I have lived for fifteen years outside of Italy and had to endure the oh-so-harsh reality my beloved adoptive country knew next to nothing about aperitivo: the ritual, the food and, crucially, the drinks. Honed by years of aperitivo practice in the elegantly baroque squares of Turin, once abroad I had often to tell bartenders how to make my drink of choice: the aristocratic, zesty, bitterly pleasant Negroni.
A bit of America enters my little story: the only foreign person I met during my years away from Italy who knew about Negroni was a smart – and very talented – Broadway actress who ensured me Negroni “was all the rage” among the artsy crowds of the Big Apple. One really can tell there is Italian blood running in America’s body. America, in fact, had already sworn her love to Negroni in the 1950s, when it became one of the most popular drinks in “transition bars” (lounges in train stations and airports) all over the country. Orson Wells loved it and Tennessee Williams mentioned it in one of his novellas: clearly the fiery-gold, Mediterranean tasting stuff had quite a following.
For all of you not familiar with it, Negroni is a very aromatic and fresh mixed drink, perfectly balancing three ingredients: red vermouth, Campari and gin, served on ice with half a slice of orange and some lemon peel. Not for the faint hearted, or those who cannot handle well their alcohol, Negroni has the deep, bitter aroma of herbs and the sweet tang of gin and citrus fruits. Fresh and uncompromising, it is rigorously served in heavy tumblers filled with ice and its golden red color, reminiscent of the most intense orange tourmalines, makes you feel like you’re holding a drink fit to appear in the hand of a roaring ’20s party goer. À la Great Gatsby, just to give you the idea.
Truth is my comparison is not purely poetic license, it mirrors the truth. If my lyrical description of the many beauties of Negroni has not been enough to convert you into a fan, its novel-like history will.
Fiesole, 1868. Italy was a young kingdom of only seven years when count Camillo Negroni was born. Eccentric, creative and charming polyglot, count Negroni soon became a fixture in Florence’s artistic and cultural circles. He was already a well established figure of the Florentine jet-set when, sometimes between 1919 and 1920, he asked young Fosco Scarselli, bartender at Caffé Casoni, a trendy and elegant bar-boutique in Florence’s town center, to give an extra twist to a popular drink of those years, the Milano-Torino (today known as, alas, Americano, in honor of Italian-American legend Primo Carnera).
Count Negroni was not too fond of the Milano-Torino’s simple mixture of Campari (made in Milan) and red vermouth (made in Turin): he thought something was missing. A seasoned traveler and foreign cultures connoisseur, he suggested to give the drink a bit of a British accent, with the addition of a dash o gin. He also asked for a slice of orange in it, so that he could recognize his drink when served at the table. Lo and behold, the firs Negroni was born: 1/3 of red vermouth (very likely Martini Rosso or vermouth Carpano), 1/3 of Campari and 1/3 of Gordon’s gin, apparently chosen in honor of the count’s friend Gordon Cummings. A dash of soda, the orange slice, the lemon zest.
Simple, perfect, unchanged almost one hundred years later: the original, aristocratic Negroni remains the most loved. This does not means, however, interesting variations on the theme have not been created: the first of a certain relevance was created in the Dolce Vita famous Rome of 1950, year of the Jubilee. Legend has it that a cardinal was often spotted at the Hotel Excelsior for his aperitivo, where a bartender decided to create a cocktail in his honor. Inspired by the red of cardinals’ vestments, he substituted red vermouth with dry, concocting the first known variation of a Negroni, the Cardinale.
Another famous variant was created, entirely by mistake, in 1970s Milan, at the bar Basso where Mirko Stocchetto grabbed the wrong bottle while preparing a Negroni, adding spumante brut instead of gin. The drink, which is still known today as Negroni Sbagliato, was a hit and remains one of its most popular variations.
Some other Negroni to try? The Negroni Seal, with double vermouth, the popular Negroski, with vodka instead of gin, the Turinese Redhuvber, made sweeter with a tad of orange, or the Genoese Negroni del Babbo, with gin, Campari, red vermouth, orange juice and angostura.
As nice as they may be, none of them can, in my humble opinion, beat the Gatsby-like charm and impeccable taste of an original, count approved, Negroni.
Ho vissuto fuori dall’Italia per quindici anni e ho dovuto sopportare la realtà oh-così-dura del mio adorato Paese adottivo che non sapeva quasi nulla dell’aperitivo: il rito, il cibo e, in modo determinante, quel che si beve. Abituata per anni alla pratica dell’aperitivo nelle piazze elegantemente barocche di Torino, una volta all’estero, ho spesso dovuto dire ai camerieri come preparare la mia bevanda preferita: l’aristocratico Negroni, aspro e amaramente piacevole.
Un po’ d’America entra nella mia piccola storia: l’unica persona straniera che ho incontrato durante i miei anni lontani dall’Italia che conosceva il Negroni era un’intelligente – e molto talentuosa – attrice in Broadway che mi assicurò che il Negroni era “l’ultima moda” fra la folla degli artisti della Grande Mela.
