La storia di Sabato “Simon” Rodia è certamente una delle più affascinanti e allo stesso tempo meno conosciute delle tante imprese d’immigrazione italiana negli Stati Uniti.
Le sue “Watts Towers”, le tre torri e complesso scultoreo costruito a Los Angeles nell’arco di trent’anni (dal 1921 al 1954), rappresentano un’opera architettonica di grande valore umano, oltre che artistico, divenuta simbolo del quartiere dove sorge e modello d’integrazione per un’intera città.
L’autrice e studiosa Luisa del Giudice ha presentato al pubblico della Bay Area il suo libro “Sabato Rodia’s Towers in Watts: Art, Migration, Development” (Fordham 2014), in tre conferenze tenute presso l’Università di Berkeley, California, il Berkeley City College e il Museo ItaloAmericano di San Francisco.
Questi gli ultimi appuntamenti di un book tour iniziato nel giugno 2014 in Italia, all’Università di Palermo con altri tre colleghi, per poi passare a Serino, il paese natale di Rodia in Provincia di Avellino, poi a Nola, e infine all’Università della Sapienza di Roma.
Luisa del Giudice, Fondatrice e Direttrice dell’“Italian Oral History Intitute” di Los Angeles, ha ripercorso la storia e illustrato le gesta di Sabato Rodia, personaggio controverso, ma capace di creare qualcosa di culturalmente unico, quello che lui aveva chiamato “Nuestro Pueblo”.
La presentazione è stata introdotta dagli interventi di Adele Negro, Presidente dell’IASA “Italian American Studies Association”, e Laura Ruberto, professoressa del Berkeley City College, autrice di uno dei saggi presenti nel libro e promotrice di quest’opera in vari appuntamenti a fianco dell’autrice del Giudice.
Il tema del viaggio ritorna incessante in tutte le fasi di questa storia travagliata, anche nel momento di stabile residenza a Los Angeles, nel difficile quartiere di Watts.
Le tre torri, fortemente somiglianti ai Gigli di Nola, la barca di Marco Polo, la torta nuziale, sono racchiuse all’interno di un’area a forma di arca quasi a simboleggiare una sorta di nave immaginaria, capace di comunicare attraverso il tempo e lo spazio.
“Rodia, come hanno sostenuto Alessandro Dal Lago e Serena Giordano in Fuori Cornice, era un uomo in movimento perpetuo, che assimilava tutto quello che vedeva nei vari luoghi.
Questo, lo vedo come stato esistenziale di molte persone che, in qualche modo, hanno vissuto l’emigrazione. Penso che per Rodia la sua sia stata traumatica. Da ragazzo fu mandato in America dai genitori (e per questo non perdona il padre e la madre) e, subito dopo essere arrivato in America, perde il fratello minatore con cui doveva vivere in Pennsylvania”, ci ha spiegato Luisa del Giudice.
“Va, allora, verso ovest, in California, dove si sposa, ha figli, ma poi li abbandona a Oakland. Fa vita da vagabondo (però lavora sempre) e fa tanti viaggi in Canada, centro e sud America e negli Stati Uniti. È alcolizzato e senzatetto per circa un decennio. Poi gli viene la geniale idea di fare qualcosa di grande, e inizia la sua opera maggiore a Watts, dove acquista un terreno a forma triangolare. Infine muore a Martinez, dove aveva dei nipoti (famiglia Calicura) perché ‘nessuno deve morire solo come un cane’.
Le Torri sono anch’esse frutto di movimento e riciclaggio: trova il materiale per decorarle (ceramiche, vetro, conchiglie) per la strada, sulla spiaggia, sui binari.”
Grazie ai numerosi convegni tenuti da Luisa del Giudice, nel 2009 all’Università di Genova, nel 2010 alla UCLA fino alla East Coast e Canada, la storia delle Torri di Watts ha fatto il giro del mondo, suscitando interesse sia in Italia che nelle comunità italiane all’estero.
“Penso che gli italiani in generale abbiano ignorato Rodia e le sue Torri, con poche eccezioni finora. È solo di recente che si rimette a fuoco l’italianità di Rodia, senza volerlo “catturare” in quest’etnia perché ’il significato della sua opera va ben oltre ed è un tesoro di tutta l’umanità”, rivela la del Giudice.
“Spero che conoscano di più questo personaggio unico, un lavoratore immigrante italiano che con la sua creatività e la sua “magnifica ossessione”, costruisce qualcosa di veramente grande che si ispira in qualche modo a un humus culturale italiano. Nell’immaginario di questo immigrante di Rivottoli di Serino (AV) ci sono torri e campanili, barche di Marco Polo e altri esploratori italiani, e pratiche culturali ben radicate. Per esempio, la tradizione dei Gigli di Nola, a cui le Watts Towers sembrano anche richiamare in molti aspetti”.
A margine dell’evento, ha infine aggiunto l’autrice: “Ringrazio Laura Ruberto per l’organizzazione degli eventi locali, insieme ai colleghi dell’American Italian Studies Association (Western Chapter): Adele Negro, Larry di Stasi, Teri Ann Bentiveno ed altri, e al Museo ItaloAmericano”.
I molteplici aspetti dietro alla costruzione delle Watts Towers rappresentano una storia davvero unica, tanto da aver fatto di Sabato Rodia l’unico italiano ad apparire nella copertina dell’album dei Beatles Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967).
Definito dalla stessa Luisa del Giudice “un tesoro mondiale dell’umanità”, ci auguriamo davvero che il Comitato del Watts Towers Arts Center riesca nella sua missione di farlo nominare nell’elenco delle opere riconosciute come Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco.