Much of our heritage and old traditions are associated with specific moments of the liturgic calendar: once upon a time, religion and the natural passing of seasons were all people needed to keep track of days and months. As a time of reflection and meditation leading to Easter, the most important Christian festivity, Lent has always been full of events, even if it was – and still is, for those who believe – a moment largely dedicated to contrition and prayer.
Today, religious practices aren’t as preponderant as they used to be but our Lent habits and lore remain.
For instance, many Italians still refrain from eating meat during Lent, or at least, on Lent Fridays. The idea of relinquishing meat during the 40 days before Easter connects with that of spending this time focusing on the spiritual rather than the physical: abstaining from eating meat is mentioned already in the Old Testament as a tool for penance because meat was considered a delicacy. Giving it up during Lent symbolized our wish to cleanse through meditation and be ready for a new beginning. But what perhaps is more interesting to us today is the form meat-free Fridays would take our tables: in my house, i venerdì di Quaresima were all about peas with boiled eggs, tuna, and tomato sauce, stoccafisso with potatoes and olives or with potatoes and tomatoes, or scrambled eggs with tomatoes and basil, served with plenty of bread. Typical of the mountain areas of Italy was also polenta concia, heartwarming polenta enriched with butter and cheese. In Sicily, pasta con le sarde would be a Friday must.
Speaking of pasta, in Apulia, there was a habit of not grating cheese on it during Lent. That didn’t mean, however, that you wouldn’t use the cheese grater for 40 days: instead of parmigiano or pecorino, you’d cover your spaghetti or penne with breadcrumb, which of course you needed to make by transforming stale bread into crumbs. So, on Ashes Wednesday, Apulians would take their cheese graters, used all year round to grate delightfully decadent cheese, and pass a flame on it to clean it: a gesture symbolizing the cleansing action of Lent on people’s souls, just like that of fire on objects. The cheese grater, now purified, could then be used to make breadcrumbs for all the pasta you’d have during Lent.
Some of our traditions are definitely more theatrical than others. In many parts of Italy, especially in the South, Lent is often represented by a large rag doll, dressed like an elderly woman and adorned with jewelry made with dried fruits and nuts. Lovingly – or perhaps not so much – known as la Vecchia, the old lady, the raggedy mannequin is often set on fire as an act of communal purification. The tradition in itself, many of you have probably already noticed, finds its roots well into the pagan past of the peninsula, when symbols of the cold season were destroyed and purified with fire, to prepare the earth and the community for the coming of Spring. Indeed, fire rituals such as these are common also at the beginning of the year. In the village of Irsina, in the Matera province of Basilicata, seven dolls dressed in black make their appearance around town, with one disappearing every Sunday until Easter. In Salento, the old lady is known as Caremma (from the French for Lent, Carème): she holds yarn and a spindle in her right hand and an orange with seven feathers stuck in it in the left, each for every Sunday between then and Easter. At the end of each week, one feather is removed and, with it, also a fraction of the community’s pain and sorrow. Many historians associate the figure of the Caremma with the ancient Roman Oscilla, already mentioned by Virgil in his Georgics, wax figurines that were hung to trees as a way to obtain the gods’ protection on crops. Others, on the other hand, think she is very reminiscent of Clotho, one of the three Fates – or Parcae to say it in Latin – whose duty was that of spinning the thread of human life from her distaff onto her spindle.
In Naples, the beginning of Lent was once marked by the Carnevale a cavallo della Vecchia, “Carnival riding the Old Lady” where Carnevale was represented by a Pulcinella with long fake legs, sitting on the shoulders of an elderly woman, Lent. The figure walked around the city’s streets and danced awkwardly, to symbolize the hardships of penitence typical of this time of the year. The idea was that of picturing each person’s struggle against sin and evil; the whole thing was akin to an itinerant theater pantomime or a commedia dell’arte play.
Last but not least, I should mention an evergreen, the habit of fare un fioretto per la Quaresima. The word “fioretto” literally means “little flower” even though you’ll never hear it used in that sense. The term comes from Ugolino da Brunforte’s Actus Beati Francisci et Sociorum Eius, known in Italian as IFioretti di San Francesco, a 14th-century text dedicated to the lives of Saint Francis of Assisi and his disciples. Fioretti are little sacrifices that we decide to do during Lent, as a way to show our commitment to personal and spiritual improvement. The most typical fioretti usually involve food or anything we feel we indulge in too much: top of the list is usually candy and chocolate, closely followed by coffee and sodas. Some try to stop swearing, too. I once gave up coffee for Lent: I think it was 2017 and I still have nightmares about those caffeine-free 40 days. On the last evening of Lent, I waited until midnight eagerly and made myself an espresso right before going to bed.
Gran parte del nostro patrimonio e delle nostre antiche tradizioni sono associate a momenti specifici del calendario liturgico: un tempo, infatti, la religione e il naturale scorrere delle stagioni erano tutto ciò che serviva a tenere il conto dei giorni e dei mesi. Come momento di riflessione e meditazione che porta alla Pasqua, la più importante festività cristiana, la Quaresima è sempre stata ricca di eventi, anche se era – ed è tuttora, per chi crede – un momento in gran parte dedicato alla contrizione e alla preghiera.
Oggi le pratiche religiose non sono più così preponderanti come un tempo, ma le abitudini e le tradizioni quaresimali rimangono.