Si può davvero dire che c’è sangue italiano che corre nel corpo dell’America. L’America, infatti, aveva già giurato il suo amore per il Negroni negli anni Cinquanta, quando era diventato una delle bevande più popolari nei “bar di transito” (lounges di stazioni ferroviarie e aeroportuali) in tutto il Paese. Orson Wells lo amava e Tennessee Williams lo menzionava in una delle sue novelle: chiaramente, l’oro ardente, la bevanda dal gusto mediterraneo, aveva estimatori.
Come preparare un Negroni: Solo tre ingredienti: Gin, Campari e Vermouth Rosso. Foto: Achim Schleuning / Lizenz: Creative Commons CC-by-sa-3.0 de
Per tutti voi che non avete familiarità con esso, il Negroni è una bevanda miscelata molto aromatica e fresca, che bilancia perfettamente tre ingredienti: Vermut rosso, Campari e Gin, serviti su ghiaccio con mezza fetta di arancia e un po’ di buccia di limone. Inadatta per i deboli di cuori o per coloro che non reggono l’alcol, il Negroni ha il profondo aroma amaro delle erbe ed il forte sapore dolce del Gin e degli agrumi. Fresco ed intransigente, è servito rigorosamente in bicchieri pesanti riempiti con ghiaccio ed il suo colore rosso e dorato, che ricorda la tormalina di un intenso arancio, fa sentire come se hai in mano una bevanda degna di chi era a una festa nei ruggenti anni Venti. Alla Grande Gatsby, per dare l’idea.
In verità il mio paragone non è puramente una licenza poetica, rispecchia la verità. Se la mia descrizione lirica dei molti pregi del Negroni non è stata abbastanza per convertirvi in sostenitori, lo farà una storia che sembra un romanzo.
Fiesole 1868. L’Italia era un giovane regno di soli sette anni quando nasceva il conte Camillo Negroni. Poliglotta eccentrico, creativo ed affascinante, il conte Negroni divenne presto una presenza fissa nei circoli artistici e culturali di Firenze. Era già una consolidata presenza nel jet-set fiorentino quando, tra il 1919 ed il 1920, chiese al giovane Fosco Scarselli, cameriere al banco del Caffé Casoni, un bar-boutique nel centro della città di Firenze, elegante e di tendenza, di dare una svolta aggiuntiva ad una bibita popolare di quegli anni, il Milano-Torino (oggi noto, ahimè, come Americano, in onore della leggenda italo-americana di Primo Carnera).
Il conte Negroni non amava particolarmente la semplice miscela del Milano-Torino con Campari (fatto a Milano) e Vermut rosso (fatto a Torino): pensava che mancava qualche cosa. Viaggiatore stagionato e conoscitore di culture straniere, suggerì di dare alla bevanda un po’ di accento britannico, con l’aggiunta di un tantino di Gin. Chiese anche di metterci una fetta di arancia, così da poter riconoscere la sua bibita una volta servita al tavolo. Ecco, era nato il primo Negroni: 1/3 di Vermut rosso (molto simile al Martini Rosso o Vermut Carpano), 1/3 di Campari e 1/3 di Gordon’s Gin, apparentemente scelto in onore di Gordon Cummings, amico del conte. Un pizzico di soda, la fetta di arancia, l’aroma di limone.
Semplice, perfetto, praticamente immutato cento anni dopo: l’originale, l’aristocratico Negroni resta il più amato.
Comunque questo non significa che interessanti variazioni sul tema non siano state fatte: la prima di una certa rilevanza fu creata durante la famosa Dolce Vita romana del 1950, anno del Giubileo. La leggenda vuole che un cardinale fosse spesso all’Hotel Excelsior per il suo aperitivo, dove un cameriere decise di creare un cocktail in suo onore. Inspirato dal rosso dei paramenti cardinalizi, sostituì il Vermut rosso con quello dry, preparando la prima variazione conosciuta del Negroni, il Cardinale.
Un’altra variante famosa fu creata, assolutamente per errore, nella Milano anni Settanta, al Bar Basso dove Mirko Stocchetto afferrò la bottiglia sbagliata mentre preparava un Negroni, aggiungendo Spumante brut invece di Gin. La bibita che ancora oggi è conosciuta come Negroni Sbagliato fu un successo e rimane una delle sue variazioni più popolari.
Qualche altro Negroni da provare? Il Negroni Seal, con Vermut doppio, il popolare Negroski con Vodka invece di Gin, il torinese Redhuvber, reso più dolce con un po’ di arancia, o il Negroni Genovese del Babbo, con Gin, Campari, Vermut rosso, succo di arancia ed Angostura.
Per quanto possano essere buoni, nessuno di loro può, nella mia umile opinione, scalfire il fascino alla Gatsby e il gusto impeccabile di un Negroni originale, approvato dal conte.
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