2018 will be a special year for Italy. 2018 will be the year of Italian food, as announced by Dario Franceschini, minister of Culture and Tourism, and Maurizio Martina, minister of Agriculture. The initiative has been received positively worldwide, with enthusiastic reactions from the Italian embassies in more than one hundred countries. The idea of dedicating a full year to the beauty of Italian food came on the success wave of the first “Settimana della Cucina Italiana nel Mondo,” celebrated in 2016 throughout the world, USA included.
Then again, that Italian food is loved with passion a bit everywhere on this beautiful planet is no surprise: it’s good, it’s tasty and it magically manages to put a smile on people’s faces: just try to say “gelato” out loud in the middle of a room and monitor people’s reactions, you’ll see I’m right.
Statistics related to sales of Italian products worldwide strongly support this view, but statistics are arid and a bit boring, two things Italians don’t like to be associated with, also when sitting around the table.
It’s not about statistics I’d like to write today. It’s about soul. The soul of Italian cuisine, which is so close to our hearts, and the main reason of its success: look into it and you’ll understand why Italy takes its kitchen activities so seriously, you’ll understand why, if you learn about our food, you’ll also learn to love our country, in spite of her many idiosyncrasies, her bleak economy or her countless problems.
Food gives us the opportunity to go on a date with Italy, hold hands with her and stroll, feet in the Mediterranean, along the sandy shores of time: her millenary life barely shows on the golden suppleness of her face even though, deep into her hazel eyes, you can tell she lived, suffered, rejoiced, cried and laughed as no other land on Earth. Food can tell you about this Italy, about her heart, beauty, history and secrets, just as if she herself disclosed it all to us.
Because in Italy, food is history. When you learn about a dish, you learn about the people who created it, of the reasons behind its creation. Look into its ingredients and you’ll meet all the people who, throughout the centuries, spent a time here: a mouthful of cassata Siciliana, or of any Sicilian stew enriched with almonds and raisins, will speak about the Moors, of their colorful habits and penchant for sweet, decadent, honey-sticky dishes.
Taste the aromatic, red wine infused rabbit or wild boar roasts of Piedmont and you’ll hear the Savoias of late medieval times, natives of the French speaking side of our beloved Alps, enchantingly describing with their slight, wave-like accent, how the air of the mountains makes everything taste better. Try Alto-Adige dishes and the breathtaking haughtiness of 18th century Vienna or the smile of Princess Sissi, may suddenly come to your mind. Italian food is Italian, but it’s also the product of the many different cultures and people who, throughout centuries, have walked into her kitchen, deciding to leave a handful of ingredients in the larder and a few hints on how to use it scribbled in good calligraphy on a piece of paper.
Because in Italy, food is tradition and love. A mouthful of torta pasqualina may bring you back to the happiest times of your childhood. A chickpeas soup will feel as warm and consoling as the rough, yet gentle and steady hand of your grandfather when you walked to the market with him every week. Fresh handmade ravioli lying on the table will bring back a painful pang of longing for people you love, but can no longer touch with your hands and see with your eyes.
But then sadness disappears in a sunny, Sunday-morning like a concerto of water bubbling on the stove, the Pope’s reading the Angelus in Saint Peter’s square and the main door closing with a bang, announcing your parents’ arrival at home from the bakery, with the usual tray of Sunday pastries wrapped in green and gold paper: the colors of whipped cream, chocolate and custard, of puff pastry and hazelnuts and butter cookies.
Because in Italy, finally, food is art. Creativity has entered Italian kitchens in days of yore, out of necessity more than fanciness. Panettone was born out of a mistake; chocolate spread out of World War Two’s food rationing; “finanziera” or tripe soup because nothing, absolutely nothing had to be wasted of a farm animal. Creativity at the service of needs it’s a form of art, in the end. An art Italian “cucina povera” mastered throughout the centuries.
In a twist that only Italy could conceive and deliver with the right aplomb, visual arts became inspiration for flavors, too, as in the case of Bellini cocktails and Carpaccio.
But in recent decades, art as pure representation of creativity has also become a fixture in Italy’s kitchen: think of Massimo Bottura and his outstanding examples of creative reinterpretation of the country’s culinary classics, of the painting like presentations of Enrico Crippa’s dishes at his Piazza Duomo, in Alba.
Yes, indeed: food is the soul of Italy and she no longer tries to hide it. It’s too easy to read where her heart is in those hazel eyes of hers. No wonder the world loves Italian food: isn’t it always of the soul and spirit of someone we irremediably fall in love with?
Il 2018 sarà un anno speciale per l’Italia. Il 2018 sarà l’anno del cibo italiano, come annunciato da Dario Franceschini, Ministro della Cultura e del Turismo, e Maurizio Martina, Ministro dell’Agricoltura. L’iniziativa è stata accolta positivamente in tutto il mondo, con reazioni entusiaste dalle ambasciate italiane in più di cento Paesi. L’idea di dedicare un anno intero alla bellezza del cibo italiano è arrivata sull’onda del successo della prima “Settimana della Cucina Italiana nel Mondo”, celebrata nel 2016 in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti.
Ancora una volta, quindi, dire che il cibo italiano sia amato con passione un po’ ovunque su questo bel pianeta non è una sorpresa: è buono, è gustoso e magicamente riesce a portare un sorriso sui volti delle persone: basta provare a dire “gelato” a voce alta, al centro di una stanza, e monitorare le reazioni delle persone, vedrete che ho ragione.
