The art of Italian home cooking could enter the UNESCO's intangible heritage list (Photo: Martiapunts/Dreamstime)

Many of you are probably familiar with La Cucina Italiana, the famous Italian culinary magazine which, since 1929, has been collecting, discussing, and presenting food trends and recipes from the peninsula. 

Besides being a treasure trove of recipes and ideas to use in the kitchen, the magazine also became, in 2020, a spokesperson for an important initiative, that of getting Italian food onto the UNESCO Heritage list

Wait, I can hear what you are saying: Italian food is part of the UNESCO heritage list: we have the art of Neapolitan pizza and the valleys of Langhe and Valdobbiadene where so many of our DOC wines are produced. UNESCO also protects the Mediterranean Diet, which we share with our cousins facing the sea. Yet, what La Cucina Italiana envisaged two years ago, at the beginning of its campaign, was something different. 

The idea isn’t to protect the dishes themselves, but rather the universal value of Italian culinary culture. In July 2020, the first of 6 collectible issues were published: each featuring a famous Italian chef, supporter of the candidature, starting with Massimo Bottura, followed by Davide Oldani in August 2020, Antonia Klugmann in September, Carlo Cracco in October, Niko Romito in November and, finally, Antonino Cannavacciuolo in December. 

The campaign, of course, created a hashtag, too, #lacucinaitalianagoestounesco. Italy follows in the steps of France, Mexico, and Japan, countries whose cuisines are already part of UNESCO’s intangible heritage list. 

At the heart of the initiative is the cultural and human value of food in Italian life: it is a value to preserve and an important marker of our national identity, worthy of official recognition – because when it comes to popular recognition, I think we all agree that Italian food is king already. 

In an article published last year, and penned by Silvia Sassone – who is in charge of the UNESCO candidature project –  La Cucina Italiana discussed in depth the reasons that informed its decision to get the procedures for the candidature going. The country was just out of the third Covid-19 wave, and the vaccination campaign was working well: we were slowly, but quite steadily, beginning to see the light at the end of the tunnel. The previous 15 months had been surreal and frightening, but had also brought to Italians something positive: the rediscovery of old culinary traditions, and the pleasure of “making everything from scratch.” Especially during the first lockdown, that of March 2020, we all turned into bakers, cooks, and gardeners, eager to fill the time we had on our hands, but also, I believe, to find some sense of safety in things that used to do just that when we were children. 

We became, during the pandemic, the number one fans of our own cuisine: we embraced piatti poveri and family recipes, tried new things, and made the time spent in the kitchen a pleasant respite from the madness around us. Our food gave us strength, and not only physically: it gave us something nice and good to look forward to.

An Italian grandma making fresh pasta: her art could become part of the world’s UNESCO Heritage (Photo: Temistocle Lucarelli/Dreamstime)

According to the candidature’s promoters, cooking is not only “being in the kitchen,” it encompasses a variety of little rituals and gestures rooted in the idea that preparing and consuming food is a moment to share, to show love and care to others. Cooking is what our ancestors left us, and what our families defined much of their heritage with. Italian cuisine is a patchwork of traditions and know-how, which develops through connections and exchange, as well as cultural and historical contaminations – think of the Arabic influences we still find in Sicilian food. There is also the importance of limiting waste and the flavorsome tradition of our cucina povera, varieties of which we encounter in every region. 

And the title itself of the dossier, which clearly spells out cucina di casa italiana, that is, the most traditional of all cooking, the deepest set in our memories, only further highlights the truly familial nature of our food. The centrality of this connotation is important because it is truly in this the soul of Italian food resides, if it’s true that even the greatest of our chefs always paid their respect to mothers, fathers, and grandparents who instilled in them the passion and love for cooking. Those values of convivial warmth and caring for one another through food they inherited from home, are the same they offer, still today, even in their most famous and fabulous restaurants. 

The committee in charge of compiling the candidature dossier was formed over a year ago, with members ranging from university professors in anthropology, history of food, linguistics, tourism and hospitality, along with experts in design and culinary literature: their aim was to create the most complete and adequately source-supported dossier to make the importance of domestic Italian cuisine clear even to those who don’t know it. 

This candidature follows those of two other iconic examples of Italian culture: opera singing, and caffè. 

Molti di voi probabilmente conoscono La Cucina Italiana, la famosa rivista culinaria italiana che, dal 1929, raccoglie, discute e presenta le tendenze alimentari e le ricette della penisola.

Oltre a essere un tesoro di ricette e idee da utilizzare in cucina, la rivista si è fatta portavoce, nel 2020, di un’importante iniziativa, quella di far entrare il cibo italiano nella lista del patrimonio UNESCO.

