata la prima italiana a laurearsi in ingegneria aeronautica ma ancora oggi, a 86 anni, è consulente scientifica della Nasa. Sono solo altri tre illustri nomi di una lista di scienziate, scrittrici, attiviste, imprenditrici, economiste o educatrici che dovrebbe essere lunghissima, se ci fosse una dignitosa e corretta cultura di genere.


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