Se oggi la nostra lingua non è stata dimenticata, in parte lo dobbiamo anche a lui. La passione per lo sport e l’amore per la cultura hanno guidato Tony Pirozzi per quasi cinquant’anni, e il suo impegno nel promuovere le tradizioni italiane è stato vitale per conservare la memoria di tutti coloro che avevano lasciato la propria casa per raggiungere il sogno a stelle e strisce. 
 
Come nasce la storia americana di Tony Pirozzi?
Lasciai l’isola di Ischia all’età di 18 anni con i miei genitori Ciro e Maria e mia sorella Angelina, mentre le altre tre mie sorelle Salettina, Sisina e Nicolina, che ancora non avevano il passaporto, rimasero in Italia con mio fratello Vincenzo. Partimmo da Napoli il 21 marzo 1956 e arrivammo a New York il 28 marzo. A prima vista sembrava un sogno: i grattacieli della città, i marciapiedi popolati da una moltitudine di gente che andava e veniva erano cose che non ero abituato a vedere nel mio piccolo paese. Dopo tre giorni nella Grande Mela ospiti di parenti, partimmo in treno per la California, direzione San Pedro. Col passare del tempo sentivamo sempre di più la nostalgia per l’Italia e per tutto quello che avevamo lasciato indietro.
 
Dovevamo fare i conti con una nuova terra, una cultura diversa e una lingua che ancora non capivamo. Dopo qualche anno di permanenza in California mi ero fatto nuove amicizie e l’inglese diventò finalmente più accessibile, e decisi pertanto di seguire le mie tre passioni più grandi, il calcio, la radio e la musica. Notai che nessuno aveva modo di conoscere i risultati del campionato italiano nell’area di Los Angeles, perché mancava un filo diretto con il nostro paese. Contattai quindi un’ischitano che mandava avanti un programma radiofonico dove si parlava di sport. Così iniziò la mia carriera.
 
In seguito, l’amico Gianni Lauro, direttore del programma radio Italy words and music, mi offrì un piccolo spazio dove potevo mandare in onda i risultati e commentare i fatti principali delle giornate di campionato. Poco tempo dopo arrivò l’avventura con la Rai di New York, che mi propose di trasmettere in diretta gli eventi sportivi dall’Italia, con il programma Tutto il calcio minuto per minuto.
 
Che cosa ha significato essere per 47 anni la voce della comunità italo-americana del sud della California?
Tutto ciò che ho fatto nella mia vita l’ho portato avanti con entusiasmo e passione. Dalle trasmissioni radiofoniche, alle domeniche sui campi di calcio di Los Angeles, San Diego e Santa Barbara alla guida delle mie squadre Olympia e San Pedro Italians, fino all’organizzazione di spettacoli musicali in California e Nevada con i big della canzone italiana.
 
Ci racconti uno dei momenti più belli della sua carriera.
10 Maggio 1987. I cinque giorni che passai a Napoli per trasmettere in diretta i festeggiamenti del primo scudetto della squadra di Maradona. Per me fu un sogno diventato realtà, la mia voce arrivò tramite la radio a Los Angeles dallo stadio San Paolo. Ero emozionato.
 
Lei è stato anche un collaboratore del nostro giornale, L’Italo-Americano. Che ricordi ha di quell’esperienza?
Fui contattato nel 1965 dall’editore Cleto Baroni e accettai senza pensarci due volte.  Scrivevo una rubrica sportiva settimanale, dove aggiornavo la comunità italo-americana sui risultati delle partite e sugli eventi principali del campionato di calcio italiano. Sentii un enorme senso di responsabilità e, finalmente, potevo raccogliere il frutto di tutto quello che avevo seminato con il mio lavoro negli anni precedenti.      
        
Quale messaggio lancerebbe alle nuove generazioni italiane in USA?
Non perdetevi d’animo, i primi tempi non sarà facile ambientarsi e i momenti difficili saranno sempre in agguato. Tutto migliorerà perché l’America è il paese che offre garanzie più di tutti e promette un futuro a chi lo cerca. I primi arrivati hanno aperto la strada e noi dobbiamo continuare a camminare sulla stessa. Dopo tanti anni di duro lavoro, oggi posso condividere tutto questo con mia moglie Cookie, il mio primo amore, conosciuto dopo pochi giorni dal mio arrivo negli Stati Uniti e con la quale condivido una storia lunga 53 anni. Con orgoglio vantiamo una famiglia che conta quattro figli, Jerry, Domenick, Anthony e Amy, otto nipoti e due pro nipoti.
 
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