Aspettate, sento cosa state dicendo: il cibo italiano fa parte del patrimonio dell’UNESCO. In effetti abbiamo l’arte della pizza napoletana e le valli delle Langhe e di Valdobbiadene dove si producono molti dei nostri vini DOC. L’UNESCO tutela anche la Dieta Mediterranea, che condividiamo con i nostri cugini che si affacciano sul mare. Eppure, quello che La Cucina Italiana aveva previsto due anni fa, all’inizio della sua campagna, era qualcosa di diverso.

L’idea non è quella di proteggere i piatti in sé, ma piuttosto il valore universale della cultura culinaria italiana. Nel luglio 2020 è stato pubblicato il primo di 6 numeri da collezione: ognuno con un famoso chef italiano, a sostegno della candidatura, a partire da Massimo Bottura, seguito da Davide Oldani nell’agosto 2020, Antonia Klugmann in settembre, Carlo Cracco in ottobre, Niko Romito in novembre e, infine, Antonino Cannavacciuolo in dicembre.

La campagna, naturalmente, ha creato un hashtag: #lacucinaitalianagoestounesco. L’Italia segue le orme di Francia, Messico e Giappone, Paesi le cui cucine fanno già parte del patrimonio immateriale dell’UNESCO.
Al centro dell’iniziativa c’è il valore culturale e umano del cibo nella vita degli italiani: un valore da preservare e un importante marcatore della nostra identità nazionale, degno di un riconoscimento ufficiale – perché quando si parla di riconoscimento popolare, credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che il cibo italiano è già il re.

In un articolo pubblicato lo scorso anno e scritto da Silvia Sassone – responsabile del progetto di candidatura UNESCO – La Cucina Italiana ha approfondito le ragioni che hanno portato alla decisione di avviare le procedure per la candidatura. Il Paese era appena uscito dalla terza ondata di Covid-19 e la campagna di vaccinazione stava funzionando bene: si cominciava lentamente, ma in modo abbastanza costante, a vedere la luce in fondo al tunnel. I 15 mesi precedenti erano stati surreali e spaventosi, ma avevano anche portato agli italiani qualcosa di positivo: la riscoperta di antiche tradizioni culinarie e il piacere di “fare tutto da zero”. Soprattutto durante il primo lockdown, quello del marzo 2020, ci siamo trasformati tutti in panettieri, cuochi e giardinieri, desiderosi di riempire il tempo a disposizione, ma anche, credo, di trovare un senso di sicurezza nelle cose che facevamo da bambini.

Durante la pandemia siamo diventati i fan numero uno della nostra cucina: abbiamo abbracciato i piatti poveri e le ricette di famiglia, abbiamo provato cose nuove e abbiamo reso il tempo trascorso in cucina una piacevole tregua dalla follia che ci circondava. Il nostro cibo ci dava forza, e non solo fisicamente: ci dava qualcosa di bello e buono da aspettare.

Secondo i promotori della candidatura, la cucina non è solo “stare ai fornelli”, ma comprende una serie di piccoli rituali e gesti radicati nell’idea che la preparazione e il consumo di cibo siano un momento di condivisione, di amore e di cura per gli altri. La cucina è ciò che ci hanno lasciato i nostri antenati e con cui le nostre famiglie hanno definito gran parte del loro patrimonio. La cucina italiana è un coacervo di tradizioni e saperi, che si sviluppa attraverso connessioni e scambi, ma anche contaminazioni culturali e storiche – basti pensare alle influenze arabe che ancora ritroviamo nella cucina siciliana. C’è poi l’importanza di limitare gli sprechi e la saporita tradizione della nostra cucina povera, le cui varietà si incontrano in ogni regione.

E il titolo stesso del dossier, che recita chiaramente cucina di casa italiana, cioè la cucina più tradizionale, la più radicata nella nostra memoria, non fa che sottolineare ulteriormente la natura veramente familiare del nostro cibo. La centralità di questa connotazione è importante perché in essa risiede davvero l’anima del cibo italiano, se è vero che anche i più grandi dei nostri cuochi hanno sempre portato rispetto a madri, padri e nonni che hanno instillato in loro la passione e l’amore per la cucina. Quei valori di calore conviviale e di cura dell’altro attraverso il cibo che hanno ereditato a casa, sono gli stessi che offrono, ancora oggi, anche nei loro più famosi e favolosi ristoranti.

La commissione incaricata di redigere il dossier di candidatura si è formata più di un anno fa, con la partecipazione di professori universitari di antropologia, storia dell’alimentazione, linguistica, turismo e ospitalità, oltre a esperti di design e letteratura culinaria: l’obiettivo era quello di creare il dossier più completo e adeguatamente supportato dalle fonti per far capire l’importanza della cucina nazionale italiana anche a chi non la conosce.
Questa candidatura segue quelle di altri due esempi iconici della cultura italiana: il canto lirico e il caffè.


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