La difficile vita dell’imprenditore italiano: L’Italo-Americano ne parla con Mena Caccioppoli. 
Mamma ed  imprenditrice, gestisce l’azienda agrituristica di famiglia, Nonno Luigino, nella cornice della costiera sorrentina. Si dedica ad attività di produzione primaria e trasformazione dei prodotti aziendali, alloggio, ristorazione e fattoria didattica.
 
Laureata in Scienze Politiche, specializzata in “marketing e valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici”, inizia la sua carriera, dedicandosi ad attività di ricerca e formazione nel campo agroalimentare. In seguito rappresenta le imprese nel 1999, quando entra a far parte del Comitato Provinciale di Napoli di “Giovani Impresa Coldiretti”, per diventarne  membro di Giunta Nazionale. Membro del consiglio nazionale di Terranostra, associazione di territorio e ambiente, e del Consiglio nazionale di Donna Impresa, ha guidato, dal 2006 al 2013, la Federazione Provinciale di Coldiretti Napoli in rappresentanza di circa 5000 imprese napoletane. 
 
La sua tenacia ed esperienza la rendono parte attiva in numerose iniziative nazionali e territoriali, anche come membro di commissioni tecniche regionali agricole e per le Pari Opportunità. 
 L’imprenditrice campana Mena Caccioppoli 

 L’imprenditrice campana Mena Caccioppoli 

Quando è nata l’Accademia delle idee?
Abbiamo presentato la nostra istanza di riconoscimento nel gennaio 2014, dopo avere avuto l’opportunità  di conoscere e condividere l’ambizioso Progetto di Sergio Marini e della sua Fondazione “Italia Spa”, nata per ritrovare un’Italia efficiente, competitiva ed autorevole. Ci ha affascinato la concretezza della sua visione futura e la lucidità della sua analisi presente: la fotografia di un’Italia spaccata in due tra un Paese rassegnato, invecchiato, passivo e stanco, e la possibilità di una via d’uscita, attraverso la forza delle idee e delle persone, della partecipazione attiva, dell’energia, del cambiamento, dei sogni di un benessere diffuso e di una mi-gliore qualità della vita per tutti. 
 
Tra l’immobilismo e la possibilità di agire, per avviare un nuovo percorso, abbiamo deciso di unire le forze e di scegliere la seconda strada. Abbiamo di nuovo chiuso gli occhi e immaginato tutti insieme la nostra Italia tra 10 anni, decidendo di agire, sin da oggi, per dare concretezza a quella visione prospettica e lo faremo, cominciando dal nostro laboratorio di idee, che è l’Accademia Campania SPA.
 
Cosa manca nell’imprenditorialità italiana?
Potrei rispondere partendo dalla domanda: cosa ha oggi l’imprenditore italiano? Ha un sogno spezzato da un brusco risveglio, un sogno senza lieto fine, che è la sua impresa, la sua opera d’arte, incompiuta come un sogno rimasto nel cassetto… 
 
Non si può fare impresa in uno Stato che non ama l’impresa, che la imbriglia in una rete con trame troppo fitte, che costringe l’imprenditore a distogliere quotidianamente energia dal suo progetto, perché deve organizzare la burocrazia, spesso trovare vie d’uscita perché regole scritte altrove, lontano dai territori e dalle problematiche reali, esigono rispetto. Mi chiedo, possono essere trattati allo stesso modo casi clinici diversi? Esisteranno anche delle linee guide, dei protocolli, ma mai le stessa cure. 
 
Manca anche la visione di uno  Stato, che scommetta sull’im-presa per realizzare condizioni di benessere, di lavoro. Piuttosto alle imprese italiane sono stati chiesti i sacrifici, maggiori per rimediare alla “mala politica”, alla “mala gestione” e al “mal costume” della macchina pubblica; sono state controllate e spesso tacciate di evasione, quelle che pagano le tasse, ovviamente, in un quadro normativo e fiscale così ballerino che, quando si comincia a capire come e quanto pagare, è già cambiato di nuovo il tutto. La storia continua… 
 
Nessun problema, tanto ci sono poi i ravvedimenti; però il prelievo comincia a diventare troppo alto, perché non vi è certezza di quest’ultimo, che dipende da quanti soldi servono allo Stato per le sue manovre. Intanto non c’è domanda, si licenzia e, qualche imprenditore attribuisce il fallimento della sua impresa ad un fallimento personale, punendo se stesso. Bisogna invertire la rotta, al più presto.
 
Il cammino verso un’economia sostenibile e rispettosa dell’ambiente è ancora lungo?
Non solo è lunga, e questo non sarebbe il primo dei problemi, ma è ricca di ostacoli. Bisogna rifondare il sistema e invertire il modello, cioè non andare a ricercare e a costruire un’idea di futuro difficile, da inventare e lontano da noi. Anzi, al contrario, bisogna partire da noi, da quello che abbiamo e sappiamo fare e che il resto del mondo ci invidia: i territori, la cultura, l’accoglienza, il Made in Italy, in ogni sua declinazione,  dall’agricoltura, all’artigianato, all’industria. 
 
Ogni prodotto dovrebbe avere un superbo valore di italianità, che è il frutto della nostra storia e non di delocalizzazione e di ricerca di basso costo. 
Al contrario, bisognerebbe, in “quell’altezzosità produttiva”, estrinsecare il valore aggiunto del rispetto della persona e del lavoro che ritornano centrali, dell’etica  e  della crescita che tuteli qualità della vita e ambiente.
 
Quell’economia parte dal territorio e dalle sue risorse ed è doveroso che, chi esercita su di esso un’attività economica, se ne prenda cura. Questa via di sviluppo è possibile ed è la meno costosa a tutti i livelli, ma è doverosa un’inversione di pensiero di tutti noi, una coscienza di sostenibilità che permei l’operato e l’azione visibile ed invisibile di tutti.
 
Qual è la sua idea di “fare impresa” e cosa manca in Italia?
La mia è semplicemente un’idea di impresa che non vuole essere assistita, ma assolutamente non  ostacolata e mortificata. 
L’aiuto maggiore, che potrebbe ricevere oggi un imprenditore, sarebbe quello di una semplificazione burocratica  prima di tutto, un prelievo fiscale più leggero e più certo e non lasciato a giochi di percentuali che ingannano anche il più attento economista. Necessita un quadro che ponga fine e rimedio alla “brutta figura”, che stiamo facendo agli occhi di un mondo che, ormai, ci sbeffeggia. 
 
Mancano, in sostanza, i prerequisiti per fare impresa: ecco perché, noi imprenditori italiani non abbiamo più fiato, chi viene ad investire in Italia non è pazzo, è  soltanto di passaggio, solo per acquistare un pezzo della nostra storia che, in altri posti, funzionerà alla grande. 
Chi pensa di scommettere ancora qui, nel nostro Belpaese, è considerato un “alieno”. 
 
È un’ulteriore mortificazione che non possiamo più accettare. Fin qui la capacità  degli imprenditori italiani, il loro saper fare, la loro creatività il loro entusiasmo, la loro propensione a voler scommettere. I loro sogni, per l’appunto, non sono ancora intervenuti, sono lì che aspettano, aspettano delle ali per poter volare alti e non essere costretti a razzolare. Aspettano di poter fare la loro parte e dare il loro contributo per la rinascita di un Paese che amiamo.
 
Secondo lei è possibile fare rete in Italia?
Assolutamente sì. Per me fare  rete indica un sistema, un metodo per realizzare alcuni obiettivi che in questo particolare momento, deve superare ogni più storica considerazione di localismo e individualismo, perchè questo modello ci renda più competitivi e innovativi.
 

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