Le statistiche relative alla vendita dei prodotti italiani in tutto il mondo sostengono fortemente questa visione, ma le statistiche sono aride e un po’ noiose, due cose con cui gli italiani non amano associarsi, anche quando si siedono intorno alla tavola.
Non è quindi di statistiche che oggi vorrei scrivere. Si tratta dell’anima. L’anima della cucina italiana, così vicina ai nostri cuori, e’ la ragione principale del suo successo: osservatela e capirete perché l’Italia prende così sul serio la cucina, capirete perché, e se conoscerete il nostro cibo, imparerete anche ad amare il nostro Paese, malgrado le sue molte idiosincrasie, la sua economia spenta o i suoi innumerevoli problemi.
Il cibo ci dà l’opportunità di andare ad un appuntamento con l’Italia, tenerla per mano e passeggiare, con i piedi nel Mediterraneo, lungo le rive sabbiose del tempo: la sua vita millenaria mostra a malapena la tenacità dorata del suo viso anche se, nei suoi occhi nocciola, si può dire che ha vissuto, sofferto, provato gioia, pianto e riso come nessun’altra terra sulla Terra. Il cibo vi potrà dire di questa Italia, del suo cuore, della sua bellezza, della sua storia e dei suoi segreti, proprio come se lei stessa si rivelasse tutta a noi.
Perché in Italia il cibo è storia. Quando si impara qualcosa di un piatto, si scoprono le persone che lo hanno creato, le ragioni dietro alla sua creazione. Guardate nei suoi ingredienti e incontrerete tutte le persone che durante i secoli hanno passato del tempo in Italia: un boccone di cassata siciliana o di qualsiasi stufato siciliano arricchito di mandorle e uvetta vi parlerà dei Mori, delle loro abitudini vivaci e della propensione per i piatti dolci, decadenti, a base di miele. Assaporate il coniglio aromatizzato al vino rosso o i cinghiali arrostiti del Piemonte, e sentirete i Savoia dei tempi tardo medievali, originari del versante francese delle nostre amate Alpi, che incantevolmente spiegano, con il loro accento leggero come un’onda, come l’aria delle montagne dia a tutto un gusto migliore.
Provate i piatti dell’Alto-Adige e le sontuosità mozzafiato della Vienna del XVIII secolo o il sorriso della principessa Sissi, potranno improvvisamente venirvi in mente. Il cibo italiano è italiano, ma è anche il prodotto delle diverse culture e delle popolazioni che, per secoli, hanno camminato nella sua cucina, decidendo di lasciare una manciata di ingredienti in dispensa e qualche suggerimento su come usarli scritte in buona calligrafia su un pezzo di carta.
Perché in Italia il cibo è tradizione e amore. Un boccone di pasta pasqualina può riportarvi ai tempi più felici della vostra infanzia. Una zuppa di ceci si sentirà calda e consolante come la mano ruvida ma gentile e costante di vostro nonno quando ogni settimana passeggiavate con lui al mercato. I ravioli freschi fatti a mano sul tavolo vi riporteranno un desiderio acuto e doloroso per le persone che amate ma non potete più toccare con le mani nè vedere con i vostri occhi.
Ma poi la tristezza scomparirà in una soleggiata domenica mattina, come un concerto d’acqua che bolle sulla stufa, il Papa che legge l’Angelus in Piazza San Pietro e la porta principale che si chiude con un botto, annunciando il ritorno a casa dei vostri genitori dalla panetteria con il solito vassoio dei pasticcini della domenica avvolto in carta verde e oro: i colori della panna montata, del cioccolato e della crema pasticcera, della pasta sfoglia, delle nocciole e dei biscotti al burro.
Perché in Italia, infine, il cibo è arte. La creatività è entrata nelle cucine italiane nei giorni di un tempo che fu, per necessità più che per fantasia. Il Panettone è nato per un errore; il cioccolato è stato diffuso dal razionamento alimentare della Seconda Guerra Mondiale; la “Finanziera” o zuppa di trippa perché niente, assolutamente niente, andava sprecato di un animale da fattoria. La creatività al servizio dei bisogni è una forma d’arte, alla fine. Un’arte italiana, la “cucina povera”, che ha spadroneggiato nel corso dei secoli.
In una svolta che solo l’Italia poteva concepire e diffondere con il giusto aplomb, le arti visive divennero un’ispirazione anche per i sapori, come nel caso del cocktail Bellini e del Carpaccio.
Ma negli ultimi decenni, l’arte come rappresentazione pura della creatività è divenuta anche un elemento della cucina italiana: pensate a Massimo Bottura e ai suoi eccezionali esempi di reinterpretazione creativa dei classici culinari del Paese, del dipinto come presentazione dei piatti di Enrico Crippa presso la sua Piazza Duomo, ad Alba.
Sì, davvero: il cibo è l’anima dell’Italia e l’Italia non cerca più di nasconderlo.
È troppo facile leggere dove è il suo cuore dentro i suoi occhi nocciola. Non c’è da meravigliarsi che il mondo ami il cibo italiano: non sono sempre l’anima e lo spirito di qualcuno ciò di cui ci innamoriamo irrimediabilmente?
Unlike many news organizations, instead of putting up a paywall we have eliminated it – we want to keep our coverage of all things Italian as open as we can for anyone to read and most importantly share our love with you about the Bel Paese. Every contribution we receive from readers like you, big or small, goes directly into funding our mission.
If you’re able to, please support L’Italo Americano today from as little as $1.