Per esempio, molti italiani si astengono ancora dal mangiare carne durante la Quaresima, o almeno nei venerdì di Quaresima. L’idea di rinunciare alla carne durante i 40 giorni che precedono la Pasqua si collega a quella di dedicare questo tempo all’attenzione spirituale piuttosto che a quella fisica: l’astensione dal consumo di carne è citata già nell’Antico Testamento come strumento di penitenza perché la carne era considerata una prelibatezza. Rinunciarvi durante la Quaresima simboleggiava il nostro desiderio di purificarci attraverso la meditazione e di essere pronti per un nuovo inizio. Ma ciò che forse è più interessante per noi oggi è la forma che i venerdì senza carne assumevano sulle nostre tavole: a casa mia, i venerdì di Quaresima erano all’insegna dei piselli con uova sode, tonno e salsa di pomodoro, dello stoccafisso con patate e olive o con patate e pomodori, o delle uova strapazzate con pomodori e basilico, servite con abbondante pane. Tipica delle zone montane d’Italia era anche la polenta concia, una calda polenta arricchita con burro e formaggio. In Sicilia, la pasta con le sarde è un must del venerdì.
A proposito di pasta, in Puglia c’era l’abitudine di non grattugiarci sopra il formaggio durante la Quaresima. Questo non significava, però, che non si usasse la grattugia per 40 giorni: al posto del parmigiano o del pecorino, si ricoprivano gli spaghetti o le penne con la mollica di pane, che ovviamente bisognava preparare trasformando il pane raffermo in briciole. Così, il mercoledì delle ceneri, i pugliesi prendevano la grattugia, usata tutto l’anno per grattugiare formaggi deliziosamente saporiti, e ci passavano sopra una fiamma per pulirla: un gesto che simboleggiava l’azione purificatrice della Quaresima sull’anima delle persone, proprio come quella del fuoco sugli oggetti. La grattugia, ormai purificata, poteva poi essere usata per fare il pangrattato per tutta la pasta che si mangiava durante la Quaresima.
Alcune delle nostre tradizioni sono decisamente più teatrali di altre. In molte parti d’Italia, soprattutto al Sud, la Quaresima è spesso rappresentata da una grande bambola di pezza, vestita come una donna anziana e adornata di gioielli fatti con frutta secca e noci. Chiamata affettuosamente – o forse non tanto – la Vecchia, il manichino stracciato viene spesso dato alle fiamme come atto di purificazione comunitaria. La tradizione in sé, come molti di voi avranno già notato, affonda le sue radici nel passato pagano della penisola, quando i simboli della stagione fredda venivano distrutti e purificati con il fuoco, per preparare la terra e la comunità all’arrivo della primavera. In effetti, rituali del fuoco come questi sono comuni anche all’inizio dell’anno. Nel paese di Irsina, in provincia di Matera, in Basilicata, sette bambole vestite di nero fanno la loro comparsa in giro per il paese, e una scompare ogni domenica fino a Pasqua. Nel Salento, la vecchina è conosciuta come Caremma (dal francese Carème, Quaresima): tiene nella mano destra un filo e un fuso e nella sinistra un’arancia con sette piume infilate, ognuna per ogni domenica da allora a Pasqua. Alla fine di ogni settimana, una piuma viene tolta e, con essa, anche una frazione del dolore e della sofferenza della comunità. Molti storici associano la figura della Caremma alle antiche Oscilla romane, già citate da Virgilio nelle sue Georgiche, statuette di cera che venivano appese agli alberi per ottenere la protezione degli dei sui raccolti. Altri, invece, pensano che ricordi molto Clotho, una delle tre Parche – o Parcae per dirla in latino – il cui compito era quello di filare il filo della vita umana dalla sua conocchia al suo fuso.
A Napoli, l’inizio della Quaresima era un tempo segnato dal Carnevale a cavallo della Vecchia, dove il Carnevale era rappresentato da un Pulcinella con lunghe gambe finte, seduto sulle spalle di una donna anziana, la Quaresima. La figura camminava per le strade della città e ballava goffamente, a simboleggiare le fatiche della penitenza tipica di questo periodo dell’anno. L’idea era quella di rappresentare la lotta di ciascuno contro il peccato e il male; il tutto era simile a una pantomima teatrale itinerante o a una commedia dell’arte.
Infine, ma non per questo meno importante, vorrei citare un evergreen, l’abitudine di fare un fiorettoper la Quaresima. La parola “fioretto” significa letteralmente “fiorellino” anche se non la sentirete mai usare in questo senso. Il termine deriva dall’Actus Beati Francisci et Sociorum Eius di Ugolino da Brunforte, noto in italiano come I Fioretti di San Francesco, un testo del XIV secolo dedicato alla vita di San Francesco d’Assisi e dei suoi discepoli. I fioretti sono piccoli sacrifici che decidiamo di fare durante la Quaresima, per dimostrare il nostro impegno nel miglioramento personale e spirituale. I fioretti più tipici riguardano di solito il cibo o tutto ciò che riteniamo di concederci troppo: in cima alla lista ci sono di solito le caramelle e il cioccolato, seguiti da vicino da caffè e bibite gassate. Alcuni cercano anche di smettere di dire parolacce. Una volta ho rinunciato al caffè per la Quaresima: credo fosse il 2017 e ho ancora gli incubi per quei 40 giorni senza caffeina. L’ultima sera di Quaresima ho aspettato con ansia la mezzanotte e mi sono preparata un espresso prima di andare a letto.
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