“In America si vive il teatro come se fosse il cinema, uno spettacolo cui la gente assiste principalmente per divertirsi”.
È la prima volta che Roberto Tagliavini – basso originario di Parma – si esibisce negli Stati Uniti, eppure sembra aver già colto la profonda essenza e la vivacità spensierata del pubblico locale.
Sono ancora accese le luci in sala e, tra il brusio e la concitazione della ricerca dei posti a sedere, si fanno strada due signore che allegramente conversano dell’opera che sta per cominciare: “Tu sai di cosa parla?” – “Ma sì…intrighi, matrimoni, tradimenti o qualcosa del genere”. Innocente e sensazionale gossip che si insinua tra i drappeggi della Folle Journèe di Beaumarchais, innalzata agli allori dalla prima avvincente collaborazione Mozart/Da Ponte: Le Nozze di Figaro, in scena al LA Opera fino al 12 aprile scorso, diretta brillantemente e con rigorosa vivacità da James Conlon.
Lontano dalle rocambolesche burle rossiniane e dagli ormai obsoleti cliché settecenteschi, racconta il protagonista, “Figaro si accosta molto alla figura del Conte, non è un paesano bamboccione e ignorante, è intelligente e scaltro, ma mai becero”. Lotta per affermare la sua dignità di uomo prima ancora di scoprire le sue nobili origini, annuisce allegramente alle trame di Susanna e della Contessa e ingenuo si abbandona alla gelosia che esprime con un’umanità disarmante nell’aria del quarto atto, Aprite un po’ quegli occhi.
Elegante e risoluto, nell’effervescente cornice anni ’50 disegnata dallo scenografo Tim Goodchild, Roberto Tagliavini si conferma un artista versatile e di gran gusto.
È cresciuto a Parma, tra le fila dei fortunati spettatori di Parma lirica, circolo di appassionati d’opera che ospita da sempre i più grandi nomi del panorama lirico internazionale, “Allora – ricorda – non mi interessava diventare un cantante. Dopo aver compiuto gli studi come geometra ero andato all’università e avevo in mano un lavoro a tempo indeterminato”. Dotato, tuttavia di una naturale predisposizione al canto, comincia a imitare, tra le mura domestiche, le voci registrate di una memorabile produzione di Turandot all’Arena di Verona, cui lui stesso aveva avuto il piacere di assistere qualche tempo prima.
Da qui il passo alla prima vera e propria audizione è breve: Paolo Ampollini, presidente di Parma lirica e intimo amico del padre, dopo averlo ascoltato, lo incoraggia a prendere le prime lezioni di canto col Maestro Romano Franceschetto. Dopo soli due anni, debutta al Teatro Regio. “Ho avuto fortuna – racconta – mi hanno dato tre contratti, piccole parti che mi sono servite per capire come si stava in scena. I primi tempi sono stati duri, mi sentivo inadeguato, sentivo di avere tanto lavoro da fare, ma mio padre e i professionisti con cui sono venuto a contatto hanno creduto in me e mi hanno dato fiducia“.
Con alle spalle ormai una carriera che vanta produzioni nei teatri più illustri del mondo (Teatro alla Scala, Teatro Real di Madrid, Opéra Bastille di Parigi, Arena di Verona, Gran teatro di Shanghai), quali sono i ruoli a cui si sente più legato? “L’Attila di Verdi e il Maometto II di Rossini, due ruoli diametralmente opposti, il primo dalla tessitura acuta e dal carattere autorevole, il secondo più agile e virtuosistico. Adoro misurarmi con difficoltà tecniche sempre nuove, è un modo per continuare a crescere e migliorare”.
A Los Angeles poi viene chiamato direttamente da James Conlon, “È bello lavorare con lui – aggiunge – cerca sempre di metterti a tuo agio con la sua positività, la sua attenzione al lavoro è allegra e allo stesso tempo accurata”.
Tagliavini osa, si mette in gioco con grande umiltà e serietà professionale, si muove in sordina e con la sua voce calda e il temperamento distinto cattura l’attenzione degli spettatori. In America si esibirà nuovamente l’anno prossimo nella Bohème al Metropolitan di New York e nel Trovatore a Chicago nel 2017.
Nel frattempo, un consiglio ai giovani cantanti che si apprestano a intraprendere la carriera da solista: “Essere umili e onesti con se stessi, scegliere un insegnante a cui affidarsi e non abbandonare mai le proprie sensazioni per dare ascolto agli altri, ma soprattutto – conclude – circondarsi sempre dell’affetto delle persone care”.