Nel corso degli ultimi due secoli milioni di italiani sono emigrati all’estero. Questa emigrazione era causata da disastri economici, sociali e guerre che hanno costretto una parte della popolazione a lasciare la Patria per trovare una nuova possibilità per le loro famiglie. Gli emigrati hanno portato onore non solo ai nuovi Paesi di residenza e all’Italia stessa con il loro lavoro e successivamente questi sforzi hanno portato un aumento di collaborazioni, specialmente economiche tra i Paesi. Ma l’Italia non è l’unico Paese che ha visto ondate di emigrati. L’Irlanda, la Grecia, il Regno Unito, la Cina e l’India sono stati fornitori di manodopera nei cinque continenti. In questi giorni il governo indiano ha fatto i primi passi verso una collaborazione più stretta tra le comunità indiane sparse per il mondo e il loro Paese d’origine.
Come riporta il Washington Post, il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha annunciato che il suo governo intende nominare gli espatriati come ambasciatori nel mondo per l’India. Questa è una decisione che l’Italia farebbe bene a tener d’occhio perché il Belpaese ha una base di emigrati piú grande di quella indiana e dunque potrebbe trarre benefici, sia economici che sociali, ancora piú importanti. In un discorso a New York il Primo Ministro indiano ha dato la prima indicazione del suo pensiero quando disse “Voi (gli espatriati indiani) svolgete un ruolo chiave nel formare un’immagine positiva dell’India, non solo in America, ma anche in tutto il mondo”. Parole colte con enorme piacere dalle comunità indiane come spiega Saureen Shah, una trentenne ingegnere ora residente a San Francisco: “Tanti di noi della diaspora che ci sentivamo come un parte staccata ci siamo sentiti uniti di nuovo alla nostra madre indiana quando Narendra Modi ha esteso le sue braccia per abbracciarci come ha fatto a New York”.
È particolarmente interessante che la giornalista del Post che ha scritto la cronaca si chiami Rama Laksmi, di origine indiana ed è la responsabile per la sezione indiana della sezione Post World del giornale. L’articolo parla di una comunità indiana mondiale di oltre 25 milioni, una comunità che il governo indiano ritiene abbia il potenziale per contribuire non solo a migliorare l’immagine del Paese nel mondo, ma anche come base per aumentare il commercio tra l’India e i vari Paesi di residenza. Per quanto sia importante la cifra indiana, dobbiamo ricordarci che la cifra di oriundi italiani è ancora più grande. Secondo Mario Giro, sottosegretario per gli Affari Esteri, durante gli Stati Generali della Lingua Italiana tenutasi a Firenze nell’ottobre scorso ha fornito le cifre del Ministero degli Affari Esteri di quasi 90 milioni tra emigrati italiani e i loro discendenti nei cinque continenti.
Ovviamente già la base di partenza italiana è potenzialmente più grande di quella indiana. Ma cosa fa l’Italia verso le sue comunità all’estero? Purtroppo la risposta è fin troppo semplice, negli ultimi anni questo Paese fa poco e quel poco è in costante diminuizione… Benché ci siano diciotto parlamentari eletti dagli italiani all’estero nei due rami del parlamento italiano, i fondi destinati per l’estero sono i primi a essere soggetti a tagli, oppure eliminati. Il motivo è facile da capire, il costo elettorale di queste decisioni è poco, visto che non sono sentite solo all’estero. Tagli ai giornali di lingua italiana, per l’insegnamento della lingua italiana, per assistenza sociale ai connazionali all’estero, per la promozione della Cultura italiana, e dunque sempre meno soldi per gli Istituti della Cultura Italiana nei Paesi più importanti, non sono ritenuti importanti per il futuro di questo paese. In ogni caso, queste decisioni sono sbagliate. La decisione del governo indiano dimostra come Modi abbia riconosciuto il potenziale enorme d’avere comunità indiane in tutti paesi economici più sviluppati. Un potenziale ignorato in Italia. Sappiamo già come l’esportazione di prodotti agroalimentari italiani all’estero sia nata e continua a crescere come diretta conseguenza di queste comunità.
Non solo per soddisfare i bisogni alimentari degli oriundi, ma soprattutto con le modifiche della cucina dei Paesi di residenza in seguito alla nascita e crescita dei ristoranti italiani fondati dagli stessi emigrati. Nello spazio di pochi decenni gli emigrati italiani hanno rivoluzionato le culture culinarie di questi paesi. Ma non dobbiamo pensare che sia una battaglia vinta e dobLa Cultura, in tutte le sue forme, è il mezzo che garantirebbe una crescita di turisti in questo Paese. Facile dire che il Belpaese abbia il patrimonio culturale più grande del mondo se poi nessuno viene a vederlo. Se così fosse l’Italia sarebbe la prima meta turistica nel mondo, ma non lo è e allo stato attuale è difficile vedere in che modo le cose cambieranno, almeno a breve termine. Nel tagliare le spese ai giornali italiani nel mondo, nel tagliare l’insegnamento della lingua italiana si riduce sempre di più il bacino potenziale di turisti di questo Paese. turismo culturale avrebbe anche i mezzi per la manutenzione e, soprattutto, per restaurare capolavori che ne hanno urgente bisogno, ma dove ora non ci sono i fondi per poterlo fare.
Come anche un aumento del turismo creerebbe anche posti di lavoro in tutti i settori dell’economia italiana a partire dalle industrie alberghiera e di ristorazione. Il governo indiano riconosce il ruolo vitale dei suoi connazionali all’estero per aiutare lo sviluppo e la crescita del Paese. Speriamo che presto si possa dire la stessa cosa del governo italiano. biamo ora riposare sugli allori. Con l’arrivo dei nuovi immigrati in questi Paesi i locali italiani si trovano in concorrenza sempre più serrata e i responsabili della cucina italiana all’estero, insieme ai fornitori italiani di prodotti devono collaborare sempre di più per garantire il futuro dei loro prodotti. Sforzi che vengono premiati con vendite e posti di lavoro, sia all’estero che in Italia stessa. Il discorso Cultura, la maiuscola è intenzionale, è ancora più complicato e, purtroppo, desolante. I tagli di fondi per la Cultura italiana, a partire dall’insegnamento della lingua italiana,